Dopo un anno dall’inizio della pandemia ognuno di noi, nel proprio mondo privato, fa bilanci e previsioni.
Un anno fa, l’incertezza del futuro spinse gli italiani ad accettare le rigide chiusure in casa, a cantare a squarciagola da finestre e balconi quasi che la potenza della voce potesse sconfiggere il virus, si cercava di darsi coraggio e stare vicini per affrontare insieme le difficoltà.
Oggi, ci sentiamo soli e isolati; di fronte ad un a triste numerazione quotidiana, ascoltiamo senza farci caso; stanchi del petulante parlare dei giornalisti, non abbiamo voglia di cantare e neppure di uscire sui balconi. Usciamo da casa solo per necessità o seri motivi e vediamo sempre troppo lontana la fine di tutto ciò.
In questi momenti, forse vorremmo una voce che ci consolasse, che ci facesse capire di cosa, oggi, avremmo veramente bisogno. In questi frangenti, nulla per me vale quanto un filosofo che mi parli, che attraverso le sue pagine mi faccia giungere un impulso energizzante, una riflessione logica, una bella pagina consolatoria, così oggi rileggo qualche pagina di S. Boezio, De Consolatione philosophiae, un dialogo in versi e in prosa.
Severino Boezio (480ca. – 524) è un filosofo nato a Roma, in una famiglia di antica nobiltà. Ricoprì in politica incarichi importanti, la stima e il successo che conseguì gli attirarono l’invidia di uomini perfidi che lo accusarono di praticare la magia e di tramare contro Teodorico, re dei Visigoti, il quale sequestrò tutte le ricchezze di Boezio e lo condannò a morte.
Boezio era anche un fine letterato che aveva progettato di tradurre dal greco le opere di Platone e Aristotele e di commentarle. La morte prematura non gli permise di portare a termine il suo progetto ma riuscì a tradurre le più importanti opere di Aristotele, lette poi dai filosofi del tempo. Scrisse anche interessanti trattati di logica. Per questa sua attività, l’umanista Lorenzo Valla lo definì << l’ultimo dei romani e il primo degli scolastici>> segnò, in altri termini, il definitivo passaggio dal mondo antico al Medioevo.
Boezio scrive il De Consolatione mentre in carcere aspetta la condanna a morte e si domanda:<< Perché sono finito in carcere? E’ possibile che tutto dipenda dalla mutevolezza degli esseri umani che ora ti lodano e ti ricompensano, e domani ti uccidono? C’è un senso in quello che mi sta accadendo o il mondo è dominato dal caso, dall’ingiustizia? >>
Mentre si fa queste domande e ricorda che un tempo scriveva versi pieni di gioia ed ora solo tristi lamenti, una lacrima bagna il suo scritto e gli appare una donna venerabile in volto, con occhi acuti e sfavillanti, con una vitalità sorprendente, nonostante gli anni. Una donna molto alta che sapeva parlare con gli uomini ma anche toccare con il capo il cielo. Il vestito finemente lavorato e creato da lei stessa appare lacero, nella mano destra ha alcuni libri, nella sinistra uno scettro.
Vedendo accanto a Boezio le muse che gli suggerivano versi lamentosi, si adira e con occhi infiammati dice:<< Chi ha permesso a queste sciocche meretrici di teatro di avvicinarsi a questo malato? Esse non soltanto non sono in grado di lenire con alcun rimedio i suoi dolori, ma addirittura glieli accrescono con dolci veleni! >>
La donna apparsa a Boezio è un’allegoria della filosofia, è vecchia perché sono passati lunghi secoli da quando è nata, le vesti sono state strappate da coloro che nel tempo hanno preso parte di essa, la sua statura le consente di occuparsi di cose terrene e di cose celesti e soprattutto è apparsa a Boezio perché solo lei può consolare un uomo che a quarantaquattro anni si sente vecchio e sostiene che la felicità e la fortuna lo abbiano abbandonato.
La filosofia gli ricorda che i migliori filosofi come Socrate, Anassagora, Zenone, Seneca sono stati perseguitati dal potere politico, come ora è avvenuto a lui. Lei è stata loro accanto nei momenti più difficili e tormentosi, è addolorata perché ancora molti sono perseguitati a causa sua, sente quindi il dovere di soccorrerlo in questo momento di bisogno e gli dice: <<Non c’è motivo per cui tu ti meravigli se in questo mare della vita siamo sballottati in balia delle tempeste, dal momento che la nostra aspirazione è di dispiacere ai perversi >>.
La filosofia che lo salverà sarà una riflessione razionale, infatti le sue vesti sono state stracciate da Epicuro che ha posto il piacere e non la ragione al vertice della sua filosofia ed ha predicato un volgare materialismo.
Boezio si risveglia dal suo torpore, sente il corpo che riprende vigore e nota che già parlare con la donna soccorrevole, lo aiuta a riflettere con maggiore lucidità su ciò che lo attanaglia:<< Come mai accade che una persona onesta si trovi improvvisamente in una condizione sfortunata?>> La filosofia gli risponde che la fortuna è per sua natura mutevole, ora è avversa, ora è favorevole, dipende quindi dall’uomo e dalla sua capacità di trovare dentro di sé le risorse morali e intellettuali per dare ordine alla propria vita.
La vera felicità, insegna la filosofia, è dentro di noi, dipende da noi. Riecheggia in ciò il conosci te stesso socratico, le filosofie di Platone e Aristotele con il peso che danno all’interiorità, piuttosto che alle cose del mondo, idea che fu ripresa anche da sant’Agostino e dalla filosofia cristiana.
Conoscere sé stessi fa cogliere il bene che produce felicità e fa comprendere che le cose mortali non potremo portarle con noi dopo la morte, meglio aspirare a qualcosa di forte, di duraturo, di resistente come una casa costruita su una roccia che il vento non porterà via. Andranno via, invece, perché sono false felicità: la gloria terrena la potenza, la bellezza fisica che appassirà come i fiori di primavera. Se avessimo occhi capaci di guardare dentro i corpi, vedremmo che Alcibiade, bellissimo in superficie, appare bruttissimo al suo interno. Saremo felici se saremo autosufficienti, rispettosi nei confronti degli altri, colmi di letizia, ma soprattutto se saremo capaci di guardare in alto e invocare il padre di tutte le cose.
Boezio si riferisce a Dio ma non al Dio cristiano, bensì al Dio dei filosofi, un principio astratto e razionale identificato con il bene sommo. Boezio, infatti, non si rifà all’autorità dei testi sacri, non fa profezie ma ragiona, non crede al peccato originale e unisce il concetto cristiano di “provvidenza” a quello pagano di “fato”. La provvidenza viene da Dio che fa muovere i cieli, presiede e regola gli eventi; il fato regola il moto delle singole cose che la provvidenza tiene unite nel Tutto.
Se Dio è sommo bene, viene da chiedersi: da dove deriva il male? L’esperienza ha mostrato a Boezio che i malvagi trionfano facendo soffrire gli altri e restando impuniti. La filosofia gli fa notare che i malvagi in realtà sono infelici, lo sono anche se non vengono puniti per le loro malefatte perché non arriveranno mai a vedere la luce, vedranno solo tenebre, i loro occhi resteranno chiusi e non godranno della luce della verità. Boezio ha compreso che il male non esiste, colui che chiamiamo malvagio ha agito male perché sviato da un errore di valutazione, cercava di fare bene ma dal suo punto di vista che era limitato e troppo legato ai beni materiali che possono averlo allietato per un po’ ma gli hanno impedito di conoscere la vera felicità. Così il tempo, per Dio è un eterno presente, per noi è passato, presente, futuro e anche se Dio dall’alto della sua posizione può vedere tutto quello che accade nel mondo, noi restiamo liberi nel nostro agire.
Boezio si rasserena, i perché della vita terrena non hanno più il peso di prima, ha compreso che la felicità non è su questa terra, ormai accetta sicuro il suo futuro nell’abbandono in un Dio in cui, la filosofia gli ha insegnato, troverà la felicità.
Non sappiamo se Boezio abbia poi trovato la felicità, sappiamo che la sua opera ha avuto grande fama ed ha contribuito a fondare la scolastica, la filosofia cristiana insegnata nelle scuole, anche il suo pensiero, non del tutto ortodosso, ha trovato accoglienza negli ambienti cristiani.
Quello che ritengo certo è che la filosofia, se pur non consola, insegni il potere e i limiti che sono in noi, collochi nella corretta posizione le cose del mondo, renda consapevole dell’assurdità di certe situazioni.
Concludo con le parole di B. Russell, Sintesi filosofica, 1966:
<< La filosofia non può determinare gli scopi della vita, ma può liberarci dalla tirannia del pregiudizio e da storture dovute ad una visione ristretta. Amore, conoscenza e gioia di vivere: queste cose mantengono il loro luminoso fascino per quanto si allarghi il nostro orizzonte. E se la filosofia può aiutarci a sentire il valore di queste cose, essa avrà rappresentato la sua parte nel compito dell’uomo di portare luce in un mondo di oscurità>>.
Gabriella Colistra
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