Storia di un’amicizia e di un’idea

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Leggendo i Saggi di Michel de Montaigne (1533 – 1592), filosofo francese, si viene subito a conoscenza del fatto che il filosofo abbia iniziato a scrivere quest’opera dopo la morte di un amico che nei Saggi viene spesso ricordato: Etienne De La Boétie.

Etienne De La Boétie (1530 – 1563), filosofo, scrittore, politico e Montaigne si conobbero in una << grande festa e riunione cittadina >> e la loro amicizia si basò soprattutto su una vicinanza intellettuale, Montaigne, infatti, aveva apprezzato una breve opera di Etienne De La Boétie, Discorso sulla servitù volontaria, in cui trovava un interesse per l’indagine sull’uomo, indagine che poi il filosofo approfondirà nei Saggi. Inoltre entrambi amavano il mondo classico e la saggezza che ritrovavano nelle opere degli antichi scrittori.

L’amicizia fra i due fu molto stretta, Montaigne dedica all’amico molte pagine in cui ricorda che forse poiché si conobbero da adulti non ci furono frequentazioni preliminari. L’amicizia nacque subito, ma durò solo quattro anni perché a soli trentatré anni Etienne morì e Montaigne negli anni seguenti disse di aver provato lo stesso sentimento descritto da Menandro che considerava felice colui che avesse potuto incontrare anche solo l’ombra di un amico.

Montaigne è consapevole di aver avuto una vita facile, agiata, piena di felicità ma tutto dopo la perdita dell’amico è diventata una notte buia e noiosa; in alcuni momenti piacevoli sente come ingiustizia il fatto che l’amico non possa più goderne.

Prima di morire, Etienne De La Boétie aveva chiesto all’amico di pubblicare i suoi scritti, cosa che Montaigne farà. Trascorrerà sei mesi a Parigi per pubblicare gli scritti, alcune traduzioni di testi classici e alcune poesie.

Non viene però pubblicato il Discorso sulla servitù volontaria che Montaigne aveva pensato di inserire nei suoi Saggi, ma il Discorso non è presente nemmeno nei Saggi. Ciò, probabilmente, perché il testo era stato trovato e pubblicato dagli ugonotti (protestanti francesi) che avevano trovato in esso una portata rivoluzionaria antimonarchica.

 << Poiché ho visto che quell’opera è stata poi, pubblicata, e a cattivo fine, da quelli che cercano di turbare e cambiare il nostro regime di governo, senza preoccuparsi se lo miglioreranno, e che l’hanno mescolata ad altra farina del loro sacco, recedo dal mio proposito di metterla qui>> Montaigne, Saggi

Sono quelli, infatti, gli anni delle guerre di religione in Francia, la notte di san Bartolomeo, tra il 23 e 24 agosto del 1572 aveva visto un massacro di ugonotti e a Parigi il testo di Etienne viene considerato come un testo che teorizza la resistenza al re. Quando poi, Enrico di Borbone, capo degli ugonotti, diventerà re di Francia, il Discorso sarà usato dai cattolici per sostenere che sia legittimo uccidere il re che si è messo contro Dio.

Da questo momento il testo assume una valenza rivoluzionaria e La Boétie viene considerato uno dei primi teorici politici dell’età moderna.

Sul carattere rivoluzionario dei Discorsi non tutti sono d’accordo, il testo fu per lunghi periodi dimenticato per riemergere nuovamente, nell’Ottocento in momenti in cui si parlerà di rivoluzione.

Montaigne, parlando del testo dell’amico, sostiene che non contenga nessun intento di attaccare il potere costituito. L’amico, secondo il filosofo, era profondamente scrupoloso nel rispetto delle leggi sotto le quali era nato, amava la tranquillità del suo paese e non amava gli sconvolgimenti.

Ma cosa c’era scritto nel Discorso sulla schiavitù volontaria?

La Boétie nel suo scritto si chiede come mai ci siano uomini che volontariamente si assoggettano al potere di un tiranno che li deruba di tutto. Non è credibile, infatti, che un tiranno << che ha un corpo, due mani, due occhi come tutti >> possa prevalere sui molti; ciò avviene, secondo La Boétie, perché i molti rinunciano volontariamente alla propria libertà senza tentare nemmeno di opporsi.

La debolezza che La Boétie ritrova nell’uomo è alla base del suo agire, l’uomo desidera la libertà ma non fa nulla per conseguirla, inoltre fin da bambino è abituato ad obbedire e questo gli toglie la capacità di essere propositivo. Ancora, è più comodo lasciarsi trasportare e far decidere agli altri piuttosto che darsi da fare e pensare a qualcosa.

Questo atteggiamento produrrà danni anche sulle future generazioni perché chi nascerà in una condizione di illiberalità non saprà nemmeno che esista la possibilità di essere liberi e quindi non cercherà la libertà pensando che non esista una condizione diversa da quella in cui è nato. La consuetudine, per La Boétie, prevale su tutto.

Se il tiranno governa per molti anni ha il tempo di inebetire il suo popolo, concedendo spettacoli e gladiatori come avveniva presso i romani e come continuano, con attività diverse, a fare coloro che non vogliono lasciare il potere.

Il Discorso di La Boétie prosegue elencando ricordi di tiranni e di come questi abbiano potuto contare su una moltitudine sottomessa che non si ribella e così facendo diventa contemporaneamente il sostegno del sovrano.

La radice del potere, quindi, è in chi lo subisce e non in chi lo esercita.

A proposito dell’opporsi al re scrive:

<< Non voglio che scacciate il tiranno e lo buttiate giù dal trono, basta che non lo sosteniate più e lo vedrete crollare a terra per il peso e andare in frantumi come un colosso a cui sia stato tolto il basamento >>. Etienne De La Boétie, Discorso sulla servitù volontaria

Alla luce di queste considerazioni, l’opera di La Boétie non appare scritta contro il sovrano ma contro l’uomo incapace di opporsi alla tirannia. Per queste sue caratteristiche, comunque, anche in epoche a noi più vicine il piccolo testo di Etienne De La Boétie è stato ripreso per dare base a movimenti rivoluzionari.

Passano i secoli, l’amicizia tra Montaigne e La Boétie rimane custodita tra le pagine dei Saggi; l’idea rivoluzionaria di La Boétie non esercita più il fascino del passato. Le rivoluzioni del Novecento sono diverse da quelle dei secoli precedenti, ma tutte le idee restano a ricordarci chi siamo, a costruire la nostra identità, a formare persone libere e consapevoli.

 Gabriella Colistra

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