Testa di rapa

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«Testa di rapa»: una battuta del nostro Sud

Sebbene, nel gergo popolare, la rapa sia associata a persona con la testa dura, ottusa, anche stupidotta, come ci attesta la logica assortita di non pochi predicati nominali e verbali (“è una testa di rapa”, “cavar sangue da una rapa”, “valere quanto una rapa”), per converso, in cucina e in gastronomia, questo nostro comunissimo ortaggio vanta di essere un bel concentrato di virtù salutari.

Pertanto, non facciamoci cadere una tegola tra capo e collo con pregiudizi di questo genere. A proposito, da noi Calabresi, un «ceramiru», curiosamente, si concede qualche villania, senza indulgere, tuttavia, all’irriverenza da mala educación. Seguiamolo in un brevissimo focus archeologico, allora, o per lo meno proviamoci! La tegola di Pellaro, al Museo Nazionale di Reggio Calabria (parleremo di questo, cari lettori), fu rinvenuta nel 1975 a 10 km da Reggio, sulla costa ionica, ed è databile intorno alla seconda metà del III sec. a.C..

Reca inciso un messaggio da sms in un greco latinizzato al disotto ed a destra di una grande iscrizione centrale la cui lettura, con la relativa traduzione, suona grosso modo così: «la (tomba) di Clemente, schiavo di Alfio Primione».

A dire il vero c’è pure una rappresentazione figurativa che fa di questa epigrafe un manufatto parlante, come se ci fosse immortalata una scena vivente tra due amici del defunto.  Anthos di Reggio e il vasaio Ermeros, anch’essi schiavi, lo salutano, al vocativo: «Addio, testa di rapa, tu che pretendi la libertà, scostumato, cattivo fornaciaio, primogenito mal comprato!». Tegola (che parla) a mo’ di Esopo, proprio così!

C’è tutta la durezza degli appellativi con cui il povero Clemente, probabilmente di salute malferma, era trattato in vita dal padrone della fornace, un tal Alfio Primione: una favola amara il cui epilogo antifiabesco sa tanto di quell’immobilismo sociale contro cui il nuovo macera tra fatiche d’Ercole non sempre sostenibili.

Forse quest’elemento laterizio è diventato negli anni la legge dell’ostrica di verghiana memoria, chissà!

Francesco Polopoli

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Francesco Polopoli
Sono laureato in Lettere classiche, docente di lingua e letteratura latina e greca presso il Liceo Classico di Lamezia Terme (CZ), membro del Centro Internazionale di Studi Gioachimiti. Divulgo saggi a tema come, a solo titolo di esempio, Echi lucreziani e gioachimiti nella Primavera di Botticelli, SGF 2017, ... Ho partecipato a convegni di italianistica, in qualità di relatore, sia in Europa (es. Budapest) che in Italia (es. Cattolica di Milano). Attualmente risiedo a Lamezia Terme e da saggista amo prendermi cura dell’antico come futuro sempre possibile di buona memoria. Il mio parere sul blog? Un vascello post-catulliano ove ritrovarsi da curiosi internauti: al timone del vascello ci stanno gli autori, passeggeri sono i tanti lettori a prova di click…

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