Ancora donne

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Un antico proverbio cinese sostiene che la donna regga metà del cielo. Credo che la donna regga più di metà del cielo, non perché abbia più forza dell’altra metà, gli uomini, ma perché, con il suo modo di essere e di fare, intreccia rapporti, mantiene le tradizioni, tesse relazioni familiari, vigila sui figli, sui genitori anziani; è soprattutto lei presente nel nascere e morire. Così è lei a costruire quei legami che rendono civile una società di uomini e donne.

Nonostante questo è lei a pagare il prezzo più alto, uccisa da mariti o fidanzati che la odiano perché vuole essere più libera, perché sa di poter vivere anche senza di lui mentre lui, con il suo gesto, rivela di non saper vivere senza di lei. La donna è la prima ad essere licenziata nei momenti di crisi, come leggiamo nelle cronache di questi giorni.

Dalle suffragette dell’Ottocento alle femministe del Novecento molto è stato fatto ma non basta, non basta ancora.

Pensando a questo, al modo in cui la donna è intesa nella società, mi torna in mente il modo in cui era considerata la donna in un passato lontano ma non tanto da non lasciare qualche strascico nella società odierna. Parlo del periodo fascista e del fatto che il fascismo abbia fatto arretrare, non progredire le donne.

Non sarebbe potuto essere diversamente visto che il Duce del fascismo era il primo a non avere nessun rispetto per le donne. Sposato con una contadina semi analfabeta che sopportò tutto e gli diede cinque figli, si concesse molte amanti, da cui ebbe anche figli che non riconobbe, che licenziò con piccole somme di denaro o rinchiudendole in manicomio. L’unica donna con cui tenne un comportamento diverso fu Margherita Sarfatti, donna colta e amante dell’arte, nel loro rapporto, però vedo passione e interesse reciproco. Lei, raffinata ed elegante, costruì l’immagine pubblica del Duce portandolo dalla dura e rozza lotta politica nelle province ai salotti eleganti dell’alta società. Lui le apri tutte le porte necessarie perché potesse organizzare mostre d’arte di elevato livello. Quando la Sarfatti diventò ingombrante la lasciò per Claretta Petacci.

Per quanto riguarda la condizione della donna, nel corso della prima guerra mondiale finita da poco, le donne avevano occupato i posti di lavoro lasciati liberi dagli uomini che erano partiti per la guerra e negli anni del conflitto avevano conosciuto nuove libertà che non avrebbero voluto perdere tornando a vivere sotto la tutela dei maschi, padri o fratelli.

Non si tornò del tutto indietro ma il fascismo, che si affermò pochi anni dopo, fece di tutto per togliere alla donna quel piacere di vivere e lavorare che un evento tragico come la guerra le aveva fatto conoscere.

Alle origini, nel 1919, il fascismo aveva accolto alcune istanze degli intellettuali futuristi, sbeffeggiatori della morale convenzionale, come il divorzio e la soppressione della famiglia borghese e si parlò anche di suffragio universale. Quando però, poco tempo dopo il fascismo si legò agli agrari, antifemministi e cattolici, il divorzio e l’abolizione della famiglia iniziarono a traballare per scomparire definitivamente dopo il 1929, anno del Concordato con il Vaticano.

Nel lavoro, qualunque ruolo ricoprissero, venivano poste in un’unica categoria: donne, poi eventuale ulteriore suddivisione in serie A o B a seconda del ruolo, il salario però era sempre più basso del salario dell’operaio meno qualificato.

Con la propaganda, che fu molto usata dal regime, si cercò di allontanare le donne dalla cultura e si cercò di impedirne l’indipendenza economica. Le donne non potevano studiare storia e filosofia, le maestre potevano insegnare solo nell’asilo. Una legge del 1923 stabilì che le donne non potessero diventare presidi nelle scuole.

L’immagine di donna che si voleva costruire era quella di moglie sottomessa e madre. Anche in questo caso si fece uso della propaganda mostrando foto di famiglie numerose, con madri <<angeli del focolare >>, occupate nella cura della casa, del marito e dei figli che doveva educare secondo i precetti del fascismo.

Il marito era considerato dalle leggi un “capo” che aveva la potestà maritale e la proprietà dei figli. Moglie e figli diventavano quindi proprietà dell’uomo ed erano obbligati a seguirlo dove lui volesse stabilire la residenza, inoltre, il marito aveva il diritto di controllare che la moglie non venisse meno ai suoi doveri di moglie. Al marito, ancora, veniva riconosciuto il diritto di aprire e leggere la corrispondenza della moglie.

Non meraviglia tutto questo se leggiamo che in un discorso alle donne fasciste, nel 1937, Mussolini abbia detto: << La donna deve obbedire […] Nel nostro Stato la donna non deve contare>>. La donna non deve contare e perché questa convinzione si rafforzi viene invitata a partecipare ad organizzazioni fasciste femminili, a seconda dell’età: “piccole italiane”, “giovani italiane”, “Fasci femminili”, “massaie rurali”.

Per completare il quadro, leggo, citato in A. Spinosa, I figli di Mussolini, << le donne sono angeli o demoni, nate per badare alla casa, mettere al mondo dei figli e portare le corna>>. Sempre in quegli anni, il filosofo Gentile, dopo aver detto che le donne sono sempre impastoiate in dettagli insignificanti, le definisce “natura infinita” incapace di trascendenza; qualcuno tenta anche di dimostrare scientificamente che le donne siano inferiori all’uomo biologicamente.

Il fascismo creò anche opere di assistenza e di cura delle madri e dei bambini come l’ONMI che assisteva maternità ed infanzia o come l’istituzione della Giornata della madre e del fanciullo in cui veniva conferito un riconoscimento alle madri più prolifiche. Anche queste iniziative non facevano altro che considerare la donna nel suo principale compito: quello di madre.

Alla fine del fascismo, quando in Italia ci fu la Resistenza, la lotta partigiana, molte donne parteciparono ad essa, in diversi ruoli, ma scompaiono quando si deve decidere del futuro dell’Italia.

Solo nel 1946, in occasione del referendum le donne votarono per la prima volta e solo nel 1975 il nuovo Codice di famiglia riconsiderò i rapporti tra marito e moglie, correggendo i gravi errori del Codice civile fascista.

Molte cose sono quindi cambiate ma ancora c’è da fare. Lo penso ogni volta, per esempio, quando sento parlare di quote rosa, il provvedimento che impone la presenza di donne, in alcuni organismi elettivi, per equilibrare la loro presenza e quella degli uomini. Non amo le quote rosa perché esse, secondo me, mascherano il problema che è a monte.

Nelle carriere, negli incarichi, dovrebbe contare il merito e non il genere, quindi bisognerebbe rimuovere gli ostacoli che sussistono e che rendono più difficile per le donne emergere nei vari settori in cui esplica la sua attività lavorativa.

<< La storia>> sostiene Francoise Théband, <<è stata a lungo, quella dei maschi, concepiti come rappresentativi dell’umanità. Moltissimi studi hanno dimostrato che anche le donne hanno una storia e sono attori della storia a pieno diritto>>. Aggiungerei che non ci sono due storie, una delle donne e un’altra degli uomini, ma un’unica storia fatta di relazioni umane, di interazione, di scambio.

Gabriella Colistra

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