Le vacanze in remoto… di tanti anni fa
Prima parte
Quasi 50 anni fa, in quel 1972, io e gli inseparabili Corrado e Walter decidiamo di trascorrere le nostre prime ferie all’estero.
Sinceramente avevamo già fatto un timido tentativo l’anno precedente, con una breve vacanza a Opatja, in Jugoslavia, ma non erano state ferie.
Era stato praticamente solo un soggiorno climatico sulle spiagge dell’Istria dopo le ultime estati trascorse nel campeggio di Cavallino, dove eravamo soliti piazzare le tende.
Questa volta il progetto era molto più ambizioso: volevamo ritornare in Jugoslavia, risalirla e attraversarla fino a Belgrado, raggiungere la Romania, costeggiare il Mar Nero, entrare in Bulgaria, visitare Sofia e rientrare in Italia riattraversando la Jugoslavia.
Un progetto molto ambizioso con tante incognite, visto che si trattava di paesi poco attraversati dal turismo di massa che, oltretutto, doveva ancora essere pensato e impostato.
Insomma si trattava di andare alla ventura, diciamo pure alla cieca, senza sapere cosa potessimo trovare, chi incontrare e come sarebbe stato vivere per quelle tre settimane con una popolazione forse e sicuramente non ostile, ma con un regime politico sospettoso e autoritario.
L’unica certezza era la mia macchina appena acquistata, ma usata con soli 10.000 Km. nel motore: un’AUDI 60, uscita dopo anni di contenzioso tra le due Germanie, che si contendevano il marchio nato nella seconda guerra mondiale.
Altra certezza la spesa ridotta considerato il cambio monetario a noi favorevole e il conseguente maggior potere d’acquisto.
Comunque, la voglia di avventura, l’eccitazione di realizzare finalmente qualcosa di diverso dalle solite vacanze monocolori a cui le famiglie ci avevano abituato e la soddisfazione di aver ottenuto, seppur con qualche distinguo, l’approvazione dei nostri genitori, aveva caricato di molto il nostro morale e soprattutto regnava l’incoscienza tipica dei 23 anni che scartava a priori ogni dubbio.
Studiammo nel mese di Luglio tutto quello che ci poteva servire, e nei minimi dettagli.
I passaporti ormai pronti… si trattava solo di tracciare la rotta grazie a una cartina geografica che ci eravamo procurati in una libreria specializzata.
La macchina messa a punto con l’installazione di un piccolo filtro nella cannula che portava la benzina al carburatore, vista l’alta probabilità che la stessa, in quei posti, fosse raffinata molto male.
E facemmo molto bene tanto da non finire mai di ringraziare il meccanico soprattutto quando nel corso del viaggio osservavamo altri turisti alle prese con i problemi di carburazione dettati dalla benzina che assomigliava di molto al gasolio.
Ci procurammo un portabagagli robusto, sul quale stendemmo un enorme telo di nylon, dopo aver caricato la tenda e tutto quello che non riuscimmo a inserire nel pur capiente bagagliaio, dove trovarono posto oltre all’abbigliamento, scarso e molto hippy, anche le scorte alimentari, necessarie a sopperire eventuali penurie di cibo… pelati, spaghetti, scatolette di vario genere, crackers e altro non deperibile per il caldo.
Walter, che lavorava in una concessionaria di auto a Mestre, riuscì a convincere il titolare a prestargli un’ autoradio con mangia cassette incorporato, che installammo in modo precario ma perfettamente funzionante.
Mancavano ormai pochi giorni… l’eccitazione e il nervosismo alle stelle per l’ansia di controllare e ricontrollare che tutto fosse a posto.
Prendemmo in mano la carta stradale della Jugoslavia e cominciammo a studiarla per stabilire un minimo di tracciato con dei punti di riferimento precisi, sicuri che in loco avremmo trovato altre piante più particolareggiate.
Il 4 Agosto 1972, ore 7,30, si parte. Era un sabato.
Avevamo davanti a noi ventuno giorni di tempo per percorrere circa 6000 Km. di strade e superstrade malridotte che non avevano nulla delle nostre autostrade. Dolo, Trieste, Nova Goriza, Liubljana, Zagabria, Belgrado…
Ed eccoci ai saluti di rito, ai baci e abbracci con i genitori che un po’ imbarazzati cercano di nascondere la loro preoccupazione.
Via… il mondo è nostro!
In autostrada fino a Trieste va tutto a gonfie vele, siamo ancora in Italia.
E ora comincia il bello: oltrepassata la frontiera ci rendiamo conto di essere entrati in un altro mondo in termini di geografia, di usi e costumi.
Siamo in un Paese di cui sappiamo poco o nulla, vista la cortina di ferro che esiste e il confronto che dobbiamo avere con persone che nella migliore delle ipotesi non ti danno retta, quando non sono scortesi.
Di persone gentili poche.
Giungiamo a Lubljana e per poco non si interrompe bruscamente il sogno della bella vacanza: a un incrocio evitiamo per centimetri un’auto che arrivava a tutta velocità. Guidavo io: brusca frenata e super bianchi di paura.
“Ma quello stronzo è passato col rosso” dico “non sono affatto daltonico”!
Mi sono di conforto i miei compagni di viaggio che annuiscono silenziosi e visibilmente impauriti.
Il vigile presente a bordo strada ci fa segno di proseguire… tutto regolare.
Il morale è sotto i tacchi e i dubbi accantonati prima della partenza riaffiorano impietosi.
E’ l’una passata, anzi quasi le due, quando facciamo una breve sosta a Zagabria, lungo la strada, in una specie di bar – locanda, dove, se ci penso, ancora non ho capito cosa mangiammo.
Andiamo via alla svelta, nessuno parla, l’umore è quasi sotto i tacchi…
Nessuno di noi pensava che il viaggio sarebbe stata una passeggiata: in ogni caso la sberla brutale presa fu salutare, ci fece bene e cominciammo a svegliarci.
Corrado più grande di noi di alcuni anni rompe il silenzio: “D’ora in poi sarà meglio seguire delle regole ben precise: poca confidenza a tutti se non si è sicuri con chi abbiamo a che fare.
La Jugoslavia deve essere per noi solo terra di transito… non facciamoci rovinare le vacanze.
Marciamo spediti… prima si arriva in Romania, meglio è!”
La strada è da incubo… la “Superstrada”, almeno sulla carta, Zagabria – Belgrado poco più larga della nostra famigerata statale Romea, è fatta di lastre di cemento saldate tra loro con bitume.
Perché? Altrimenti d’inverno il ghiaccio polverizzerebbe l’asfalto, viene spiegato in tedesco a Corrado presso un distributore di benzina da una persona molto gentile.
Corrado masticava bene il tedesco.
Sembrava di correre su delle rotaie, du-dum, du-dum, du-dum.
Qualcosa di pazzesco. Ogni tanto ai lati della strada carcasse di camion e di macchine, distrutte o bruciate, quasi un deterrente per chi avesse voglia di fare il “bravo” al volante. Assolutamente non male come idea.
Finalmente siamo a Belgrado.
Seguiamo le indicazioni per il campeggio, percorrendo lunghi viali alberati con ai lati altissimi grattacieli.
Ci siamo.
Finalmente montiamo la tenda, ci laviamo alla men peggio anche perché essendo un luogo di passaggio non è molto pulito.
Evitiamo di cucinare, come prima sera bastano un paio di scatolette di tonno e carne, delle patatine fritte sopravvissute al viaggio dall’Italia, crackers e birra a volontà.
Ore 22, complice la stanchezza, già siamo in braccio a Morfeo.
Belgrado alle 7 del mattino seguente ci riserva una leggera nebbiolina che lascia subito il posto al sole.
Una rapida consultazione della cartina comperata allo spaccio ci indica come arrivare al confine rumeno: bisogna attraversare in diagonale tutto il centro città o quello che è e seguire la segnaletica internazionale, il cartello verde E107.
Sulla cartina tutto facile, in pratica è tutt’altro.
Tra un’imprecazione e un’altra, In qualche modo riusciamo a districarci e a mettere alle spalle i grattacieli della capitale.
Finalmente un sospiro di sollievo si leva in coro.
La notte passata ci ha ricaricato il morale e ci ritroviamo impazienti di continuare il cammino, visto che consideriamo la Jugoslavia come una scocciatura, una parentesi verso altre e più agognate mete.
La strada per raggiungere il confine per la Romania è relativamente breve, circa un’ora o poco più di auto.
Qualche chilometro prima del confine ragazzini seminascosti ai lati della strada ci offrono cambi moneta più vantaggiosi di quelli ufficiali, quasi il doppio.
Corrado saggiamente suggerisce di non cambiare troppi soldi: per precauzione dobbiamo effettuare anche un cambio ufficiale all’ingresso e se ci dovessero pescare con un sacco di soldi potrebbero esserci storie non belle.
Romania: le formalità di frontiera prendono un po’ di tempo ma ormai sentiamo di essere sulla strada giusta.
La rotta è già segnata, prossima tappa Timisoara e da lì i Carpazi fino a Bucarest con il dubbio se fermarci o no in uno dei tanti campeggi segnati sulla carta, proprio nel regno del conte Dracula.
Arriviamo a Timisoara che è circa mezzogiorno, abbiamo fame, l’ultimo pasto decente lo abbiamo fatto in Italia, di tirare fuori tutta l’attrezzatura per cucinare qualcosa non se ne parla assolutamente anche perché non ancora a conoscenza delle regole da campeggio.
Ci fermiamo in un parcheggio su una grande piazza, giusto per tirare il fiato e capirci qualcosa; ci guardiamo attorno e vediamo un’insegna che sembra indicare un ristorante.
Breve consultazione, decidiamo di scendere per andare a controllare di persona. Sistemiamo la macchina nello spazio giusto, mentre qualche curioso si avvicina per osservare da vicino i 4 cerchi simbolo dell’Audi, forse ricordando le auto degli ufficiali delle SS.
Ci facciamo coraggio e entriamo cercando di capire come funziona la cosa, anche perché non ci sono tavoli liberi o per poche persone.
Grandi tavolate piene di gente che mangia in silenzio, probabili impiegati di qualche ufficio o burocrati statali, non è dato sapere.
Si avvicina un tizio in giacca bianca e ci fa cenno di accomodarci in un grande tavolo dove sono sedute tre persone che alzano gli occhi, fanno un cenno col capo e riprendono a mangiare.
Il discreto tedesco di Corrado aiuta a risolvere la situazione: mangiamo carne con delle verdure, un po’ di pane, acqua e birra.
Chiediamo il conto e, fatti due calcoli, scopriamo di aver mangiato in tre con 408 lire italiane.
Ci rilassiamo un po’ dopo il pasto, fa caldo; prendiamo la ormai famosa cartina, la esaminiamo con attenzione e tracciamo una nuova rotta, aiutati anche dal cameriere visto che il locale è ormai quasi vuoto.
Arad, Brad, Brasov, Ploiesti, Bucarest, Mamaja, ovvero il Mar Nero.
Ed eccoci di nuovo in macchina, carichi di adrenalina fino a scoppiare.
Le strade sono impossibili ma a noi non importa niente: è ritornato lo spirito iniziale.
Francesco Danieletto
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