Tra le tensioni di un’aula in fibrillazione, il Senato ha finalmente approvato in via definitiva il disegno di legge per rendere la maternità surrogata “reato universale”.
La Gestazione per altri (Gpa), come previsto dal testo a prima firma della deputata FdI Carolina Varchi («è stata messa la parola fine a una barbarie»), sarà dunque punibile anche se un cittadino italiano vi ricorrerà in uno Stato in cui la pratica dell’utero in affitto è legale. La pena prevista va da tre mesi a due anni, a cui si aggiunge una multa da 600mila euro a un milione di euro.
Di maternità surrogate si parla da anni in molte trasmissioni. Uno dei programmi che seguo volentieri ogni settimana è Le Iene.
È un format di approfondimento e attualità che propone inchieste e servizi giornalistici facendo anche uso di uno stile irriverente e satirico. Mesi fa, ha trattato un argomento molto spinoso, quello delle mamme surrogate.
Paola Barale, con un giornalista del programma, sono partiti per l’ Ucraina per visitare le cliniche della fecondazione assistita dove ogni anno nascono centinaia di bambini da madri surrogate. Ma da diversi anni si parla delle mamme surrogate e di cosa le spinge a scelte del genere.
La storia di Natalia
Buongiorno, il mio nome è Natalia, ho trentacinque anni, sono sposata da 15 e sono la mamma di un bambino di 12.
E sì, io sono una macchina perfetta per avere figli, per procreare. Ma tutto questo non lo dico io. Sono i medici della clinica Bioetexom, che si trova a Kiev, una delle più famose cliniche in cui è possibile fare la maternità surrogata, a ricordarmelo sempre.
Io ho un solo figlio, che è la più grande gioia della mia vita.
Ma ho altri figli che ho messo al mondo per altre coppie.
Sapete una cosa? Io non ricordo i bambini che ho avuto in questo modo, non ricordo quando sono nati o quanto pesavano, se erano dei maschi oppure femmine. A me tutto questo non interessa perché non hanno niente di me, non hanno il mio DNA, non verranno cresciuti da me, né accompagnati a scuola e né curati quando staranno male.
Perché io, li ho solo partoriti, ho aiutato chi non lo poteva fare e di questo sono contenta.
Ora aspetto tre gemelli, e quando si muovono nel mio grembo non provo nessuna emozione, perché per me è un lavoro, non ho nessun legame con loro come è successo invece con mio figlio.
Natalia come “lavoro”, fa “l’affitta utero”.
Perché c’è chi affitta camere e chi invece l’utero.
Ogni parto guadagna ventimila euro, e se pensiamo che lo stipendio medio in Ucraina è di 150 euro, capiamo benissimo perché fa questo.
Se poi i bimbi sono gemelli, guadagna di più.
Non trova nulla di inconsueto all’uso che fa del suo corpo, dice che il corpo femminile è fatto per procreare. Allora, perché non usarlo per fare felice la sua famiglia economicamente e una coppia che bambini non può averne?
Come lei in Ucraina ci sono centinaia di donne che affittano il loro utero…
E chi si immaginava che nel duemila, saremo arrivati alla maternità surrogate?
Ma siamo arrivati a questo fenomeno, ed esistono in molte nazioni, delle società che garantiscono il risultato per le coppie che vogliono avere un figlio.
La società più conosciuta è la Gestlife, società spagnola, che offre garanzie e segue i futuri genitori in tutto, anche nella scelta degli hotel durante il soggiorno. Ha un database con centinaia di donne pronte a donare i loro ovuli o affittare il loro utero.
Ebbene, questa è l’evoluzione femminile, la donna considerata da sempre solo un corpo. Siamo passati dal pagamento di una donna per prestazioni sessuali, al pagamento di una donna per essere incubatore.
È questo che noi donne volevamo?
In Italia, l’utero in affitto, è al centro del dibattito,aperto in questi giorni per la bocciatura in Senato della proposta di regolamento che prevede la creazione di un certificato europeo di filiazione e dal blocco delle trascrizioni dei certificati di nascita dei figli delle famiglie omogenitoriali.
La questione è sempre stata un punto molto caldo per gli “attivisti per la vita”.
Nell’ultimo periodo, però, il dibattito ha avuto un’impennata.
Secondo il mondo cattolico, l’Articolo 5 del Decreto Cirinnà che regola la stepchild adoption, consentendo alle coppie omosessuali l’adozione del figlio del convivente, aprirebbe la strada alla gestazione per altri.
Vogliamo davvero arrivare a questo?
Angela Amendola
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