La leggenda di Diana Recco e il suo cavallo bianco

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Quando l’alba con le sue dita di rose cominciava a colorare le volte oscure del cielo, apparvero agli sguardi dell’atterrita città i sette cadaveri degli infelici monteleonesi che penzolavano e facean mostra sanguinosa di se dai merli del castello”, scrive Giovan Battista Marzano“Giovanni e Ortensio Recco, Giambattista Capialbi, Domenico Milana, Francesco d’Alessandria, Sante Noplari e Tolomeo Ramolo, furono uccisi dal perfido impostore ed esposti a monito dei ribelli che erano rimasti speranzosi ad attendere una buona notizia.

Molti scrittori e poeti si sono lasciati affascinare dalla storia della giovane Diana, a lei hanno dedicato poemi e sonetti, sia in vernacolo che il lingua parlata.

I fatti si svolgono in un arco di tempo che va dal 1420 al 1518. Un arco di tempo molto lungo ma motivato da alcune premesse storiche, utili a comprendere la dinamica dei fatti accaduti. La Regina Giovanna II, ultima regnante del ramo angioino, per avere liquidità ed estinguere un debito di mille ducati, vendette la città di Monteleone di Calabria (prima dell’unità d’Italia, la città si chiamava solo Monteleone) a Claretta Caracciolo. Re Ferrante D’Aragona, alla sua ascesa al trono dopo la morte del Re Alfonso il magnanimo, suo padre, riscattando il debito nel 1479, restituì alla città il rango demaniale. Più volte, i cittadini monteleonesi, chiesero che la città restasse demanio e che la stessa, non fosse né venduta, né data in pegno. Nonostante queste precise richieste, la città fu rimessa in vendita per ben due volte. La prima volta dallo stesso Ferrante, la seconda da Federico II, detto Ferrantino. Ferrantino, come detto concesse la città, intorno al 1500 a Giambattista Brancaccio, per sé e per i suoi eredi, per la cifra di 3000 ducati, sotto la protezione del militare, Giovanni Lo tufo. Cosa non gradita ai cittadini di Monteleone, i quali si ribellarono. Il re, aguzzando l’ingegno, dietro il pagamento di 3000 ducati, punizione contro il Lo Tufo che non era stato in grado di sedare qualsivoglia ribellione sul nascere e 2000 in risarcimento agli eredi Brancaccio, restituì alla città, il ruolo demaniale, guadagnando anche 3000 ducati.

Alla morte del Re, uno zio degli eredi Brancaccio, tale Ettore Pignatelli, con l’ausilio di documenti falsi di acquisto, nel 1508, pretese di essere padrone di alcuni feudi, fra i quali, figurava Monteleone. Gli abitanti insorsero, cacciando le milizie del tiranno. Durante la notte, Giovanni Lo Tufo, riuscì a riconquistare il castello e con lusinghe varie, riuscì a convincere i sette capi della ribellione a recarsi presso il castello per discutere sulle condizioni di governo della città. Appena giunti, furono catturati e decapitati ed esposte, come monito, le sette teste sugli spalti del castello. Fra tutte, figuravano le teste di Ortensio Recco e suo padre Giovanni, affogando l’urlo di libertà nel sangue.

La leggenda narra che ogni notte dell’8 giugno, un cavallo bianco, scendeva a galoppo dal castello, percorrendo le vie della città di Monteleone, emettendo paurosi nitriti, con le narici infuocate mentre gli zoccoli scintillavano.

Questo per dieci anni di seguito.

Diana Recco, all’epoca dei fatti, era ancora una ragazzina ma aveva giurato vendetta così, durante i festeggiamenti per il matrimonio di Maddalena Lo Tufo con Ludovico Abenavoli, figlia di Giovanni, pugnalò l’assassino di suo padre e di suo fratello, ma anche degli altri martiri. L’anno è il 1519 e la giovane Diana, giunge a Lavello dopo dieci giorni di viaggio, non privo di insidie. Visto il rango degli sposi, le nozze vengono celebrate nella Cattedrale di S. Mauro, dal Vescovo Pietro Prisco Guglielmucci. La chiesa è piena di invitati blasonati e fuori viene allestito il banchetto. Al termine della cerimonia, Diana, vestita di blu, secondo i dettami del tempo, si avvicina a Giovanni Lo tufo, fingendo di volersi congratulare per le nozze e lo accoltella al cuore. Fatta la vendetta, la giovane donna, attraversò il paese sul suo cavallo bianco per un’ultima volta, scomparendo per sempre. È probabile che la giovane Diana, dopo la vendetta, sia stata accolta in qualche convento dal quale non ne è più uscita. Cosa non inusuale in quegli anni, dopo fatti di sangue.

Ancora oggi, a detta di qualcuno, il cavallo bianco e il fantasma di Diana, vagherebbero per il castello, apparendo e scomparendo nei pressi del pozzo, posto al centro del cortile del castello Normanno- Svevo.

Storia e leggenda si intrecciano e Diana, rappresenta l’esempio di una donna, che per ottenere giustizia, ha sacrificato la sua stessa vita.

La via dove si trova il castello, è dedicata ai “Sette Martiri”.

 

 

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