Facebook e l’agorà personale
Il progresso tecnologico è alla portata di tutti ed ognuno lo battezza e lo conferma con un abbiccì da marziani: basta ascoltare una banale conversazione al di qua di un bancone di qualunque punto vendita specializzato, per averne un immediato riscontro.
Pro e contro.
I social network hanno rifondato il lessico un po’ dappertutto, abbattendo muri e gap generazionali: ce ne accorgiamo quando una nostra nonnina, che non è la nonna Abelarda di Soldino, che sicuramente rappresenterebbe lo stereotipo calabrese di qualcheduno dei nostri registi, ci viene a dire “ho installato quest’app da play store ed è utilissima!”.
Grazie ad applicazioni quali Facebook, Instagram, Twitter, poi, le distanze vanno a diminuire e la condivisione di idee e pensieri diventa sempre più semplice o più complicata.
Eh sì, l’uso e l’abuso stanno dietro il medesimo angolo: il Faceprofilo, eccoci qua, senza qui pro quo, abilita alla creazione di un palinsesto personale, a metà strada tra Mamma RAI e la rete ammiraglia del Biscione.
Un’edizione domestica per fare pubbliche piazze o piazzate, stile Reality o Live (assenti l’agorà o il foro del pensiero classico, qui citati in giudizio, giudiziosamente, solo a distanza e distanziamento) o per presentarsi in passarella da Vestro e Postalmarket, ricordate quei cataloghi cult degli anni Ottanta?
Lì c’era la descrizione dell’articolo, perlomeno: qui, per converso, il pezzo sulla propria personalità, declinata a consenso, e accompagnata da faccine e pensieri.
Non lo trovate merdaviglioso, come aggettifica un caro fraticello romano di Sant’Andrea delle Fratte?
«Post che occhieggiano da una pagina virtuale, che esibiscono il loro profilo migliore ammiccando ai passanti digitali, che anelano senza parere alla marchetta di un pollice alzato. Se esiste una prostituzione delle parole, Facebook è il suo postribolo», chiosa Mario Lentano, e non credo che la sua nota, per lo spessore con cui tutti lo conosciamo, sia così peregrina. Insomma, quest’ufficio stampa privato, che ognuno ha a disposizione per sé, dovrebbe avere anche una regolamentazione valoriale: uno ci mette la faccia, volendo rammemorare il significato di face.
Vietato affiggere risibili curricula googliani, mi si permetta questa voce parenetica: non affliggono, ma non fanno da buon passe-partout di presentazione!
Fortunatamente, concludendomi, quanto ci passa sott’occhio o ciò che sbirciamo di sottecchi, compresa questa gazzettina, non irretisce, benché finisca in rete: l’archivio digitale, de facto, rende superstiti ben poche cose.
Meno male!
Chi dovesse mancare di tatto, piuttosto provi a pensare a quel contatto reale, miseramente poco, che ha il virtuale.
Sic transit gloria mundi: persino in un click, chi doveva dircelo!?
Francesco Polopoli
Clicca il link qui di seguito per leggere il mio articolo precedente<:
“Attenti al lupo” di Francesco Polopoli
[…] “Facebook e l’agorà personale” di Francesco Polopoli var td_screen_width = window.innerWidth; if ( td_screen_width >= 1140 ) { /* large monitors */ document.write('Annuncio'); (adsbygoogle = window.adsbygoogle || []).push({}); } if ( td_screen_width >= 1019 && td_screen_width < 1140 ) { /* landscape tablets */ document.write('Annuncio'); (adsbygoogle = window.adsbygoogle || []).push({}); } if ( td_screen_width >= 768 && td_screen_width < 1019 […]