E ti seduce ammiccando
da carnagione senz’efelidi,
con limpidezza di fondotinta,
rughette d’espressione mimetizzate
e guance scavate dalla raccolta differenziata dei chiaroscuri.
Usa parole forbite
da limetta per unghie ben levigate,
e nei colori dei pavoni fa la ruota,
sì, la ruota,
e si compiace degli applausi contingenti.
La chiamano poesia, e non è lei.
Poesia ha scarponi di terra, ribattuti,
ama la solitudine di pochi,
va pudica,
dimentica il titolo all’ inizio
e legge tutto d’ un fiato
per la paura di rimuovere
quel fiotto che commuove nella gola
dentro la migrazione del sentire,
mentre si slarga in un’espirazione
–e un ticchettio risorgerà campana–
Carmela Laratta
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