Tommaso Aniello, per tutti Masaniello

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Tommaso Aniello, chiamato da tutti Masaniello, fu per dieci giorni a capo di una rivolta antispagnola, a Napoli.

Siamo nel 1647 e dal 1559, anno della pace di Cateau – Cambrésis, il regno di Napoli, che comprendeva tutta l’Italia meridionale, la Sicilia e la Sardegna si trovarono sotto la dominazione spagnola che esercitava il suo potere attraverso le figure dei viceré che governavano ognuna una parte del regno. In particolare a Napoli il viceré, all’epoca dei fatti che vado a narrare era Rodrigo Ponce de Leόn, duca d’Arcos diventato viceré nel 1642.

Il governo spagnolo imponeva un gravoso carico fiscale i cui ricavati non venivano utilizzati per opere utili alla collettività ma per finanziare le numerose guerre che la Spagna aveva intraprese in quel periodo. Inoltre, le tasse non venivano pagate da tutti i ceti sociali, nobili e clero ne erano esonerati e questo accresceva il malcontento popolare anche perché la nobiltà napoletana, sul modello di quella spagnola, ostentava l’ozio sfarzoso in cui viveva e il disprezzo per ogni tipo di lavoro. Nel 1647, fu imposta, accanto alle altre, una odiosa tassa sulla frutta che costituiva la base dell’alimentazione popolare.

Il popolo, angariato dai potenti e stremato da carestie ricorrenti, insorse non solo per la tassa ingiusta imposta in quel momento ma per una condizione di disagio e di malessere che durava da tempo.

Il 7 luglio 1647, Masaniello (1620 – 1647) e l’abate Giulio Genoino (1567 – 1648) al grido di << Viva il re di Spagna e mora il mal governo! >>, diedero inizio ad una insurrezione che dilagò nella città di Napoli e nel circondario.

Masaniello era un giovane garzone di pescivendolo, analfabeta, che era stato ispirato dalle idee di Genoino, anziano giurista che lottava per i diritti del popolo già da tempo. La rivolta guidata da Masaniello iniziò al mercato dove gli esattori erano andati per esigere la tassa sulla frutta.

La rivolta diventò immediatamente violenta, nella città furono bruciati i registri dei dazi, nelle campagne furono uccisi nobili signori e le case gentilizie furono incendiate. Nelle cronache del tempo, gli storici si chiedono come mai un << vile pescatore>> sapesse di armi, barricate e strategie difensive; la guerriglia e le violenze durarono fino al 10 luglio.

Mentre avvenivano questi fatti, l’abate Genoino con altri collaboratori, il 9 luglio 1647, stese un testo contenente le richieste degli insorti. I punti fondamentali erano: la fedeltà di Napoli alla Spagna, un miglioramento nel governo della città, la riduzione delle tasse, la richiesta di perdono a Masaniello per gli atti violenti commessi.

Dal 10 luglio le cose cambiarono, Masaniello apparve a cavallo, ben vestito mentre si reca dal viceré a chiedere l’osservanza delle richieste popolari. Queste furono accolte, dopo questo atto il viceré fuggì da Napoli e Masaniello fu nominato <<capitano generale del fedelissimo popolo di Napoli>>.

Masaniello incominciò a governare la città ma iniziò anche a comportarsi in modo strano, forse preso dall’ebbrezza del successo e del potere, compì atti crudeli, confische e contribuzioni forzose di cui non si comprese il fine.

IL 14 luglio, secondo quanto scrive G. Donzelli in Partenope liberata (1647), Masaniello e la famiglia furono invitati dal viceré, duca d’Arcos a passare una giornata nella residenza estiva di Posillipo. Masaniello accettò l’invito e la viceregina mandò la sua carrozza con sei cavalli perché fossero condotti a palazzo. Giunti a palazzo furono ricevuti con grande onore, a Masaniello e alla moglie furono offerti titoli nobiliari, abiti molto eleganti e gioielli. Quindi salirono sulle feluche (piccole imbarcazioni a vela) per recarsi a Posillipo. Accompagnati da persone della corte, Masaniello con il viceré, la moglie con la viceregina e seguiti da otto feluche di guardia, mentre viaggiavano suscitarono l’invidia del popolo che mormorava non essere quello il momento di fare gite a Posillipo e poi, vestiti in quel modo e con quei gioielli che avrebbero consentito di comprare tanto pane per i poveri.

Dopo questa giornata, il popolo non si fidò più di Masaniello. Egli stesso diede prova di non essere più in sé, qualcuno raccontò che, fuori di sé, fosse andato a mare a gettare monete ai pesci; coloro che odiavano gli spagnoli dissero che, nella gita con il viceré, avessero fatto bere al povero pescatore vino drogato e, a riprova di ciò, sostenevano che il giorno dopo avesse vomitato più volte e che ormai la droga avesse danneggiato in modo irreparabile il suo cervello. A questo punto, restava una sola cosa da fare, eliminarlo.

Il 16 luglio 1647, Masaniello si trovava nel Convento del Carmine dove aveva appena fatto la comunione ed era uscito a prendere un po’ d’aria. Lo uccisero a colpi di archibugio, gli tagliarono la testa per portarla ai mandanti dell’omicidio quale prova della sua morte. Il misero pescivendolo aveva temuto quella fine, pochi giorni prima aveva chiesto agli amici di dire un’Ave Maria quando l’avessero ucciso.

Maiolino Bisaccioni che scrisse nel 1655 Historia delle guerre civili di questi ultimi tempi, così giudica la fine del povero Masaniello: << Incominciò il popolo ad abhorrire colui, che poche ore prima haveva adorato, né si deve stimare a meraviglia, perché di già il popolo haveva ottenuto per suo mezzo quanto poteva desiderare, e è costume della gente bassa (e oh piacesse che tra i popolari solo ne fosse il vitio) di non haver memoria, anzi sprezzare e odiare il benefattore, ottenuto il beneficio >>.

Ingratitudine, dunque, del popolo nei confronti di Masaniello, ma chi organizzò la sua morte? Sicuramente il viceré che ingannò con falsi riconoscimenti il ribelle e intanto tramava con Genoino che non approvava più il comportamento del suo, fino a pochi giorni prima, amico; gli esecutori materiali furono popolani.

La rivolta di Napoli non si fermò con la morte di Masaniello, continuò ancora per molti mesi e si concluse solo l’anno dopo. Cambiò anche il suo carattere, da rivolta contro il malgoverno locale diventò una delle tante rivolte antispagnole del periodo, si concluse solo quando il popolo fu ridotto alla fame e la città bombardata a cannonate.

Alla potenza di fuoco del governo spagnolo che nelle sue azioni sembrò spinto da una sete di vendetta si aggiunse la reazione violenta dei baroni locali che esercitarono il potere riconquistato punendo duramente i contadini e coloro che avevano sostenuto la rivolta.

E’ l’arroganza del potere di cui nella storia abbiamo tanti esempi. Gli storici hanno sostenuto che per il periodo considerato si può parlare di “rifeudalizzazione” perché si salda fortemente il legame tra corona spagnola e i baroni, latifondisti meridionali. Questa situazione facilitò la repressione di ogni tentativo di cambiamento condannando le terre del Sud a permanere in uno stato di arretratezza e di decadenza di cui ancora oggi paghiamo il prezzo.

Masaniello è stato variamente giudicato nel tempo. Nel secolo successivo, la sua figura fu esaltata come quella di un uomo generoso, capace di lottare per i diritti del suo popolo e contro le dominazioni straniere; questa immagine è durata nel tempo.

Nel secolo scorso, però, soprattutto il filosofo Benedetto Croce disegnò la figura di Masaniello come quella di un uomo incolto, rozzo ma furbo, prepotente con i deboli e servile con i potenti. Il giudizio che ne dà Croce si inquadra perfettamente nel giudizio molto critico che esprime nei confronti dell’Italia sotto la dominazione spagnola:<< Una decadenza che s’abbracciava a un’altra decadenza >>. La decadenza di cui parla Croce è uno scadimento morale, culturale, religioso.

Il giudizio di Croce incontrò molte critiche ma ridimensionò la figura di Masaniello visto più recentemente come un impiccione, uno che deve dire sempre la sua, un capopopolo occasionale.

Credo che un giudizio definitivo su Masaniello non ci sia ancora, a me piace pensare che Masaniello garzone di pescivendolo, piccolo contrabbandiere più volte arrestato si sia sentito attraversare da un soffio di libertà, che abbia voluto veramente che il popolo si ribellasse ai potenti, quei potenti che lo ingannarono e che, senza pensarci due volte, lo tradirono, così come lo abbandonarono gli amici fidati.

Dieci giorni durò la sua avventura; cosa sono dieci giorni in millenni di storia? Eppure il povero rivoltoso è ancora ricordato, forse perché abbiamo bisogno di credere che se un tempo ci furono uomini disposti a mettersi in gioco per il bene comune, altri ce ne potranno essere ancora a darci speranza per un futuro migliore.

Gabriella Colistra

Clicca il link qui sotto per leggere il mio articolo precedente:

Le foglie e i fogli

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