Siccità

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Come se non bastassero la pandemia non ancora finita e la guerra alle porte dell’Europa che diventa sempre più cruenta e preoccupante, si è aggiunta ad un caldo torrido la siccità che rischia di mettere in ginocchio l’agricoltura e non solo.

L’unione di questi fattori mi fa pensare alla crisi del ‘300 caratterizzata dal dilagare della peste, dalla presenza della guerra dei Cento Anni (1337- 1453) e dai cambiamenti climatici che provocarono danni alle colture con una conseguente grave carestia.

Il mondo allora era diverso, la mortalità infantile era frequentissima e la durata della vita media era breve, soprattutto tra i contadini, che costituivano la maggior parte della popolazione.

La carestia non era provocata solo dal clima ma anche dai soldati impegnati nella guerra che devastavano al loro passaggio i campi coltivati e saccheggiavano i prodotti della terra per nutrirsi e integrare così il magro pasto e la misera paga insufficiente a soddisfare tutte le necessità.

C’è da dire che la carestia fu provocata anche dalle condizioni climatiche che videro un forte aumento della piovosità che allagò i campi nel periodo della semina autunnale e primaverile e nei periodi che precedono il raccolto deteriorando i prodotti che risultarono inutilizzabili e soprattutto fu danneggiata la coltivazione dei cereali, elemento fondamentale dell’alimentazione del tempo.

Guerre, malattie e clima, questo è l’ordine di importanza che gli uomini del tempo diedero agli elementi che costituirono un miscuglio di complessi motivi che fanno parlare appunto, di crisi del Trecento.

La crisi del Trecento passò. Finite le guerre, le pestilenze e le carestie, queste continuarono a ripresentarsi ma non in modo esteso e grave come fu in quel secolo, il mondo riprese il suo cammino e alla fine del Quattrocento nell’Italia, che non era stata risparmiata dalle sciagure del tempo, si affermò il Rinascimento, movimento culturale che diede lustro alla nazione e fece dimenticare tante delle cose trascorse.

Anche l’Italia di oggi supererà le sfide che ha davanti se saprà fare le scelte opportune. La pandemia con i vaccini e con il rispetto di norme igieniche appropriate; la guerra con la ricerca di una pace onorevole; la siccità ricorrendo a metodi, che ci sono, per combatterla.

Riducendo il consumo, riparando le perdite dalle tubature e imparando ad usare poca acqua per irrigare, così come fanno e possono insegnare i paesi che si trovano nel deserto, come per esempio Israele.

Nel 2015 mi recai a Milano per visitare Expo che aveva come tema: Nutrire il pianeta, energia per la vita. In quella occasione vidi esempi di orti verticali rigogliosi ma fu nel padiglione di Israele che mostrarono concretamente come facessero loro ad avere un’agricoltura sviluppata su un terreno arido e assolato. Avevo già letto di questa pratica ma vederla dal vivo fu una vera scoperta.

Giorni fa in tv hanno trasmesso un servizio sull’agricoltura in Israele mostrando l’orgoglio degli agricoltori che con sistemi di irrigazioni goccia a goccia e togliendo il sale, con sistemi industriali, all’acqua di mare riescono a coltivare anche la vite e l’ulivo, coltivazioni tipicamente mediterranee.

Ci sono riusciti loro non comprendo perché non possiamo farlo noi, non credo che manchino ingegneri e tecnici capaci di progettare e far funzionare macchine adatte allo scopo. Abbiamo il mare che bagna gran parte del nostro Paese e potrebbe fornire l’acqua necessaria.

Forse, ma vorrei sbagliarmi, manca la capacità di prevedere le situazioni future o la speranza che verranno piogge rende attendisti, poiché però, ho anche controllato l’andamento delle temperature negli ultimi 50 anni, ho visto che negli ultimi venti anni le temperature sono sempre progressivamente aumentate. Ciò mi fa pensare che in futuro avremo problemi prevedibili.

Sarà un tratto caratteriale italico a renderci indolenti, diversi certo dagli israeliani che hanno dovuto vincere il deserto e si sono rafforzati in questa opera e in altre difficoltà che la vita ha posto loro.

È aspro il deserto israeliano, così almeno è descritto nei libri amatissimi di Amos Oz, mio scrittore preferito, purtroppo morto da qualche tempo. È un deserto aspro e pietroso nel quale allo scrittore piaceva passeggiare di mattina, diventava grigio e sollevava polvere quando si alzava il vento, tutto si riempiva di polvere e di grigio e ogni cosa diventava indistinta, anche la lampadina che pendeva sulla porta di un negozio proiettando una luce fioca sulla strada.

Immagino difficile la vita in tale contesto in cui le persone capaci hanno saputo fare, sfidare, vincere. Ed è proprio la difficoltà che fortifica, aguzza l’ingegno, fa trovare soluzioni.

In questi giorni caldi intervistatori chiedevano alla gente: – Ha caldo? Come si difende dal caldo? Ad un certo punto uno ha risposto: – Sono israeliano, sono abituato al caldo!

Noi no, dobbiamo lamentarci sempre, se fa caldo perché fa caldo; se fa freddo perché fa freddo. Vogliamo l’aria condizionata in casa, in auto, e in ogni altro luogo, incuranti del fatto che consuma corrente, prodotta dal gas, che il gas aumenta di prezzo e poi ci lamenteremo dell’aumento delle bollette, aumentate già di per sé.

Le piacevoli mollezze, alle quali ci siamo abbandonati, devono essere cambiate, un modo nuovo di intendere la vita si presenta a noi, fatto di rispetto per la natura e per il mondo che è stato sfruttato e oltraggiato oltre misura.

Spero che siamo ancora in tempo per rimediare i guasti prodotti alla natura e riusciremo ad invertire la direzione riducendo gli sprechi e limitando i consumi. Dobbiamo farlo soprattutto per quelli che verranno dopo di noi; anche loro hanno diritto di godere di quella bellezza di cui ci riempimmo gli occhi e l’animo e oggi rende fiducioso il nostro cuore.

P.S. Come se non bastassero la pandemia, la guerra, la siccità, arriva la tragedia della Marmolada.

Quando finirà il sonno della ragione?

Gabriella Colistra   

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