Pippo Oddo e i suoi “Il miraggio della terra in Sicilia”
Occasioni e circostanze, il più delle volte casuali, ci mettono in contatto con fatti, eventi, emozioni, sentimenti, donne, uomini, persone che altrimenti non avremmo avuto modo di conoscere e… apprezzare.
Nel mio caso un click nell’ottobre del 2014 sulla parola “aggiungi” del social Facebook crea un rapporto di cordialità e amicizia con Giuseppe Oddo, già autorevole dirigente della Cgil regionale siciliana e poi consulente di Turismo verde – Cia nazionale, nonché docente di Cultura del territorio all’Istituto professionale di Stato per l’agricoltura e l’ambiente di Partinico e all’Istituto Professionale per i Servizi Commerciali E Turistici “Saverio Friscia” di Sciacca.
Un rapporto che, nel corso degli anni, è andato sempre più crescendo e ancor di più da quando ho avuto modo di intercettare il suo interesse per il romanzo e la storia.
Ed oggi eccoci qui, nel bar di ScrepMagazine, comodamente seduti attorno a un tavolo per gustare un caffè al ghiaccio e meglio annusarci e conoscere Giuseppe o Pippo per gli amici e per Facebook.
Il nostro Oddo, ottantunenne di Villafrati, è nato il 6 marzo 1940, risiede a Palermo dove si è laureato in Giurisprudenza con una tesi sul “diritto penale”.
Ha pubblicato: Lo sviluppo incompiuto. Storia di un comune agricolo della Sicilia Occidentale. Villafrati 1596-1960; Il blasone perduto. Gloria e declino della città di Modica; Pensione Colabra; Manuale di Agriturismo. L’ospitalità rurale tra storia e progetto; Storie silenziose e quasi dimenticate di Sicilia; La Bibbia e la sacralità del pane; Tra il feudo e la cava: Salvatore Carnevale e la barbarie mafiosa; L’utopia della libertà. Francesco Bentivegna barone popolare; La memoria smarrita. Antonietta Profita dal feudo alla zolfara.
Ha curato la pubblicazione di Movimento contadino e questione agraria. I dieci anni della Confederazione Italiana Agricoltori di Caltanissetta 1977-1987.
Ha coordinato una ricerca antropologica per conto dell’Associazione contro la Droga di Partinico, i cui risultati sono stati pubblicati nel volume Potamos: Trasformazioni e permanenze culturali nella Valle dello Jato.
Ha redatto i testi della guida Itinerari rurali di Sicilia, oltre che in italiano, anche in tedesco, inglese e francese.
È autore dei saggi: I Fasci dei lavoratori nel Villafratese in AA. VV. I Fasci dei Lavoratori e la crisi italiana di fine secolo, a cura di P. Manali; Le risorse rurali della Sicilia in Regione Siciliana, Sicilia rurale, potenzialità e realtà agrituristiche; La grazia di Dio: il pane tra storia e folklore in Consorzio “Gian Pietro Ballatore”, Atlante del Pane di Sicilia; Insediamenti rurali in Sicilia in Regione Siciliana, Bagli e masserie di Sicilia; Aspetti culturali degli itinerari rurali di Sicilia in Regione Siciliana, Itinerari Naturalistici e Paesaggistici della Sicilia; La mobilità sociale in un centro di nuova fondazione. Il caso di Villafrati in AA.VV., Congregar gente. Santa Maria dell’Ogliastro e le città di nuova fondazione nella Sicilia moderna. (Atti del Convegno di Studi del 29 ottobre 2000), a cura di S. Lombino, Bolognetta 2002, pp. 147-164; Portella della Ginestra: una strage che non ha fermato la storia in «Humus» Roma, anno I, n. 5, pp. 71- 75; Protagonismo femminile e lotte agrarie in terra di mafia in Comune di Roccapalumba – Regione Siciliana, Associazionismo e alleanze contadine a Roccapalumba (Atti del convegno, Roccapalumba 17 dicembre 2005), San Giovanni Gemini s. d.; Villafrati e Cefalà: licenze del Seicento e casali del Settecento, in L’isola ricercata inchieste sui centri minori della Sicilia secoli XVI-XVIII (Atti del Convegno di studi, Campofiorito, 12-13 aprile 2003), a cura di Antonio Giuseppe Marchese, Palermo 2008, pp. 95-112.
E io direi: soprattutto ha scritto Il miraggio della terra, una serie di quattro volumi che di diritto entrano a far parte della storia della Sicilia, e non solo, e riaprono il dibattito su alcuni eventi dimenticati o passati al setaccio dal filtro di ricostruzioni di parte se non falsate e compiacenti che stravolgono il reale e lo fanno finire nell’imbuto della truffa storica e sociale.
Ed è stato il quarto libro della serie ovvero “Il miraggio della terra in Sicilia. Dallo sbarco alleato alla scomparsa delle lucciole (1943 – 1969)” ad accendere la miccia di questo tête-à-tête con Giuseppe Oddo tanto da farmi richiedere copia alla casa editrice, “Istituto Poligrafico Europeo” per immergermi nella lettura e sviluppare una intervista che, al mio richiederla, Pippo mi risponde con un entusiastico “sì”.
Una immersione non facile: mi ha messo di fronte a un volume di ben 640 pagine e a nomi, cognomi, fatti a me quasi completamente sconosciuti…
Una immersione, però, esaltante perché mi ha presentato una prosa scorrevole, senza fronzoli, le cui parole giungono dritte al cuore della catena delle varie storie che hanno scandito il periodo dal ’43 al ’69 dello scorso millennio attraverso il vero, il falso, le commistioni, i compromessi che avevano bisogno di essere messi a nudo e portati a conoscenza di un più vasto pubblico per scardinare la non storia di molti eventi giunta alla opinione pubblica meno vicina alla cultura e facilmente abbordabile perché più credulona e non abituata alla ricerca delle fonti.
Fiore – Quali sono i titoli degli altri tre volumi?
Oddo – Il miraggio della terra. Risorgimento e masse contadine in Sicilia, 1767-1860, Il miraggio della terra nella Sicilia post-risorgimentale, 1861-1894, Il miraggio della terra in Sicilia. Dalla belle époque al fascismo (1894-1943).
Fiore – Cosa o chi ti ha spinto a scrivere e pubblicare questi quatto volumi?
Oddo – Premesso che inizialmente era mia intenzione di pubblicarne uno solo, le spinte sono state tante, ma riassumibili in due categorie: motivazioni attinenti alla mia formazione umana e culturale; sollecitazioni di intellettuali, non ultima delle quali l’invito a ricostruire le vicende dei sindacalisti uccisi dalla mafia ricevuto dal prof. Francesco Renda, storico di chiara fama e fondatore dell’Istituto Gramsci Siciliano, e poi dal prof. Salvatore Nicosia (grecista e già preside della Facoltà di Lettere all’UNIPA) che gli è succeduto all’Istituto Gramsci. All’uno e all’altro risposi che avrei cominciato a parlare dei sindacalisti uccisi dopo aver studiato la questione agraria siciliana dal riformismo borbonico alla caduta del fascismo. Man mano che andavo avanti con la ricerca, mi rendevo però conto che un solo volume non bastava. Comunicai al prof. Nicosia che i volumi sarebbero stati due. Ma dopo aver pubblicato il primo, aggiustai il tiro. Bisognava aggiungere il terzo volume, salvo a constare in corso d’opera che era necessario pubblicarne un quarto.
Fiore – Quanto tempo hai impiegato a scriverli?
Oddo – Potrei rispondere 15 o 16 anni, ma a ben riflettere persino nell’ultimo volume ho utilizzato anche testimonianze e documenti in mio possesso dai primi anni ’80, quando mi sono imbattuto con queste tematiche ricostruendo la storia del mio paese natale dal 1596 al 1960 e, poi, quella di Modica.
Fiore – Penso che non sia stato facile per te che sei giunto a una veneranda età districarti tra le varie fonti e soprattutto cercarle… vero o falso?
Oddo – Verissimo. Ma non tanto o soltanto per la difficoltà a individuare le fonti, quanto piuttosto per l’impossibilità di muovermi con la stessa agilità di prima. Faccio un esempio: dovendo spostarmi dalla stanza d’albergo all’Archivio centrale dello Stato, a Roma, ho dovuto prendere all’andata e al ritorno necessariamente sempre il taxi, non più la metropolitana come prima. Ad analoghi oneri mi sono dovuto sobbarcare per frequentare gli archivi e le biblioteche palermitane, anche perché non ho più la patente e l’auto privata. La fatica è stata però attenuata dalle ricerche fatte alcuni lustri fa in archivi pubblici con siciliani, come l’Archivio di Stato di Caserta, dove una quindicina d’anni addietro avevo consultato gli atti del processo Carnevale, il sindacalista di Sciara ucciso dalla mafia il 16 maggio 1955.
Fiore – Possiamo dire che la tua iniziativa è un faro che mira con il suo fascio di luce a valorizzare il territorio siciliano ed il suo sviluppo culturale sociale ed economico?
Oddo – No. Per carità, non ambisco a tanto. Sarei già più che soddisfatto se la mia fatica servisse come strumento di consultazione per qualche studioso che volesse approfondire le ricerche sulle occasioni mancate e le potenzialità inespresse del territorio siciliano nel contesto della questione meridionale.
Fiore – Dalle varie presentazioni dei primi tre volumi quali contributi di idee e riflessioni ti sono giunti in modo da poterli mettere in atto nel quarto?
Oddo – Le presentazioni hanno di solito una patina di ritualità, dietro la quale non è tuttavia impossibile rinvenire le osservazioni di merito di cui bisogna tener conto. Tra queste la più importante mi pare l’esigenza di ancorare ogni ragionamento al rapporto “centro-periferia” o, se si preferisce, “locale-globale”, senza dimenticare per un solo momento che ciò che avviene nella località più sperduta non è mai avulso da un contesto relazionale più ampio e dalle scelte operate in quella che Pietro Nenni chiamava “stanza dei bottoni”.
Fiore – In sintesi, tracciami per i lettori di ScrepMagazine il percorso dei primi tre volumi…
Oddo – Nel primo volume il miraggio della terra si materializza con lo scioglimento dell’asse gesuitico (1767) e l’assegnazione (molti anni dopo) ai contadini di oltre 30.000 ettari di terra. Ma già ai tempi in cui il siciliano marchese della Sambuca divenne primo ministro del governo borbonico, molti assegnatari non erano in grado di pagare il canone e quasi tutte le terre assegnate per lotti andarono ad aggiungersi ai possedimenti feudali. Il profumo acre e ingannevole della terra promessa torna ad ammaliare i contadini siciliani nel 1860 quando molti di essi, allettati da un decreto della dittatura di Garibaldi, offrirono il petto al piombo del Borbone coll’illusoria speranza di ottenere il possesso delle terre pubbliche usurpate dai “galantuomini”.
Il secondo volume racconta la fame di terra e le delusioni dei contadini del post-risorgimento (1861-1894) destinate a sfociare nella rivolta palermitana del settembre 1866 e in quella del dicembre 1893 e gennaio 1894 contro la politica fiscale dei signori che spadroneggiavano nei latifondi e nei municipi. Il che fornì l’occasione al presidente del Consiglio dei Ministri, l’ex garibaldino Francesco Crispi, per proclamare lo stato d’assedio e sciogliere nel sangue i Fasci dei lavoratori.
Il terzo ricostruisce i nuovi orizzonti del movimento contadino (che si arricchisce della presenza dei cattolici sociali) e il duro confronto con il blocco di potere dominante, che non esita a dar voce alla lupara per mettere a tacere i lavoratori e i borghesi che li difendevano.
Gli omicidi di Lorenzo Panepito (1911) e di Bernadino Verro (1915), e quelli del contadino Nicola Alongi e del metallurgico Giovanni Orcel (consumati nel 1920) sono la punta dell’iceberg di un fenomeno ben più grande e devastante.
Il terzo volume racconta altresì la dittatura fascista e la beffa mussoliniana del lungo assalto al latifondo siciliano.
Fiore – Quindi possiamo tranquillamente dire che il filo conduttore che unisce i tuoi primi tre libri e il quarto che ho avuto il piacere di leggere è l’annosa questione della terra con le conseguenti lotte per la modifica dei rapporti di proprietà e il relativo tributo di sangue pagato.
Oddo – Esatto. Non potevi fare sintesi più puntuale.
Fiore – Va detto però che, accanto alla questione agraria analizzata come non mai nei minimi particolari, hai dato il via a riflessioni su altre problematiche strettamente connesse…Me ne vuoi parlare?
Oddo – Certamente. Le più rilevanti a mio avviso afferiscono ai grandi temi della democrazia partecipata e del potere a tutti i livelli.
Non dimenticare che la Sicilia, liberata dal nazi-fascismo prima delle altre regioni, non approdò tuttavia subito alla sponda della libertà e, meno che mai a quella del potere aperto all’apporto di tutti gli strati della popolazione.
Lo stesso diritto d’associazione poté essere esercitato, per concessione del governo alleato, gradatamente a partire del 1944, ma in molte realtà fu pure osteggiato, se non addirittura vanificato, dalla mafia.
E intanto l’Isola era stretta nella morsa delle bande armate e del separatismo, la cui ala reazionaria ad un certo momento cominciò a foraggiare banditi e gregari di mafia.
La conquista dell’autonomia speciale spianò la strada alla ricostruzione economica e alla industrializzazione dell’Isola, ponendo subito fine al separatismo e a buona parte del banditismo, con la sola eccezione della banda Giuliano, cui si riferivano altre piccole formazioni banditesche.
È appena il caso di aggiungere, inoltre, che la Sicilia in occasione del referendum istituzionale del 2 giugno 1946 espresse un voto in controtendenza rispetto all’orientamento prevalente nazionale e Umberto II cercò di approfittarne per tentare un colpo di stato in Sicilia, per fare dell’Isola la base di partenza per la restaurazione monarchica del Paese.
Fiore – Tra i vari premi e riconoscimenti assegnatiti come il Premio della cultura della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 1990), 1° Premio Mondello ’90 per il libro edito (XI Estate Mondellana), il 1° Premio letterario nazionale “Cuore di Sicilia” per il romanzo inedito, Caltanissetta, 1999, medaglia del Presidente della Repubblica, emerge l’attestato di merito della giuria del Premio Letterario Nabokov 2012 per il saggio storico Il miraggio della terra. Risorgimento e masse contadine in Sicilia (1767-1860).
Ritieni che l’attestato sia stata una notevole spinta a portare avanti il tuo progetto per dare alla Sicilia una reale e vera pagina di storia, libera da bugie e condizionamenti vari?
Oddo – Beh, dell’attestato rilasciatomi da un’istituzione culturale privata della tua Puglia (della quale avevo appreso per caso l’esistenza), non posso che essere fiero, ma non più di quanto lo sia un ciclista che riceva un applauso o una bottiglietta d’acqua fresca alla fine della prima tappa.
Detto questo, non ho mai pensato di poter fare nulla di eccezionale, né prima né dopo quell’attestato.
Ho sempre cercato di essere coerente con il mio intenso vissuto degli anni dell’impegno sindacale concepito come servizio alla pari, maieutico oserei dire, destinato alla parte più debole della società.
La ricerca storica, cui mi sono dedicato con passione in questi ultimi quarant’anni, mi è servita, semmai, per cercare di capire meglio ciò che mi sfuggiva ai tempi in cui saltavo disinvoltamente da un’assemblea sindacale a un comizio, a una trattativa, alla stesura di un documento congressuale, alla direzione di uno sciopero, talvolta organizzato da altre persone, beccandomi di quando in quando qualche denuncia penale, cui seguiva la condanna con la sospensione condizionata della pena.
Fiore – Credo pure, e in questo concordo con l’autore della prefazione de “Il miraggio della terra in Sicilia. Dallo sbarco alleato alla scomparsa delle lucciole” , il prof. Salvatore Nicosia, presidente dell’Istituto Gramsci Siciliano, che le testimonianze di tanti protagonisti ancora in vita e la tua esperienza di dirigente sindacale siano state la stella polare che ti ha ispirato e guidato nel ripercorrere con la massima precisione e con notevoli novità storiche la strage di dirigenti contadini attuata dal blocco agrario-mafioso col riportare alla luce emozioni, curiosità, episodi piccoli e grandi che hai saputo egregiamente comporre in una meravigliosa epopea contadina che ha anche il merito di aver ridato dignità a tante persone che altrimenti avrebbero perso per sempre la verginità del loro operare per una giusta causa.
Oddo – Di testimonianze nel tempo ne ho raccolte tante, come dimostrano le date riportate nelle note a piè di pagina.
Molte delle persone che me le hanno rilasciate sono passate a miglior vita. Quelle ancora viventi che conservano la memoria diretta della grande epopea contadina degli anni ’40 e ‘50 sono rimaste invero poche e di queste stesse non tutte hanno più la lucidità per raccontare ciò di cui sono stati protagonisti o testimoni privilegiati. Comunque, ho sempre fatto, anche quando non pensavo di scriverle, largo uso delle testimonianze orali attendibili.
Fiore – Una fatica immane, la tua, Pippo, condotta sulle ali della necessità non più derogabile di dare lustro a una terra, a una regione alle prese per una grande battaglia, una grande guerra e liberarsi definitivamente dal male, dalla camicia di forza che “quella montagna di merda che è la mafia” le ha messo addosso…
Oddo – Devo ripetermi, caro Vincenzo. Nessuna ambizione da parte mia di «dare lustro» alla Sicilia, ma soltanto il desiderio, questo sì, di unire la mia modesta voce di intellettuale militante con le ossa piene di esperienza a quella di tanti altri siciliani onesti, che si battono con i mezzi di cui dispongono per liberare l’Isola dalla malapianta mafiosa, sapendo che negli ultimi decenni la partita si è ulteriormente complicata per il dilagare del fenomeno in tutte le regioni italiane e all’estero.
Fiore – Ti ha detto qualcuno… “ ma chi te lo fa fare?” E tu cosa gli hai risposto?
Oddo – Sì, me l’hanno detto tante volte, ma non da quando ho incominciato a scrivere. È vero, a causa dei miei libri mi sono fatto anche delle inimicizie, ma nulla di irrimediabile.
“Ma chi te lo fa fare” me lo dicevano invece ad ogni piè sospinto all’inizio del mio impegno sindacale e politico.
La mia risposta di solito era un sorriso o un gesto di non curanza.
Ma nel momento stesso che un mio collega di studi universitari, che ho rivisto dopo tanti anni, quando lui era diventato un noto penalista del foro di Caltanissetta e io segretario regionale della Federbraccianti, mi disse tra il serio e il faceto: «Caro Peppino, sei una brava persona, ma mi fa rabbia sapere che tu sia pagato per rompere le scatole ai proprietari terrieri», non ho esitato a rispondere: «Caro Giovanni, io sono pagato dai braccianti per proteggerli dalle grinfie dei padroni, tu invece vivi con il denaro che ti danno i mafiosi e gli assassini per rendere più difficile l’applicazione della legge penale».
Fiore – I tanti protagonisti ancora in vita delle varie vicende di cui parli nel tuo quarto “miraggio” sono stati ben lieti di raccontare e raccontarsi?
Oddo – Sì. Potrei citare il caso di Antonella Azoti, figlia di Nicolò, il segretario della Camera del lavoro di Baucina, ucciso dalla mafia nel bel mezzo della Novena di Natale del 1946, quando lei aveva solo 4 anni. Ma non lo faccio perché Antonella è diventata una delle mie più strette amiche di famiglia.
Potrei citare l’esito di una mia telefonata a Vita Cangialosi, figlia di Calogero, fatto abbattere a mitragliate dai picciotti del potente boss Vanni Sacco, quando lei aveva solo due mesi.
Potrei raccontare i molti colloqui avuti nell’arco di 50 anni con l’ormai novantenne Serafino Petta di Piana degli Albanesi, sopravvissuto alla strage di Portella della Ginestra e memoria storica di quella brutta vicenda tutta siciliana, nella quale nondimeno si annodano anche interessi di poteri occulti.
Ma preferisco accennare alla testimonianza che mi ha reso non più tardi di quattro giorni fa Micu Castagna, un vecchio allevatore di bestiame di Tusa (ME), già implicato ingiustamente nell’omicidio del suo amico e compagno di lotta assessore comunale socialista Carmine Battaglia, abbattuto dalla mafia dei pascoli il 24 marzo 1966.
Micu, che fino a pochi anni era una sorta di biblioteca vivente di cultura agro-pastorale siciliana (tanto che chi scrive lo ha impegnato negli anni di fine millennio in un convegno sull’agricoltura biodinamica a Roccapalumba e in un incontro con gli studenti dell’Istituto Professionale di Stato per l’Agricoltura e l’Ambiente di Partinico (ripreso da una locale emittente televisiva), oramai ha grossi vuoti di memoria.
Parla al telefono sotto stretta sorveglianza della moglie o della figlia Rosa Giovanna Castagna, presidente regionale della Confederazione italiana agricoltori (CIA).
Ma quando ha sentito che l’avevo chiamato io, ha ritrovato la lucidità, come ai tempi in cui lottava contro la mafia dei pascoli.
Fiore – Villafrati, il tuo paese natio, come ha partecipato alla battaglia per affrancarsi dalle angherie del latifondo?
Oddo – I contadini e i braccianti di Villafrati hanno avuto un ruolo di primo piano e hanno fatto da traino, fin dai tempi dei Fasci siciliani (1893), alle lotte agrarie negli altri paesi della zona. Se non ci fossero state le lotte dei contadini villafratesi, forse io non mi sarei mai deciso a scrivere questo libro.
Fiore – In rete mi sono imbattuto in una considerazione dello scomparso Corrado Barberis, padre della sociologia rurale, : «Delineare l’evoluzione della società rurale significa delineare la storia della società italiana, perché da essa sono venuti i capitali necessari allo sviluppo, e le braccia…
E rintracciare i residui della psiche o dell’economia contadina nei più raffinati congegni della società industriale, o nei suoi interpreti, costituisce, ancora oggi, un’affascinante ricerca dell’archeologia dello spirito».
Ecco io ritengo che tu abbia egregiamente sviluppato questa riflessione mettendo a nudo e facendo conoscere in maniera eccellente l’autentica architrave dello spirito della Sicilia al netto di qualsiasi compromissione e sporcizia mafiosa! I miei complimenti!
Oddo – Ho conosciuto Corrado Barberis in un convegno che si svolse a Ragusa, per iniziativa del Centro Studi “Feliciano Rossitto”, dal 26 al 28 marzo 1987.
Lui tenne una relazione sulle tendenze dell’agricoltura di quegli anni e io una comunicazione sugli spigolatori di Modica. Diventammo subito amici e abbiamo poi avuto modo di incontrarci tante volte a Roma e in altre città italiane, tra cui Saint Vincent.
Non so su quale testo lui abbia scritto questa sua frase, ma è certo che io la citai per la prima volta in un articolo pubblicato all’inizio del 2000, quando ero consulente nazionale di Turismo Verde, sulla rivista della CIA nazionale «Nuova Agricoltura», commentando con soddisfazione il fatto che qualche tempo prima gli eredi del conte di San Marco, principe di Mirto, signore feudale di Villafrati, avevano donato la loro dimora palermitana, Palazzo Mirto, alla Regione Siciliana con la clausola di trasformarlo in museo. Ciò che mi interessava dimostrare era che la magnificenza del Palazzo Mirto era intrisa del sangue e del sudore dei contadini senza terra di Villafrati, tiranneggiati e oppressi dai gabelloti e dalla mafia.
Fiore – Per non parlare dell’incipit di una poesia popolare siciliana, La storia di lu viddanu, che amava recitare il tuo omonimo nonno paterno: «Sapissivu la pianta d’unni veni, a discinnenza è tutta di viddani», “sapeste da dove viene la struttura della società, la discendenza è per tutti da contadini”. Vero Pippo?
Oddo – Vero. Questa poesia mio nonno (contadino di cui porto orgogliosamente il nome e il cognome) la recitava spesso e volentieri agli amici di tutti i ceti in piazza e ai noi nipoti nelle rigide serate invernali attorno al braciere. Potrei però aggiungere – e la buonanima sarebbe d’accordo con me – che se non fosse stata inventata l’agricoltura, gli umani non avrebbero mai avuto il dominio sulle altre specie animali, né tantomeno si sarebbero affermati i valori di cui siamo portatori.
Fiore – Hai assolutamente ragione! Penso anch’io, avendone esperienza diretta, mio padre era un contadino, che i valori di solidarietà e sacrificio vengono e si sviluppano dalla terra dove trovano il giusto humus per crescere e sconfiggere la sfiducia. Senza la terra e i suoi frutti si è di fronte a spiriti aridi, egoistici e cattivi come lo sono stati i latifondisti e il loro contorno.
Oddo – Va detto, però, a loro discolpa, che l’egoismo dei singoli latifondisti affondava le radici nel processo di formazione storica delle istituzioni pubbliche nel Mezzogiorno d’Italia, prima e dopo l’unificazione nazionale.
Fiore – Se il problema della terra nella tua Sicilia non si fosse trovato di fronte a una storia ricca di abusi e soprusi, di sfruttamento, di ingiustizie, di sangue, oggi avremmo una Sicilia diversa, più moderna e strutturalmente più al passo con i tempi?
Oddo – Penso anch’io che la Sicilia sarebbe diversa, soprattutto sotto l’aspetto economico e dei poteri democratici.
Ma non so fino a che punto sarebbe “al passo con i tempi”: i tempi attuali sono anche quelli in cui le mafie stanno facendo affari d’oro a livello planetario e il contrasto al malaffare delle masse popolari, almeno in Sicilia, non è minimamente paragonabile a quello dei tempi della grande epopea contadina dell’immediato secondo dopoguerra.
Intendiamoci: ai nostri giorni di mafia si parla più di allora. Se ne parla nelle scuole, nei convegni, nei congressi sindacali, nel giorno della memoria. Sono sorte tante associazioni antimafia.
Ma capita spesso che un personaggio che si è riempito per anni la bocca di antimafia venga poi scoperto come organico al sistema di potere mafioso.
Fiore – Intuisco che se la “questione agraria” avesse trovato una classe dirigente più accorta, non si fosse lasciata prendere nella rete dei compromessi, delle brutture delinquenziali del brigantaggio della banda Giuliano, della mafia, dei gabelloti, dei campieri e non ci fosse stato il clima di imbarbarimento generale dei rapporti umani nel secondo dopoguerra, avrebbe perso prima la sua centralità nella storia della Sicilia e, come dicevo prima, ci sarebbero state conseguenze molto positive per la tua terra… e di riflesso per tutto il mezzogiorno d’Italia.
Oddo – Il problema della classe dirigente siciliana del secondo dopoguerra non è stato ancora studiato a sufficienza. Ma non c’è dubbio che, per quel poco che ha potuto accertare la mia ricerca sulla questione agraria, le sue scelte pesano ancora come macigni nell’Isola e nell’intero Meridione d’Italia.
La questione meridionale, come ha avuto modo di osservare Salvatore Lupo, non è però un tutto unico, né tanto meno va confusa o può coincidere con la storia del Mezzogiorno.
Fiore – Quanta voglia di riscatto c’era nella povera gente dell’epoca?
Oddo – La voglia di riscatto era proporzionale alla millenaria attesa della proprietà della terra e alle scelte del governo. I decreti Gullo, e segnatamente quello per la concessione delle terre incolte alle cooperative di lavoro e, poi, la legge della Regione Siciliana del 1950 sulla riforma agraria, segnarono un crescendo di protagonismo contadino consapevole di battersi per il rispetto della legalità contro le prepotenze degli agrari e dei gabelloti mafiosi.
Fiore – Nel mentre leggevo il tuo libro cresceva in me una curiosità…
Oddo – Quale?
Fiore – Questa: come mai a nessuno, prima di te, fosse venuto in mente di scandagliare così in profondità la questione della terra in Sicilia e liberarla finalmente dai lacci e lacciuoli della cronaca addomesticata per ragioni forse anche di Stato.
Oddo – Perdonami, ma io credo che non sia del tutto vero che a nessuno sia venuto in mente di approfondire l’analisi della questione agraria siciliana.
I lavori di Renda e di Giarrizzo, ancorché più generalisti, hanno fatto da apripista alla mia lunga ricerca; ed altri recenti studi tematicamente circoscritti (ampiamente citati a piè di pagina) mi hanno offerto importanti spunti di riflessione.
Al netto della suggestione letteraria insita nella metafora “il miraggio della terra”, quello che forse distingue questo lavoro dagli altri sono l’originalità dell’approccio (che sposa convintamente (senza però sacrificare l’obbiettività) il punto di vista dei contadini senza terra, assetati di giustizia sociale, e la perseverante tensione partecipativa, mai disgiunta dal rigore scientifico e dal provvidenziale beneficio del dubbio, con cui il progetto editoriale è stato portato avanti in tutti questi anni.
Fiore – Tu, oggi, hai il merito di aver indirizzato il nostro sguardo sulla storia della Sicilia al di là dell’orizzonte, hai dato a fatti ed episodi delle certezze storiche che prima non si avevano! Prima di oggi c’era il si dice, il si racconta, ma mancava assolutamente la certezza delle fonti. Tu, con la tua pazienza, con la tua saggezza, con la ricerca spasmodica sei andato oltre e hai tolto la tantissima polvere che si era accumulata sotto i tappeti del quieto vivere. Oggi i tuoi volumi su “il miraggio della terra”, ad incominciare dal quarto, dovrebbero essere oggetto di lettura e di commento in tutte le scuole della Sicilia e le presentazioni devono invadere il territorio per far sì che il messaggio, il tuo messaggio venga recepito ovunque e il sacrificio di sangue di tanti sindacalisti e animatori sociali non sia sgorgato inutilmente.
Oddo – Prima della pubblicazione dei miei libri, i drammi della Sicilia erano stati raccontati con le necessarie pezze d’appoggio anche da studiosi di chiara fama. Ciò che forse è mancato è stata una precisa scuola di pensiero che vi abbia dato continuità, sistematicità e occasione di ulteriori approfondimenti, che avrebbero potuto offrire riferimenti più solidi alla mia ricerca sulla questione agraria. Ad ogni buon conto, i miei libri presentano i limiti e i pregi di tutte le opere ideate e scritte da una sola persona. Quanto all’uso che suggerisci tu, io mi accontenterei di molto meno. Non mi faccio illusioni perché nella mia vita ho avuto modo di fare anche tante cose di un certo valore, che però non hanno solitamente retto all’usura del tempo: come i castelli di sabbia costruiti sulla spiaggia, sono stati spazzati via dalla prima folata di vento. Ma certo, l’ambizione di chiunque scriva è quella che lo scritto sopravviva all’autore. Mi affido pertanto alla clemenza dei lettori e degli eventuali futuri consultatori dell’opera, interessati ad un’accurata esplorazione delle radici dei punti di forza e dei nei nascosti della società del loro tempo.
Fiore – Ora o mai più, caro Pippo, bisogna far emergere dalla sottovalutazione compiacente i piccoli episodi la cui eco, come scrivi tu, risulta “appena percepita e spesso fraintesa o banalizzata” ma furono immensi e fondamentali per uscire dal blocco agrario-mafioso e portare la Sicilia sulla via del progresso e della dignità. Noi di ScrepMagazine siamo pronti a darti una mano…
Oddo – Ti ringrazio moltissimo, caro Vincenzo. Ma, senza alzare ancora bandiera bianca, credo che spetti ad altri, uomini e donne, delle generazioni successive alla mia continuare su questa strada, tracciata dai miei maestri, ormai quasi tutti nel mondo dei più. Con quest’ultima lunga ricerca, io che appartengo alla generazione intermedia tra i protagonisti della stagione delle grandi lotte per la terra e i loro nipoti e pronipoti inurbati o emigrati, non rivendico altri meriti, se non quello della coerenza con ciò che sono sempre stato.
Fiore – Questo è il tempo di parlare con chiarezza, franchezza e senza timore, altrimenti i sacrifici, il sangue dei 38 sindacalisti uccisi, i funerali celebrati dopo anni e anni, vedi il caso di Placido Rizzotto, non saranno serviti a nulla…
E tu, oggi, dopo questa fatica immane che hai fatto girando in lungo e in largo, cercando fonti, parlando con i testimoni ancora in vita, hai il diritto di veder premiato questo impegno che hai svolto con la caratteristica della tua anima, l’umiltà!
Oddo – Quanto ai sindacalisti uccisi, mi sono sempre rifiutato di dare i numeri, perché non tutte le vittime innocenti di mafia sacrificate sull’altare della rendita parassitaria e degli interessi inconfessabili del blocco agrario-speculativo erano sindacalisti e non tutte le vittime sono state censite. Ci sono ancora casi da approfondire, come per esempio, quello dell’ex sindaco di Naro Pino Camilleri, che nonostante le mie ricerche approfondite, presenta delle ombre. Basti ricordare che in un elenco approntato dal Ministero dell’Interno risulta ucciso a Riesi, in provincia di Caltanissetta, mentre gli atti del Comune di Naro (dov’era nato) attestano che morì in un luogo imprecisato del proprio territorio comunale.
In ogni caso, la mia ricerca sulle vittime innocenti di mafia non ha lasciato mai nulla di intentato per cercare di correggere date, nomi e circostanze raccontate in modo errato o impreciso, senza fare sconti nemmeno ai miei lavori precedenti costruiti con le fonti di cui disponevo. E i risultati credo che non siano mancati.
Fiore – In contropiede rientriamo nel canovaccio del libro. Quanto incisero in Sicilia i decreti del Ministro dell’Agricoltura e Foreste, Fausto Gullo, e in particolare il decreto n. 279 del 19 ottobre 1944, che assegnava le terre incolte a cooperative di contadini?
Oddo – Il decreto Gullo sulle terre incolte e quello per la ripartizione dei prodotti agricoli a condizioni più favorevoli per i mezzadri – come del resto quello del settembre 1947 sull’imponibile di manodopera – incisero molto perché fecero capire ai contadini e ai braccianti che lo Stato era finalmente dalla loro parte e che l’opposizione degli agrari e dei mafiosi costituiva una palese violazione di legge.
Fiore – Il Ministro dell’Interno, Mario Scelba, e la strage di Portella della Ginestra. Atto iniziale di un “depistaggio di Stato” senza precedenti?
Oddo – Scelba ha tante responsabilità anche in questo caso, che però vanno lette per quelle che sono, tenuto conto del clima arroventato tra le forze politiche conseguenti alla rottura dell’unità nazionale antifascista. Ma i depistaggi erano già cominciati prima ad opera dell’Ispettore regionale di PS, Ettore Messana, e del capitano Alfredo Angrisani, comandante del Gruppo esterno della Legione dei carabinieri: due fini investigatori implicati peraltro nell’opera d’insabbiamento, con la complicità di magistrati reazionari, dei procedimenti giudiziari aperti a carico degli assassini dei sindacalisti. Le responsabilità vere di Scelba sull’eccidio di Portella della Ginestra attengono alla segretazione degli atti.
Fiore – Il ruolo della CGIL e i suggerimenti di Giuseppe Di Vittorio, suo segretario generale, per le lotte per la terra in Sicilia…
Oddo – Peppino Di Vittorio, che da giovane aveva fatto il bracciante nella sua Puglia, fu sempre presente ai bisogni della povera gente dei campi della Sicilia e di tutto il Mezzogiorno. Lungimirante com’era, nel 1949, nel clima della guerra fredda e delle divisioni sindacali, lanciò un «Piano del lavoro», volto a valorizzare le risorse energetiche territoriali e unire nella lotta i lavoratori e i disoccupati.
Fiore – La mafia uccide… ma mai risulta colpevole! Vedi i casi Maniaci, Epifanio Li Puma, Placido Rizzotto, etc.
Oddo – Esatto. Il caso di Giuseppe Maniaci, in particolare, la dice lunga sulla frettolosità con cui furono chiuse le indagini senza individuare i colpevoli, posto che l’uomo fu ucciso il 22 ottobre 1947 e il verbale di chiusura delle indagini di una misera paginetta porta la data del 7 aprile 1947. Proprio così: 7 aprile 1947, anche se la data probabile di quella ignominia doveva essere il 7 aprile 1948, ossia 11 giorni prima delle elezioni politiche del ‘48. Ma è mai possibile che nessuno abbia notato un errore cosi grossolano nel documento che accordava l’impunità agli assassini? Ancora: nell’unico caso in cui gli assassini di un sindacalista (Giuseppe Spagnolo di Cattolica Eraclea, ucciso nella notte che dava sul 14 agosto 1955) furono condannati all’ergastolo in tutti i tre gradi di giudizio, nessuno di loro fece un solo giorno di galera, perché erano già emigrati nel Nuovo Mondo.
Fiore – Nel frattempo le leggi agrarie del 1950 invece di dare sollievo al mondo agricolo siciliano e meridionale in generale, avrebbero determinato valori di progresso e di sviluppo per la locale economia, costituiscono parte fondamentale ed essenziale per la strategia furbesca di assicurare alla DC il potere nel Mezzogiorno agricolo anche tramite la Coldiretti di Ivanoe Bonomi.
Emblematico al riguardo il caso del fallimento della riforma a Sciara con la conseguente uccisione di Salvatore Carnevale…
Oddo – Il giudizio sui risultati della riforma agraria in Sicilia, a mio avviso, merita di essere articolato. Non c’è dubbio che tra assegnazioni ai contadini (circa 100.000 ettari di terra), vendite legali e illegali di terra da parte degli agrari, prima e dopo l’approvazione della legge di riforma agraria, il latifondo scomparve nel giro di pochi anni. E uscirono di scena pure i gabelloti. Ma non tutti i contadini che ebbero assegnata la terra riuscirono a mantenerla: molti furono presto costretti a svenderla. Ad avvantaggiarsi della riforma furono solo marginalmente i contadini che avevano lottato, sfidando la mafia. Andò molto meglio alla Coldiretti e alla Dc, che privilegiavano l’impresa contadina a conduzione familiare. Precisato questo, hai fatto bene a citare il caso di Sciara e dell’omicidio Carnevale, perché – come ho avuto modo di rilevare nel libro – il procedimento giudiziario che seguì, con le sue luci e le sue ombre, può essere il grimaldello per riaprire i processi delle vittime innocenti di mafia alle quali nessun Tribunale ha mai dato finora giustizia.
Fiore – E continuavano i fermi della polizia a carico degli attivisti del sindacato e dello stesso PCI per evitare il diffondersi del credo della necessità di liberare la terra dal latifondo. E’ il caso, per esempio, di Antonietta Profita, responsabile dell’associazione provinciale Donne della campagna…
Oddo – Sì, e fra l’altro, quello di Antonietta Profita (sulla quale ho scritto un libro) è solo uno dei tanti esempi che si possono portare.
Fiore – Ma le trasformazioni dei terreni richiedono notevoli investimenti che i contadini non hanno, cresce sempre più la sfiducia per il mancato rientro dei debiti contratti e la voglia di cercare fortuna altrove, nell’emigrazione, anche perché una nuova classe di mafiosi avanza e non ti dà nemmeno la possibilità di respirare, che “direttamente o tramite parenti e uomini di loro fiducia mettono le mani in pasta sugli enti di riforma e di bonifica” facendo cadere nel nulla quanto di buono si stava facendo…
Oddo – Tutto vero. E fra l’altro gli assegnatari non possono competere con le aziende capitalistiche che si formano sulle ceneri del latifondo, anche perché il limite posto dalla legge regionale all’estensione della singola proprietà terriera (200 ettari) viene eluso mediante artificiosi frazionamenti tra i componenti della famiglia proprietaria e vendite fittizie a prestanomi; senza contare che le terre assegnate sono di solito le più impervie e pietrose. Inoltre, scomparso il latifondo, il sottobosco speculativo, che vi prosperava, va ad annidarsi e fa nuovi affari, generalmente anche più lucrosi, negli enti gestori della riforma e nei gangli decisivi dell’amministrazione regionale, deputati ad accompagnare gli assegnatari nella fase di avvio delle trasformazioni. Il risultato fu che i contadini più giovani e intraprendenti furono costretti ad emigrare o a cambiare mestiere.
Fiore – Non tutto però negli anni cinquanta era mafia o prepotenza mafiosa, c’erano importanti campagne giornalistiche di contrasto a tutto questo. Me ne vuoi parlare?
Oddo – Con molto piacere. Il fatto nuovo degli anni ’50 è l’arrivo, nel 1954, alla direzione del quotidiano palermitano “L’Ora” di un direttore dallo spessore etico e culturale del calabrese Vittorio Nisticò, formatosi alla scuola del “Paese Sera”, il quale si intestò una campagna giornalistica di contrasto alla mafia, che finì per mettere insieme le più belle firme dell’Isola e per formare una nuova leva di giornalisti democratici, alcuni dei quali fanno tuttora onore alle redazioni dei giornali nazionali. L’Ora dovette fronteggiare intimidazioni e attentati, ma non si arrese e contribuì decisivamente alla sconfitta di più di un boss.
Fiore – Siamo alla cosiddetta «Operazione Milazzo»…
Oddo – Già, la stagione della rivolta allo strapotere democristiana e del mito dell’industrializzazione dell’Isola, che aprì le porte a tante speranze, molte delle quali andarono presto in fumo, prima che cominciassero a fumare le immaginarie ciminiere. È la stagione che segna l’inizio della fine della civiltà contadina.
Fiore – La caduta del governo Tambroni (TAMBRONI E’ COSTRETTO A DIMETTERSI IL 19 LUGLIO) merito anche della Sicilia che in quel periodo lottava contro il carovita, per il lavoro, lo sviluppo, la costruzione di dighe, il completamento delle fognature, la sistemazione della viabilità urbana e rurale, la realizzazione di un cospicuo numero di alloggi popolari?
Oddo – In questo caso (su cui ho scritto un romanzo autobiografico) il ruolo della Sicilia, con suoi sette figli uccisi dalla polizia (uno a Licata il 5 luglio; quattro a Palermo l’8 luglio e due a Catania lo stesso giorno) è stato determinante per salvare la democrazia a livello nazionale.
Fiore – La scomparsa delle lucciole è la scomparsa della campagna e il perdurare del miraggio della campagna? Un sogno mai compiutamente realizzatosi? O la nascita di una realtà industriale in linea con quanto stava accadendo nel nord Italia e in buona parte dell’occidente europeo? O la nascita di una società consumistica “legata al fascino degli stili di vita urbani che facevano anche il benessere del mercato dell’antiquariato al grido: cu avi cosi vecchi, ca ci canciu. Antichi lumi, bracieri, ferri da stiro a carbone e altra oggettistica ceduti volentieri in cambio di qualche… moderno… fiore di plastica!”
Oddo – La scomparsa delle lucciole di pasoliniana memoria è assunta nel mio articolato percorso narrativo come metafora del grande passaggio d’epoca che appanna il miraggio della terra enfatizzando nel contempo il fascino della tuta blu e del consumismo a portata di chiunque abbia la possibilità di firmare cambiali. Sono ora l’emigrazione e le rimesse degli emigrati ad alimentare i nuovi stili di vita, le propensioni consumistiche e l’affermazione del modello “usa e getta”.
L’attesa millenaria del possesso proprietario della terra in molte realtà comincia a trasformarsi nella propensione dei nuovi lavoratori extra-agricoli all’acquisto di un mini fondo destinato all’autoconsumo familiare, su cui costruire una seconda casa.
Fiore – E prende sempre più corpo il dilemma esistenziale se partire o restare nell’Isola, dilemma diffuso anche nel resto dell’Italia meridionale e che aveva preso corpo nell’immediato dopoguerra come dimostrano gli accordi firmati tra il governo italiano e quello belga che sancivano la fornitura al nostro Paese di un quantitativo di carbone compreso tra i due o tre milioni di tonnellate a prezzo preferenziale in cambio della partenza dall’Italia di 50 mila lavoratori di età inferiore ai 35 anni a gruppi di 2000 a settimana.
Oddo – Verissimo. Le risposte al dilemma non erano ovviamente tutte uguali. Si dava persino il caso che i membri di una stessa famiglia lo risolvessero in modo differente: un fratello cui non mancavano le occasioni di lavoro salariato o riusciva ad essere assunto come portiere di un condominio, restava; e magari cercava di venire in possesso di un fazzoletto di terra da adibire ad orto; un altro partiva e cercava di mettere insieme un po’ di denaro per ristrutturare o ingrandire la casa. Quanto all’emigrazione italiana in Belgio, cade a proposito ricordare che l’8 agosto 1956 un gigantesco incendio distrusse la miniera di carbone Bois du Cazier di Marcinelle, uccidendo 262 lavoratori, 136 dei quali italiani. Di questi 5 erano siciliani. Non per questo cessò l’esodo rurale. Nel solo 1968, come ricordava il socialista Gaspare Saladino con un suo intervento all’Assemblea Regionale, dalla Sicilia emigrarono ben 242.881 persone, di cui circa 143.000 nel Nord Italia e quasi tutto il resto nei paesi europei più industrializzati (Germania, Francia, Svizzera).
Fiore – Ed è così che la parola d’ordine la terra ai contadini viene sostituita con la terra a chi la lavora e nei comuni rurali si continua a lottare, a morire e a continuare a vedere la legge non trionfare.
Oddo – Proprio così. E intanto i borghi di troppe realtà dell’entroterra collinare e pedemontano cominciavano a perdere i connotati originari e diventavano sempre meno i figli dei contadini disposti a lavorare in campagna come attività principale.
Fiore – E nel frattempo la Sicilia va in marcia con il poeta e intellettuale Danilo Dolci verso un nuovo mondo con il suo movimento elitario atipico, che, come scrive Renda, concorse notevolmente ad arricchire il panorama della lotta sociale e politica isolana immettendovi l’alito della grande cultura e il nostro Pippo Oddo si prepara a presentare lunedì 5 luglio 2021 alle ore 18,30 ai Cantieri Culturali della Zisa, via Paolo Zili, 4, Palermo nello spazio all’aperto tra la sede dell’Istituto Gramsci Siciliano e quello dell’Arci Tavola Tonda il suo “Il miraggio della terra in Sicilia. Dallo sbarco alleato alla scomparsa delle lucciole (1943 – 1969)” attorniato da compagni, amici, dirigenti sindacali, studiosi di storia sociale, del protagonismo femminile e dell’antimafia sconosciuta, dai partigiani della libertà sgombra da ogni ipoteca mafiosa, dai parenti di tutte le vittime innocenti di mafia, e da noi di ScrepMagazine che abbiamo voluto questa intervista anticipatrice dell’evento!
Buon tutto, caro Pippo, e ad maiora!
Oddo – Troppo buono, caro Vincenzo.
Ti sono sinceramente grato per l’intervista e per la qualità delle domande che mi hai rivolto, dalle quali trasuda la serietà e l’interesse con cui hai letto questo libro, che io dedico alle nuove generazioni e non senza la speranza che, se anche una sola persona venuta al mondo nel terzo millennio vi trovasse qualche motivo d’interesse, ciò significherebbe che valeva la pena di scriverlo.
Di Danilo Dolci e del nuovo mondo, anch’esso in fuga come un incubo al rallentatore, se vuoi, potremo parlare in seguito. Grazie ancora, a presto.
… a cura di Vincenzo Fiore
Clicca sul link qui sotto per leggere il mio articolo precedente:
[…] “a tu per tu con… ” Pippo Oddo […]