Vacanze in remoto di tanti anni fa

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Clicca sul link qui sotto per leggere la prima puntata:

Vacanze in remoto di tanti anni fa

Vacanze in remoto… di tanti anni fa

seconda puntata

Ripartiamo senza indugi: destinazione Arad.

Ci alterniamo alla guida con la famosa e ormai sgualcita guida cartacea in mano per non sbagliare; la strada scivola via abbastanza veloce, passiamo  la città e appena giunti nei pressi di Brad intravediamo le Alpi transilvaniche con  il registratore che spara musica a tutto volume.

Sembra di essere “on the road” senza le sterminate pianure americane.

Giunge la sera e con essa una pioggia torrenziale. Non si vede a un palmo dal naso, illuminazione, zero.

Mancano ancora parecchi chilometri per arrivare a Brasov.

Decidiamo di trovare un campeggio dove trascorrere la notte.

Ci infiliamo in una stradina d’ingresso nel campeggio.

L’uomo di guardia ci ferma e ci fa capire che non c’è posto.

Lo guardiamo stupiti, il prato è vuoto. Cerchiamo di spiegargli che siamo stanchi, che con quella pioggia non vogliamo rischiare e che preferiamo fermarci.

Niente da fare, irremovibile.

Arriva un italiano, è di Roma: ci spiega che, purtroppo. noi italiani ci siamo fatti una cattiva fama da queste parti.

Tanta, troppa gente, è partita dall’Italia con scatole di calze di nylon o profumi di basso costo, convinta che bastasse quella mercanzia per ottenere una vacanza  sessuale a buon mercato.

Aggiunge che per tali motivi è forte l’ostilità nei nostri confronti e che per evitare guai ci conviene fare fagotto e sparire alla svelta perché da queste parti non scherzano e potrebbe succedere qualunque cosa, anche la peggiore se si trova l’ubriaco di turno.

Ripartiamo abbastanza innervositi e con la coda tra le gambe con  la pioggia che per fortuna è diminuita d’intensità e ci consente di viaggiare sia pure con cautela agevolati dal traffico inesistente.

Raggiungiamo Brasov alle 22.

Tutto tace, sembra di essere in una città fantasma.

Decidiamo di continuare il viaggio a oltranza, alternandoci alla guida.

Traguardo? Ploiesti!

Una selva di ciminiere, sembra di essere a Marghera.

Ci ritroviamo in una stradina all’interno di una raffineria… andiamo in crisi.

Eravamo stati seguiti da altre due macchine: una coppia di francesi e una di belgi, convinte che conoscessimo la strada.

Risata generale, più isterica che altro.

Comunque dopo una buona mezzora di giri e girini riusciamo a uscirne e a imbroccare  la retta via.

Finalmente Bucarest.

In coro diciamo: ”Almeno qui ci sarà un po’ di vita!”

Ore 3,30, l’auto ha sete.

Ecco un distributore aperto! Una vera fortuna.

Nel fare benzina ci accorgiamo che il faro di sinistra non funziona.

Fusibile bruciato?

Il benzinaio dichiara la sua disponibilità a risolverci il piccolo inconveniente e come d’incanto riparte il mangiacassette con Supermarket di Lucio Battisti.

Quasi un presagio del brutto che volge al bello.

Siamo già a lunedì. Eravamo partiti di sabato mattina dall’Italia e non ci eravamo più fermati a parte la parentesi di Belgrado.

Siamo stanchi ma non vediamo alternative, dobbiamo proseguire fino alla meta finale: il Mar Nero.

Ritorna il benzinaio con in mano il fusibile e contemporaneamente una macchina della polizia si ferma vicino alla nostra.

C’è un comprensibile momento di panico, ci guardiamo un po’ impauriti, osservando il poliziotto che si dirige verso di noi.

Un sorriso e prosegue verso l’auto.

Si siede al volante, armeggia finché non riesce ad alzare il volume.

Chiude gli occhi… è in estasi, felice.

Roba da non credere, ci guardiamo esterrefatti mentre il benzinaio cambia il fusibile ridendo e anche noi scoppiamo a ridere.

Volle ascoltarla quasi due volte prima di lasciarci andare… giusto in tempo, cominciavamo ad avere istinti omicidi.

Arriviamo sul Mar Nero alle sei di mattino, non c’era molta strada tra Bucarest e Costanza.

Troviamo un campeggio a Mamaia, quasi un incubo, quattro alberi e tutt’intorno terra e polvere.

E questa era la spiaggia delle élites della Romania di Ceausescu!

Evitiamo di fare gli schizzinosi, montiamo la tenda in fretta e furia e ci buttiamo nel sonno completamente vestiti.

Il sole a picco anticipa il nostro risveglio, sono le due del pomeriggio, riordiniamo le idee e un po’ di cose.

Walter tira fuori tutta l’attrezzatura per cucinare, io e Corrado andiamo a vedere se si può recuperare del pane e qualcosa da bere dopo aver fatto una doccia ed esserci messi in costume.

Osserviamo una vecchia Fiat 1100, primi anni 60, fermarsi a un metro da noi, è già due volte che la incrociavamo, targata Padova, sono in quattro, facce da galera, sulla trentina.

Il guidatore, sicuramente ci aveva sentiti parlare, ci dice: “Se ciava?”

E mi tornano alla mente le parole del romano riguardo alla cattiva fama di noi italiani.

Aveva ragione!

Li mandammo al diavolo!

Per fortuna non li abbiamo più visti.

Allo spaccio prendiamo pane, birra, una specie di salame, uova e altro.

Corrado nota delle bottiglie di vetro da mezzo litro, chiuse con tappo di sughero e spago convinto che fosse vino.

Non ci fu verso di fargli cambiare idea!

Ne prende quattro, mentre io osservo con la coda dell’occhio le commesse ridere tra di loro.

Quando arriviamo in tenda il mistero delle risate è svelato: ha comperato due litri di aceto.

Walter va giù colorito in dialetto tirando in ballo la pesca, le sardine e il famoso

veneziano.

Tutto si conclude con una risata.

Alla sera proviamo a fare un giro in città, ci avevano indicato un posto dove ascoltare buona musica e trascorrere una serata in compagnia di altri giovani.

Un buco nell’acqua!

Tanti sguardi curiosi, ragazze blindatissime e complesso da parrocchia.

Il giorno seguente rimettiamo a posto i bagagli nella macchina, facciamo un bagno in mare e alle 16, smontata la tenda e l’attrezzatura, decidiamo di provare l’accoglienza in Bulgaria.

La Romania non era stata all’altezza delle aspettative.

Passiamo il confine alle sei di sera e al primo campeggio ci fermiamo; sembra di essere nella giungla, tanto è il verde che ci circonda.

Breve discussione in tedesco tra Corrado e l’impiegato che, con i nostri passaporti in mano, dice ironico all’aiutante, sempre in tedesco: “Alza la sbarra, sono arrivati i capitalisti”.

Capitalisti a noi!  Brutto stronzo!

Prepariamo per la cena. Avevamo bisogno di mangiare un bel piatto di spaghetti.

Ecco avvicinarsi un tizio, napoletano scopriamo poi, che in ginocchio ci implora di dargli un piatto.

Era  fermo da una settimana, aveva rotto il motore della macchina e stava aspettando che gliela riparassero.

Ormai da giorni mangiava solo patate e salsicce.

Ci lasciamo prendere dalla commozione e lo facciamo accomodare, dicendogli che il tutto non diventasse un’abitudine.

Un paio di giorni di sano e pieno relax ci volevano proprio.

Riposo, bagni, saltuarie conoscenze, visto che il campeggio era non stanziale ma di passaggio.

Siamo a venerdì. Una settimana è quasi volata via, decidiamo di levare le tende, è proprio il caso di dirlo, in cerca di qualcosa di più attraente.

Notiamo sulla cartina che la città di una certa consistenza è Varna, con diversi campeggi in riva al mare.

E rieccoci di nuovo in viaggio. Abbastanza breve a dire il vero.

Ci accomodiamo in un Camping con la C maiuscola, dove troviamo campeggiatori della Germania dell’Est e di tanti altri Paesi.

La città non presentava niente di particolarmente interessante ma uno dei nostri maggiori motivi di curiosità era quello di uscire dalle rotte turistiche, magari consigliate, per osservare da vicino la vita reale e vera.

Alternavamo, quindi, sole e bagni, a visite nei negozi del centro, in cerca di cose impossibili, divertendoci a confrontare le nostre usanze con le loro.

Attraversando i paesi che trovavamo lungo la strada, si spulciava nello stile di vita tipico dei regime dell’est.

Con il senno del poi penso che quella gente non facesse la fame anche se  il loro tenore era di gran lungo più arretrato del nostro.

Nelle città più grandi, invece, si notava la diversa maniera di vestire, di parlare e una dimensione più socievole e molto più emancipata culturalmente.

In ogni caso, eravamo convinti che occhi discreti controllassero le nostre mosse, quando uscivamo dai circuiti “normali”.

Per fortuna non ci è successo mai niente.

On the road di Francesco Danieletto … continua
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Francesco Danieletto
Sono Francesco Danieletto e sono nato a Dolo, terraferma veneziana, a metà strada tra Padova e Venezia. Sono e ormai sarò sempre uno spirito ribelle, autonomo in tutto anche adesso che la malattia mi ha costretto a una parziale invalidità. Malattia che però ha avuto, come succede spesso in tutte le cose, un lato positivo perché ha risvegliato quel lato poetico, letterario che era sopito da molto tempo e che non avevo più preso in considerazione nella gioventù. Non sono uno scrittore che si siede a tavolino anzi sono l’esatto contrario. Sono convinto che affrontare la realtà in tutte le sue sfumature vuol dire accettare che la vita non è un tappeto di fiori dove poter camminare a piedi scalzi. Ho al mio attivo alcune pubblicazioni, divise tra racconti e poesie. Ho fondato e presiedo l’associazione culturale: “La Pentola dei nodi” a Dolo, dove vivo.

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