Dopo un lungo periodo di chiusura causata dalla pandemia, la nostra vita si riapre anche all’arte.
Il tutto organizzato il più possibile nel rispetto delle normative vigenti, ma la via più accessibile è rappresentata dagli eventi all’aperto.
Questo ci riporta a ritroso nel tempo alla scoperta e riscoperta dei teatri.
I teatri erano costruiti in blocchi di pietra e costituiti da file di sedili per gli spettatori, una sull’altra a gradinate: un cono capovolto.
Viste dall’alto avevano forme rotonde o semicerchi.
Alcuni sfarzosi, abbelliti da colonne, sculture, decorazioni e altri semplici e disadorni.
Gli anfiteatri non avevano tetto e ogni spettacolo si svolgeva a cielo aperto.
In breve i teatri erano in linea con il ceto o le persone partecipanti, poveri o ricchi, ma nessuno era escluso dal vivere l’esperienza della rappresentazione artistica; vicende comiche o drammatiche, in quella trasposizione che consente allo spettatore di immedesimarsi e vivere una nuova realtà.
Sono passati millenni da allora, ma in questa particolare era siamo portati ancor più a rivivere questa esperienza, anche perché di più accessibile fruizione.
Il teatro è illuminante: ogni interpretazione di una stessa opera dà vita ad una nuova opera. La principale relazione tra attore e spettatore è l’essenza stessa del tetro.
Per vivere il teatro non bisogna essere unicamente attori, ma anche semplicemente spettatori predisposti a farsi accompagnare in un viaggio fantastico dove incontrare persone, nuove vite e luoghi; in un racconto che ritrae vita, rispettando anche scenari storici dell’essere umano e sociale.
La profondità e la responsabilità dell’attore, nella capacità di immedesimarsi in un personaggio, nel suo mondo emotivo e in un determinato contesto sociale e storico, è un dono che dà allo spettatore, che a sua volta può immedesimarsi in ciò che è rappresentato: un viaggio nel viaggio.
Mai dimenticare che la meta del viaggio è il viaggio stesso.
E come diceva Federico Garcia Lorca: “Il teatro è poesia che esce da un libro per farsi umana“.
di Simona Trunzo
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