Giovanni Falcone, il giudice siciliano ucciso dalla mafia, soleva dire che le idee camminano sulle gambe degli uomini. Sono d’accordo con questa affermazione, le idee sono pensieri che la mente formula e sono gli uomini che con il loro muoversi le diffondono e con il loro agire le realizzano.
Dovrebbe essere sempre così ma vediamo spesso che idee, affermatesi nel corso del tempo, sembra arretrino invece di avanzare, o subiscono un imprevisto arresto. Pensavo questo mentre leggevo alcuni passaggi della Lettera sulla tolleranza (1685) di John Locke.
John Locke (1632 – 1704) è un filosofo inglese, esponente dell’empirismo che ebbe un notevole interesse ad indagare i rapporti che intercorrono tra la libertà di coscienza individuale e il potere dello Stato.
Nella Lettera sulla tolleranza, infatti, sostiene che la libertà di pensiero e di culto siano un diritto primario per il cittadino e che tra la Chiesa e lo Stato ci sia una netta separazione dei ruoli.
In primo luogo, lo stato liberale non deve interessarsi del culto e della dottrina di una religione, deve piuttosto garantire che il culto sia professato liberamente. La religione cristiana, per Locke, è razionale e per questa sua qualità è intimamente tollerante e lo ha dimostrato combattendo contro il formalismo dell’ebraismo e il potere dei sacerdoti. Inoltre, la carità è un valore per un cristiano, agire bene è presupposto per la salvezza, perciò il cristianesimo bandisce la violenza.
La tolleranza è un principio difeso da stato e chiesa che restano ben distinti nel loro operare, come chiarisce lo stesso Locke:
<< Lo Stato è, a mio modo di vedere, una società costituita unicamente al fine della conservazione e della promozione dei beni civili. Chiamo beni civili la vita, la libertà, l’integrità fisica e l’assenza di dolore, e la proprietà di oggetti esterni come terre, denaro, mobili ecc. E’ compito del magistrato civile conservare sana e salva una giusta proprietà di questi beni >>.
<< A mio modo di vedere, la Chiesa è una libera società di uomini che si uniscono volontariamente per adorare pubblicamente Dio nel modo che credono gradito alla divinità al fine della salvezza delle anime >>.
Essere fedeli di una Chiesa non implica, però, di poter venir meno alle leggi dello Stato o di rinunciare ai propri diritti. Ognuno è padrone della propria coscienza ma in quanto cittadino ha doveri e obblighi che nulla hanno a che vedere con il suo credo religioso.
Per Locke la tolleranza ha anche dei limiti, il potere politico non deve essere tollerante nei confronti di coloro che professano dogmi contrari alla società e ai buoni costumi, e deve essere contrario a quelle confessioni che lasciano i loro adepti liberi di violare le leggi civili.
In particolare Locke ritiene che cattolici ed atei si pongono fuori dalla tolleranza: i cattolici perché seguono il papa, sovrano di uno Stato estero e potrebbero, in virtù dell’asservimento a questi, tramare per rovesciare lo stato; gli atei perché ritiene che un uomo che neghi Dio neghi anche la ragionevolezza e la fedeltà ai patti.
Nei confronti di cattolici ed atei, Locke non ritiene che debbano essere negati i diritti civili o la libertà di professare il proprio culto, ma debbano essere limitati e ciò in nome del fatto che lo Stato debba tutelare i diritti e le libertà religiose degli altri cittadini.
Per comprendere bene questo passaggio di Locke, è utile ricordare che quando il filosofo scrive l’Europa non è più in tutte le sue regioni cattolica, dopo lo scisma di Martin Lutero, nel ‘500, nacquero, dal cristianesimo lacerato, il luteranesimo e calvinismo che non seguivano più il papa di Roma bensì rispettivamente Lutero e Calvino. In particolare, in Inghilterra il re Enrico VIII aveva creato l’anglicanesimo che faceva capo alla diocesi di Canterbury. Il cattolicesimo rimase dominante in Italia e in Spagna.
Dopo queste scissioni, iniziarono lotte armate per la difesa di ogni religione che insanguinarono l’Europa per diversi decenni. Nel 1648, con la pace di Vestfalia si concluse la guerra dei Trent’Anni; si chiude così una stagione di sangue e si apre quella delle relazioni tra gli Stati e la definitiva affermazione di due principi che sono alla base della moderna sovranità.
Il primo è “interno” e riguarda il diritto del sovrano di fare le leggi e imporre doveri anche alle comunità religiose che a loro volta non possono emanare leggi che abbiano valore civile. Il “secondo” principio è esterno e riguarda le relazioni tra gli stati; ogni stato è sovrano e non riconosce alcuna altra autorità superiore alla propria (superiorem non recognoscens). I rapporti tra gli Stati sono regolati da trattati condivisi o dalle guerre.
Locke scrive la sua Lettera sulla tolleranza nel 1685 anno in cui sul trono inglese sale Giacomo II Stuart, cattolico e legato al papato. Il filosofo si trova in Olanda dove si è rifugiato e vive nascosto e sotto falso nome perché sospettato di essere un oppositore degli Stuart al potere ma sente urgente la necessità di puntualizzare le sue convinzioni e di ribadire la questione del rapporto tra Chiesa e Stato.
Dopo questa Locke scrisse altre tre Lettere sulla tolleranza in cui ribadiva, in sostanza, le tesi della prima, osteggiata da alcuni critici. Non solo lui ma anche Voltaire, Spinoza ed altri filosofi del tempo discussero della tolleranza, questo ci fa capire che il tema trovò in questo periodo di contrasti religiosi e lotte di potere la sua ragione di essere.
Con il passare del tempo, allontanandosi dagli eventi storici che l’avevano generata, la riflessione sulla tolleranza diventa più spesso riflessione sulla libertà anche perché il senso della parola “tollerare“ induce a pensare che ci sia qualcuno che sostenga la validità della propria tesi e tolleri, sopporti la tesi dell’altro, piuttosto che “tollerare” come razionale accettazione di una tesi diversa dalla propria e tuttavia utile per il bene dello Stato.
Nel Novecento, il concetto di libertà si è affermato come diritto giuridicamente garantito ed è così anche nella nostra Costituzione, non è un diritto garantito, però, in tutti gli Stati del mondo.
Basta pensare alla Russia dove dimostranti vengono picchiati e arrestati, gli oppositori avvelenati come si faceva nel Medioevo; o alla Cina che ad Hong Kong ha soffocato nel sangue le rivolte dei giovani che chiedevano la concessione e il rispetto dei diritti legittimi; ancora l’Egitto dove è stato ucciso barbaramente Giulio Regeni; negli Stati Uniti dove alcuni poliziotti diventano giustizieri pensando di avere diritto di vita e di morte sui poveri neri malcapitati e in tante altre parti del mondo.
Mi domando sempre più spesso quali catene tengano legate le mani che non si mostrano soccorrevoli nei confronti di una povera e disperata umanità che chiede aiuto, a piedi quasi nudi nella neve, in fila silenziosa, avvolta in stracci per scaldarsi, in cerca di un varco per entrare in Europa. Mi chiedo ancora cosa abbiamo nel cuore quando respingiamo nel mare altri disperati, di altro colore ma uomini, donne, bambini uguali a noi che siamo tranquilli e indifferenti nelle nostre case calde e accoglienti.
Quando penso a queste cose, mi torna in mente la parabola del ricco Epulone che banchettava lautamente e del povero Lazzaro che si sfamava con le briciole che cadevano dalla mensa del ricco. Non so se la nostra storia finirà come quella raccontata dall’evangelista Luca, so però che in queste tragedie non trionferà né la tolleranza né tanto meno la libertà; diventati, come siamo, schiavi di un benessere pieno di cose inutili che abbiamo paura di perdere e non vogliamo condividere.
Gabriella Colistra