La verità

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Giorni fa facendo zapping in TV mi sono imbattuta in una manifestazione in cui sul palco una giovane signora decisa e accalorata gridava:<< La verità! La verità è quella che oggi vi comunicherò! Vi stanno ingannando, vi dirò io la verità! >>. Ho subito cambiato canale perché non mi interessava la riunione dei No Mask e No vax ma ho subito pensato: Beata lei! Da millenni filosofi di tutto rispetto si pongono il problema della verità che  è il problema della filosofia e ancora brancolano nella nebbia e lei giovane, fresca e battagliera, probabilmente digiuna di filosofia, ha trovato la verità.

La verità, per definizione, è ciò che è conforme o coerente ai principi dati o a una realtà oggettiva.

Il primo a porsi il problema è stato, nel VI sec. a. C., Parmenide di Elea definito da Platone “venerando e insieme terribile“, la sua ricerca della verità (alètheia) influenzerà tutta la filosofia antica.

Parmenide ritiene che si debba fare un lungo cammino per accedere alla verità che non è frutto di intuizione immediata ma necessita di riflessione e tempo. Egli infatti nel suo Poema sulla natura immagina di intraprendere un viaggio notturno e periglioso verso la dimora di Dike, la giustizia, che gli indicherà le vie da seguire per giungere alla verità.

Il sapere di Parmenide richiama il sapere sacro dei sacerdoti per il tono solenne a tratti oscuro, tipico delle filosofie italiche (Parmenide visse ad Elea in Campania), ma se ne distacca per il contenuto che si sposta su un piano logico e razionale che, gradatamente, prenderà il posto della cultura mistico – sacerdotale.

Per Parmenide il problema della verità si compendia tutto nel problema dell’essere che esprime sia l’ordine del mondo che il pensiero che pensa il mondo <<… Infatti lo stesso è il pensare e l’essere>>. L’uomo possiede due forme di conoscenza: quella sensibile con cui coglie la doxa, cioè l’apparenza delle cose; quella intellettuale che coglie la vera essenza delle cose, alètheia. Quest’ultima capacità non è di tutti ma solo di chi riuscirà ad usare bene l’intelletto, conoscerà la verità e potrà dimostrarla in modo persuasivo ed evidente.

Il volgo invece è “sordo è cieco” incapace di andare al di là dell’apparenza delle cose, istupidito dal frastuono e dal mutare delle sensazioni vaga confuso perché non sa decidere quale direzione convenga prendere. Etimologicamente la parola alètheia significa non nascosto, quindi la verità è come uno scoprire qualcosa di velato che deve essere trovato.

In questo senso la parola ebbe fortuna anche molti secoli dopo quando A. Schopenhauer sostenne che la vera conoscenza delle cose si ha solo sollevando il velo che le copre <<La vista del rozzo individuo è turbata da quello che gli indiani chiamano il velo della Maya: il luogo della cosa in sé, egli vede soltanto il fenomeno, nel tempo, nello spazio>>. Sollevando il velo di Maya, l’uomo scopre la verità che per il filosofo è solo volontà di vivere, un principio cieco e irrazionale che governa il mondo della natura e la nostra vita.

La verità come alètheia troviamo anche nel ‘900 in M. Heidegger filosofo tedesco che definì la verità “chiaroscurale“, verità di cui non abbiamo pieno e continuo possesso e che consiste nella conoscenza dell’essere.

Andando indietro nel tempo, il cristianesimo affermò la sua verità che non è altro che la Legge di Dio che contiene le idee e i pensieri di Dio. Tommaso D’Aquino distinse tra la verità ontologica che è l’adeguarsi di un ente all’intelletto divino (adaequatio rei ad intellectum) e verità logica o umana che è l’adeguarsi del nostro intelletto alla cosa (adaequatio intellectus nostri ad rem).

Questa ultima considerazione mi riporta ancora più indietro, ad Aristotele che fu il primo ad avere chiara la differenza tra verità ontologica e verità gnoseologica. La verità ontologica è quella che riguarda l’essere stesso e la realtà. Il filosofo nella Metafisica scrive:<< Ogni cosa possiede tanto di verità quanto possiede di essere>>. È questa la forma più alta di verità perché ciò che è al di sopra dei sensi è più vero di ciò che cade sotto la nostra sensibilità. La verità gnoseologica, invece, è quella che trova corrispondenza tra il pensiero e le cose, è quella che è alla base delle varie scienze in cui si cerca appunto tale concordanza.

Naturalmente ci sono anche coloro che ritengono che la verità non esista come i relativisti, tra questi i sofisti. Gorgia di Lentini formula un vero e proprio manifesto del nichilismo antico che ebbe nel tempo molti seguaci. Negano l’esistenza della verità anche gli scettici che estendono il dubbio su tutto, sapendo che ogni ricerca è vana e quindi bisogna astenersi dal giudicare, la parola che usano per indicare tutto ciò è << epoché>>.

Il termine si ritrova più tardi, nel ‘900, quando il filosofo tedesco E. Husserl considerò l’epoché come metodo della filosofia che conduce a scoprire non tanto l’esistenza delle cose quanto il loro significato. Il significato ha bisogno della coscienza che diventa realtà assoluta e fondamento di ogni altra realtà:<<Sono io quello che esercita l’epoché, sono io che interrogo il mondo come fenomeno, quel mondo che vale ora per me nel suo essere e nel suo essere tale con tutti gli uomini che esso comprende, dei quali sono così pienamente certo; […] il mondo ha senso per me puramente come mondo: io nella mia piena concretezza abbraccio tutto ciò>>.

Si potrebbe continuare ancora per molto ma mi fermo qui. È chiaro, credo, che riflettere sulla verità e soprattutto raggiungerla sia un tema molto complesso, rischioso e pieno di sorprese.

I filosofi vogliono comprendere le cose, analizzarle e, definirle, l’uomo comune molte volte non vuole essere disturbato dai pensieri, preferisce accantonare un suo dubbio esistenziale, lasciare senza risposta i suoi perché, divagare, divertirsi. Va bene anche così, è certamente legittima la superficialità e la leggerezza ma questo tipo d’uomo può più facilmente cadere nella rete di imbonitori, ciarlatani e complottisti che nella storia ci sono sempre stati a far danno agli altri ma oggi sono più pericolosi perché hanno sovraesposizione nei media, affollano la rete e arrivano dappertutto.

Un giorno, un Dio fattosi uomo disse:<< Io sono la via, la verità e la vita>>. Fu arrestato, processato, condannato alla crocifissione. Le sue parole, però, hanno infiammato i cuori che ancora bruciano per una fede millenaria, per dirla con Nietzsche.

Oggi, una che comunica qualcosa che spaccia come verità in piazza a un pubblico osannante e plaudente, chi sostiene che “il covidddi non c’è” merita articoli sui giornali e molte visualizzazioni sul web. Le loro parole dureranno poco e le fiammate che suscitano sono fuochi fatui che si spegneranno presto ma potrebbero lasciare in giro pericolose idee.

La santa ignoranza avanza spavalda e arrogante a grandi passi, riusciranno buone letture, incontri con amici fidati, la magia infinita di un cielo stellato, un mare di ricordi e occhi aperti e consapevoli sul passato e sul futuro a salvarci?

Spero di sì. Allora, proviamoci!

Gabriella Colistra

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