Una volta la Scienza era libera

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Il “gigante cinese dei geni” raccoglie i dati di milioni di donne: 8,4 milioni ad oggi il numero di donne che hanno fatto il test.

Un test prenatale usato in tutto il mondo invia i dati genetici delle donne incinte alla società che lo ha sviluppato (in collaborazione con i militari).

Rischio per la sicurezza?

Questa “nota azienda cinese” vende test prenatali in tutto il mondo e ne sta usando i risultati per raccogliere dati genetici nell’ambito di ricerche per definire i tratti specifici delle varie popolazioni.

Si tratta di BGI Group che sta accumulando ed analizzando tramite intelligenza artificiale questi risultati.
Mentre la scienza individua nuovi legami tra i geni e i tratti umani, l’accesso al più grande e vario insieme di genomi umani è, di fatto, un vantaggio strategico.
Questa tecnologia potrebbe infatti spingere la Cina a realizzare prodotti farmaceutici globali, ma anche, in linea di principio, a creare soldati geneticamente migliorati o agenti patogeni ingegnerizzati per “colpire chirurgicamente” alcune popolazione o le coltivazioni agricole.

Il test prenatale di BGI, uno dei più popolari al mondo, è quindi una fonte incredibile di dati genetici e questa società li ha già utilizzati per “migliorare la qualità di vita della popolazione” contrastando, ad esempio, la perdita dell’udito e per l’esercito cinese, per combattere il mal di montagna nei soldati.

BGI dice che memorizza e analizza campioni di sangue e dati genetici dai test prenatali venduti in almeno 52 Paesi in tutto il Mondo per rilevare anomalie come la sindrome di Down nel feto.
I test – marchiati NIFTY per “Non-Invasive Fetal TrisomY” – catturano anche le informazioni genetiche della madre ed altri dettagli personali come il paese, l’altezza, il peso… ma non i dati anagrafici.

BGI non ha dichiarato quante donne hanno fatto il test all’estero ed ha affermato che memorizza solo i dati di localizzazione delle donne nella Cina continentale.

Un utilizzo proprio legato alla Cina, per esempio, è stato effettuato utilizzando un supercomputer militare per ri-analizzare i dati NIFTY e mappare la prevalenza di virus nelle donne cinesi, cercare indicatori di malattia mentale e individuare alcune minoranze al fine di individuare collegamenti tra i loro geni e le loro caratteristiche psico-somatiche.

La società ha pubblicato almeno una dozzina di studi congiunti sui test con l’Esercito Popolare di Liberazione (PLA) dal 2010.

Ma anche i dati del DNA raccolti dai test prenatali su donne al di fuori della Cina sono stati memorizzati nel database genetico peraltro finanziato dal governo cinese, uno dei più grandi del mondo e non accessibile!

Ad oggi non esistono prove che BGI abbia violato gli accordi sulla privacy dei pazienti o i regolamenti internazionali su tale materia.
Tuttavia, la politica sulla privacy sul sito web del test NIFTY dice che i dati raccolti possono essere condivisi quando è “direttamente rilevante per la sicurezza nazionale o la sicurezza della difesa nazionale” ma solo in Cina…

Pechino ha infatti chiarito in un regolamento del 2019 che i dati genetici possono essere una questione di sicurezza nazionale e contemporaneamente dal 2015 ha limitato i ricercatori stranieri ad accedere ai dati genetici dei cinesi, al contrario, per esempio, di Stati Uniti e Gran Bretagna che invece danno libero accesso ai ricercatori stranieri come parte delle politiche di “open-science”.

BGI ha comunque dichiarato che “non è mai stato chiesto di fornire – né fornito – i dati dai suoi test NIFTY alle autorità cinesi per scopi di sicurezza nazionale o di difesa nazionale”.

In verità altre aziende vendono tali test prenatali e riutilizzano anche i dati per la ricerca, ma nessuna opera sulla scala di BGI o, peggio, hanno legami diretti con un governo e con militari.

La NATO ha avvertito come questa enorme mole di dati può dare nuove informazioni per sbloccare i segreti genomici dell’intera Umanità e per conquistare la leadership globale nella biotecnologia.

Il Ministero degli Affari Esteri cinese ha detto che si tratta di “accuse infondate e diffamazioni” e che “la Cina ha rilasciato nuove leggi sulla privacy e la sicurezza dei dati che offrono una maggiore protezione dei dati personali”.
Guarda caso però tali leggi permettono anche alle autorità cinesi di sicurezza nazionale di accedere a tali dati…

BGI non ha risposto che “in nessuna fase del processo di test o di ricerca BGI ha accesso a qualsiasi dato personale identificabile o la capacità di abbinare quei dati con i record personali.

Peraltro chi effettua il test firma in anticipo il consenso alla elaborazione dei dati secondo protocolli sulla privacy che soddisfano i più rigorosi standard internazionali. BGI è una società con sede in Cina, ma ci consideriamo parte della corsa globale verso la fine della pandemia di COVID-19 e un contributore internazionale chiave per l’avanzamento dei risultati di salute pubblica in tutto il mondo”.

Le donne che hanno firmato tali moduli hanno fornito il consenso affinchè i loro dati genetici fossero conservati e utilizzati per la ricerca ma nessuna di loro ha chiaramente capito che le informazioni genetiche finivano in Cina.

Per esempio, una di loro, una signora di 32 anni in Polonia, ha firmato un modulo BGI accettando di far archiviare il suo campione e i suoi dati genetici con finalità di ricerca, ma il modulo non diceva dove tutto ciò sarebbe stato tenuto e non chiariva che la sede centrale e la base di ricerca di BGI sono a Shenzhen.

La donna ha anche affermato che se lo avesse saputo e avesse capito la portata della ricerca secondaria di BGI, avrebbe scelto un test diverso.

Anche per le altre donne non era chiaro dove fossero conservati i loro dati.

Peraltro l’azienda di geni cinese fornisce anche test COVID in tutto il mondo.

Gli stessi “milioni” di kit per test Covid 19 che BGI ha donato ai laboratori di sequenziamento genico fuori dalla Cina, faceva anch’esso parte di uno sforzo per raccogliere grandi quantità di materiale genetico straniero.
Ed infatti BGI quest’anno ha costruito 80 laboratori COVID-19 in 30 paesi in tutto il mondo…

BGI ha brevettato i suoi test nel 2011 e ha iniziato a commercializzarli all’estero nel 2013.
Nel giro di tre anni, più di 2.000 fornitori a livello globale li stavano vendendo, secondo i dati di marketing di BGI.
Nel 2019, l’ultimo anno completo prima della pandemia di COVID-19, BGI ha riferito che il 42% delle sue vendite di 2,8 miliardi di yuan (433 milioni di dollari) proveniva dalla sua divisione di salute riproduttiva.
I test prenatali sono la maggiore fonte di entrate.

Sarà tutto vero? Non sarà tutto vero?

Il virus del COVID è “scappato” da un laboratorio cinese o no? BGI è in combutta coi militari?
Sarà difficile appurarlo.

Di fatto “la politica” espansionistica cinese è sotto gli occhi di tutti e, purtroppo, occorre notare come una borsa comprata in uno store cinese dopo qualche mese si sgretola inquinando il mondo di plastichette varie, la Svezia scopre tamponi contaminati cinesi per test COVID, nello scorso mese di maggio un razzo cinese malfunzionante in caduta libera sulla Terra si è fortunatamente (ma non per quell’habitat marino) inabissato nell’Oceano Indiano, Huawei – pare – spia le reti cellulari sfruttando backdoor e registrando video, foto e telefonate,…e con tutti questi dati in futuro potrebbe essere addirittura possibile ricostruire le abitudini oltre all’aspetto di una persona ricavandola da un banale test NIPT…

Leggi anche : https://screpmagazine.com/go-china-go/

“Una volta la Scienza era libera” forse adesso occorre “liberare la Scienza” da chi non sa usarla bene.

Clicca sul link qui sotto per leggere il mio articolo precedente:

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