Talete è il primo filosofo che si incontra studiando filosofia. Nacque a Mileto, nella Ionia, nel VI sec. a. C. Di lui abbiamo poche notizie che arrivano da fonti autorevoli che le rendono altamente attendibili: Erodoto, Platone, Aristotele, Teofrasto.
Questi autori dicono di lui che fosse filosofo, scienziato e politico e che fosse stato incluso dagli antichi tra i Sette Sapienti della Grecia.
Le stesse fonti dicono che predisse una eclissi solare nel 610 a. C. o nel 585 a.C., l’incertezza della data è riconducibile all’incertezza sulla sua precisa data di nascita. A Talete viene anche attribuita l’enunciazione e la dimostrazione del teorema che da lui prende il nome.
Il suo impegno principale come filosofo fu quello di cercare un elemento naturale che potesse avere dato origine alle cose, trovò questo elemento nell’acqua che considerò principio di tutto e causa del permanere e del divenire delle cose stesse.
Intorno a questo filosofo si sviluppò anche una aneddotica, favorita dal fatto che, essendo il primo filosofo, incuriosì il suo atteggiamento diverso da quello degli altri uomini che si dedicavano ad attività ben definite, di lui si sapeva che dedicava la vita agli studi e alla riflessione, cose che lo impoverivano materialmente e lo facevano apparire agli altri come un personaggio stravagante.
Due fonti autorevoli e altamente attendibili, Platone e Aristotele, i più grandi filosofi dell’antichità, ci presentano Talete in due situazioni molto diverse. Platone nel Teeteto (174 a), una sua opera, scrive:
<<Talete, mentre stava ammirando le stelle e aveva gli occhi in su, cadde in un pozzo: e allora una sua servetta tracia, spiritosa e graziosa, lo motteggiò dicendogli che le cose del cielo si dava gran pena di conoscerle, ma quelle che aveva davanti e tra i piedi non le vedeva affatto>>
Le parole della spiritosa e graziosa servetta tracia descrivono un uomo distratto, preso da una contemplazione inutile e vuota che appare incapace di affrontare i problemi della vita comune. La servetta attiva, operosa, servizievole contrasta con l’immagine del filosofo svagato e sognatore che ha la testa tra le nuvole. Questa immagine si è diffusa nel tempo e i filosofi, talvolta è prevalsa quest’idea, sono stati considerati uomini incapaci di affrontare le cose del mondo.
Naturalmente non è così che va posta la questione e già Aristotele racconta qualcosa che dipana le nebbie. Aristotele nella sua opera Politica (11,159 a, 6) così scrive:
<<Di Talete dicono che, avendo previsto in base a computi astronomici un abbondante raccolto di olive, ancora nel cuore dell’inverno, si accaparrò tutti i frantoi di Mileto e di Chio, dando una cifra irrisoria: ma quando giunse il tempo della raccolta, li dette a nolo al prezzo che volle e, così, raccolte molte ricchezze, dimostrò che per i filosofi è davvero facile arricchirsi>>
Questo passo di Aristotele sembra smentire quanto dicevo prima. Talete non è più lo svagato pensatore caduto nel pozzo ma è diventato un uomo pratico, attento agli affari e alla vita attiva.
Quale sarà il vero Talete? Probabilmente nei due racconti vediamo le due facce di uno stesso uomo: un filosofo che ama pensare e contemplare, un uomo intelligente e, quando serve, di spiccato senso pratico.
Così penso sia la gran parte dei filosofi, uomini, e oggi anche donne, capaci di vivere con pienezza la vita e gli studi amati. Non amano il denaro i filosofi, la maggior parte di loro invita a non cedere al richiamo dei beni materiali ma piuttosto curare i beni spirituali, i soli capaci di dare la felicità.
Mi piace immaginare Talete sulla riva di un corso d’acqua, fonte di vita per ogni essere, in una notte piena di stelle da osservare. A cosa pensa? Forse a quella infinita coltre che incombe su di lui e gli fa sentire la piccolezza e la miseria di essere uomo; forse pensa agli studi matematici che gli avrebbero dato tanta fama; forse pensa alle applicazioni tecniche e pratiche della scienza per cui fu definito da Platone “ingegnoso nelle tecniche”. Forse sente che <<tutto è pieno di dei>>, che c’è vita intorno, ed è una vita intensa, forse sulle sue labbra comparirà un leggero sorriso pensando a come ha beffato coloro che lo deridevano quando stoltamente acquistava inutili frantoi. Forse non pensa a niente, guarda solo, ammirato, un cielo stellato che vorrebbe conoscere e in questo desiderio si ferma ogni altro pensiero.
Da lui inizia tutto, sono trascorsi millenni da quei giorni e la filosofia, secondo il mio parere, è ancora viva e meravigliosa.
Gabriella Colistra
Bellissimo, gentilissima professoressa Gabriella, il quadro leggiadro di Talete, il fondatore della Scuola Ionica, i cui seguaci attesero a studiare la Natura, cercando il principio materiale dei fenomeni naturali; fra i suoi seguaci, gli Eleatici concentrarono le loro speculazioni nella unicità e nella immutabilità dell’ente.
Talete, d’origine fenicia, di Mileto, si potrebbe accettare essere nato verso l’anno 620 a. C. (Burnet, Early Greek Philosophy, London, 1892, p. 370 ss); fu contemporaneo di Creso e di Solone ed uno dei Sette Savi. Morì l’anno 546 a. C.
Non essendoci pervenute sue opere dirette, le nostre fonti sono secondarie, cioè attraverso gli scrittori antichi, che riferiscono sulle sue dottrine, specialmente Aristotele in Met., I, 3, 983. Cf. Ritter et Preller.
Secondo Aristotele, quindi, Talete insegnò che tutte le cose furono fatte dall’acqua (ùdor), Met., 1,3, 983 b.
La tradizione storica, tuttavia, non dice come venne a questa conclusione; e la ragione che ci dà Aristotele (l’osservare l’umidità del nutrimento ecc.) non è che una sua congettura; per cui potrebbe anche essere che per una interpretazione razionalistica data al mito dell’Oceano, ed anche per aver osservati i depositi alluvionali dei fiumi della sua terra nativa, concludesse che, come la terra, così tutte le cose sono uscite dall’acqua (Cf. Chiappelli, Gli elementi egizii nella cosmogonia di Talete; Atti della R. Accademia di scienze morali e politiche di Napoli, Vol. 35, 1905, p. 333 ss).
Aristotele attribuisce a Talete anche il detto che “il magnete ha un’anima perché attira il ferro”;
sebbene ne parli condizionatamente, “se, veramente, egli dice” ecc.
Non è, inoltre, da credere l’interpretazione stoica di Talete che ci dà Cicerone: “Thales milesius aquam dixit esse initium rerum, Deum autem eam mentem quae ex aqua cuncta fingeret”; dualismo che appartiene al tempo di Anassagora. Così il detto che “Tutte le cose son piene di dei” (pànta plére theòn): De Anima, I, 5, 17 non è che una espressione della fraseologia propria di Aristotele sulla dottrina generale dell’animismo od ilozoismo (etimologicamente, infatti, materia vivente) credenza comune a tutti i primi ionici, i quali sostenevano che la materia è piena di vita; o, come direbbe un aristotelico, non distinguevano tra principio materiale e principio formale di vita.
Le rinnovo, prof.ssa Gabriella, i miei complimenti per aver esposto in modo veramente avvenente la Sua trattazione.
Michele dr. DI GIUSEPPE
Gentile dr. Michele, la ringrazio per le sue cortesi parole. Nella sua completa esposizione ha fatto notare come sia difficile muoversi sul terreno delle fonti che per quanto riguarda i primi filosofi sono poche, frammentarie e non sempre attendibili. Tendo, in questo confuso terreno, a dare fiducia a Platone ed Aristotele più che ad altri. Il motivo è presto detto: il loro rigore nella valutazione dei dati, spesso trasmessi oralmente. Poco credito, come lei dice, hanno, in questo caso, le tesi di Cicerone che ebbe vaghe e imprecise notizie dei primi filosofi. Le faccio ancora complimenti per il suo commento preciso e puntuale.
La saluto cordialmente, Gabriella Colistra
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