Attenti al lupo…

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Attenti al lupo:

tutta colpa di Cappuccetto Rosso…

È l’animale più inflazionato dell’immaginazione pan-mediterranea: basti ricordare, a mo’ di esemplificazione, le favole di Esopo e di La Fontaine, il lupo del Roman de Renart o quello di Gubbio dei Fioretti di S. Francesco.

Una voracità narrativa che, attraverso l’intermediazione plautina, è diventata persino chiosa filosofica in Hobbes: homo homini lupus, per andare a connotare l’atteggiamento dissacrante e consumista degli ultimissimi tempi.

L’apocalittica delle relazioni, sotto questo aspetto, lo rappresenta appieno, purtroppo!

Eppure, per scongiurare un’insidia imminente («periglio» lo avrebbe chiamato il nostro Dante), siamo soliti citarlo in giudizio, ma solo a scopo apotropaico, ovvero per esorcizzare l’eventualità di un avvenimento indesiderato.

Malgrado la III edizione del Vocabolario degli Accademici della Crusca, del 1691, riporti l’espressione “andare in bocca al lupo” col significato esplicito di “andare nel potére del nimico, incontrare da sé il pericolo”, ho avuto modo di constatare, sul piano documentario, che tale forma locuzionale sia almeno del Trecento, portando a prova del fuoco, si dice per dire, una delle Lettere di Guittone d’Arezzo del 1294 (“ma la povera femmina, accostandosi a quell’huomo, si accorse d’essere andáta in bocca al lupo”).

Si dà il caso, soccorrendomi il Classicismo, che sia stata una lupa a salvare Romolo e Remo e che quella Capitolina, poi, catturi l’attenzione turistica da ogni angolo dell’ecumene terrestre.

Non fermiamoci alla lupa della selva oscura dantesca, per favore!

Se una furia iconoclasta dovesse non tenere conto di tutto ciò, rammento l’amore tenero della madre-lupo che prende con la sua bocca i propri figlioletti, per portarli da una tana all’altra, al fine di proteggerli dai pericoli esterni.

Sono immagini che si commentano da sole: e se augurare a qualcuno di trovarsi tra le fauci di questo splendida fiera fosse un modo per auspicargli di essere protetto?

Meglio rispondere con “Viva il lupo”, allora, piuttosto che replicare con quell’antipatico “Crepi”, che fa solo tremare i polsi, se non altro, per quelle leggi di natura, che ce lo consegnano “ricattato”, come dice la TrecCani, riscattato, cioè!

Tutta colpa di Cappuccetto Rosso: Le Petit Chaperon Rouge di Charles Perrault e la Rotkäppchen dei fratelli Grimm ci hanno abituato da piccoli a non averne simpatia, mannaggia!

Nota a margine:

Imbocca (voce del verbo “imboccare”) il lupo”, benché appartenga ad un mio studente, ingegnoso, tra le altre cose, lo tesaurizzo come sua formula sostitutiva.

Un modo per strappare il principe del bosco alla catena del pregiudizio, cui siamo stati educati, senza averne un giudizio più attento.

Mentre la coscientia tacet, di fronte al Vero, la scientia docet

Francesco Polopoli

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Ah l’amore l’amore… di Francesco Polopoli

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Francesco Polopoli
Sono laureato in Lettere classiche, docente di lingua e letteratura latina e greca presso il Liceo Classico di Lamezia Terme (CZ), membro del Centro Internazionale di Studi Gioachimiti. Divulgo saggi a tema come, a solo titolo di esempio, Echi lucreziani e gioachimiti nella Primavera di Botticelli, SGF 2017, ... Ho partecipato a convegni di italianistica, in qualità di relatore, sia in Europa (es. Budapest) che in Italia (es. Cattolica di Milano). Attualmente risiedo a Lamezia Terme e da saggista amo prendermi cura dell’antico come futuro sempre possibile di buona memoria. Il mio parere sul blog? Un vascello post-catulliano ove ritrovarsi da curiosi internauti: al timone del vascello ci stanno gli autori, passeggeri sono i tanti lettori a prova di click…

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