Il reale e l’immaginario

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Da qualche anno ormai, la nostra vita è cambiata. Ha iniziato a cambiare con la pandemia che ancora è presente tra noi e ancora cambia con la guerra che ci coinvolge particolarmente perché riguarda la nostra civiltà, la nostra cultura.

La nostra vita è cambiata e il cambiamento è soprattutto dentro di noi, sentiamo insicurezza e un’ombra nera che ci abita e non vuole andare via anche se facciamo sempre le stesse cose e tutto apparentemente è come prima.

A parte le solite, vane polemiche politiche volte a catturare il consenso di qualcuno, la situazione pare vivere una situazione di stallo, quanto mai perniciosa per il nostro essere.

Da un incontro con una storica che ha parlato con molta competenza della situazione attuale, ho tratto la convinzione che siamo in un momento particolare della storia, siamo di fronte ad una situazione che porterà alla fine di tante cose, tra cui, molto probabilmente la posizione di predominio occidentale, quale è sembrato essere fino ad oggi.

Nuove realtà emergono mentre noi occidentali siamo di fronte ad un inarrestabile declino. In ciò niente di strano, la storia insegna che le civiltà crescono e poi tramontano per dare origine a nuovi mondi, a diverse forme di vita e culturali.

I filosofi lo hanno capito da tempo. Negli anni che seguirono la prima guerra mondiale, in Europa si diffuse un libro del filosofo tedesco Oswald Splengler (1880 – 1936), Il tramonto dell’Occidente, in cui sostiene che la civiltà è come un organismo che nasce, cresce e muore.

Per questo motivo la civiltà antica è morta ed è stata sostituita da quella presente, La civiltà antica viene considerata “apollinea” cioè contemplativa e realizzata nel presente; la civiltà occidentale viene definita “faustiana” cioè irrequieta, desiderosa di trasformare il mondo, senza fermarsi mai. In questa civiltà dominano il denaro e la stampa intellettualmente aridi e politicamente fragili che vivono dei continui cambiamenti che sono nel mondo.

C’è da dire che le tesi di Spengler furono molto discusse e il suo pessimismo non condiviso da tutti. Alla luce, però, dell’attuale situazione appare condivisibile la sua tesi di fondo.

Questi processi sono lunghi e forse cambiamenti radicali si vedranno tra qualche generazione, proprio per questo motivo e poiché abbiamo tempo per sognare ancora, voglio pensare a città piene di sole, alla giustizia sociale realizzata, ad un futuro bello da vivere.

Mi aiutano in questo le utopie del ‘600, soprattutto La città del Sole, opera di Tommaso Campanella, filosofo calabrese che immagina che navigando verso l’America, un marinaio si imbatta nell’isola di Tropabana.

In quest’isola, la vita si svolge sotto l’organizzazione del Sole (Il Metafisico) e dei suoi ministri, Potenza, Sapienza e Amore che riescono a soddisfare tutti i bisogni degli abitanti. È una vita ideale quella che si svolge nell’isola di Tropabana dove si sono rifugiati gli uomini che si sono allontanati dall’Italia per sfuggire alle persecuzioni religiose.

I bambini non frequentano le scuole ma trovano tutto lo scibile disegnato sulle pareti della città. Il fine pedagogico è prevalente in Campanella, convinto com’è che sia la cultura a salvare l’uomo dalle offese della vita.

Ogni uomo svolge il lavoro che gli è più congeniale e che contribuisce al benessere degli abitanti dell’isola. Anche l’amore tra uomo e donna è regolato dal ministro dell’amore ed obbedisce a logiche eugenetiche.

Insomma, un sogno immaginario per delineare una vita diversa da quella reale che è stata travagliata e trascorsa per quasi trenta anni in carcere.

Quasi un secolo prima troviamo Utopia, opera  di Thomas More, filosofo inglese che diede il nome al genere. Anche lui immaginò un’isola dove non ci fossero i mali della società inglese, dove fosse bandito il denaro dove non fosse ammessa la guerra, arte che nei secoli è stata tra le più praticate dagli uomini.

More, era Lord Cancelliere durante il regno di Enrico VIII, fu accusato di tradimento e condannato a morte per non aver sostenuto l’Atto di supremazia con cui il re si proclamava capo della Chiesa inglese e rompeva i rapporti con la Chiesa di Roma.

Anche More è una figura drammatica capace di vedere al di là degli angusti limiti umani, anche lui, come più tardi farà Campanella, pensa ad una vita diversa che rispecchi la sua concezione filosofica.

Continuano ad arrivare bollettini sul contagio, continuano a cadere bombe sull’Ucraina, la vita continua a scorrere tra alti e bassi ma è bello ogni tanto un’immaginazione, un sogno che renda sopportabile la vita, che faccia pensare che un mondo diverso sia possibile, che le angustie presenti si sciolgano nella bellezza del sogno, che le illusioni dell’oggi trovino ragione nelle piacevolezze della vita.

Luigi Firmo parlando degli utopisti scrisse:<< Quei lucidi realisti che il mondo chiama, con termine moreano “utopisti”, fanno appunto l’unica cosa che ad essi è data: come naufraghi sulle sponde di remote isole inospitali gettano ai posteri un messaggio nella bottiglia >>.

I posteri siamo noi, leggiamo il messaggio nella bottiglia e forse il nostro autunno sarà più dolce.

Gabriella Colistra

Clicca sul link qui di seguito per leggere il mio articolo precedente:

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