Qui e ora

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Da qualche giorno la televisione manda in onda il programma Qui e adesso con il bravo Massimo Ranieri. Non ho mai visto il programma ma lo ricordo perché il titolo mi ha fatto pensare ad un filosofo e ad un aspetto della sua filosofia.

Il filosofo è G. Hegel (1770 – 1831), tedesco, appartenente alla corrente idealistica che nella prima metà dell’Ottocento ebbe notevole influenza nel panorama culturale europeo.

Il qui e l’ora (avverbio di tempo che corrisponde ad adesso) si trovano nella Fenomenologia dello Spirito, la più accessibile delle sue opere, che segna il passaggio dalla teologia alla filosofia.

In quest’opera, Hegel descrive le fasi del manifestarsi dello spirito, dal momento aurorale della coscienza, fino al momento finale dello spirito assoluto capace di comprendere l’infinito. Per questo suo carattere la Fenomenologia è anche chiamata il romanzo dello spirito ed è così, infatti, leggendola si ha l’impressione di fare un viaggio col pensiero dalla forma di conoscenza più bassa, gradualmente fino a quella più alta.

Il qui e l’ora caratterizzano la forma più bassa di questo processo, quello della coscienza. Per Hegel, quello della coscienza è un sapere immediato perché è il momento in cui essa ha di fronte un oggetto che viene colto senza mediazioni e per la coscienza esiste, basta che sia presente davanti agli occhi. Individuare il qui e l’ora sembra alla coscienza un modo per fissare in un tempo e in uno spazio l’oggetto che viene meglio definito e sembra aumentare la certezza del suo essere.

La coscienza si sente certa del suo sapere, perché con i sensi coglie una molteplicità di dati e poi, collocandoli nello spazio e nel tempo, pensa di aver definito stabilmente l’oggetto. In effetti il qui e l’ora non possono dare alcuna sicurezza perché indicano esattamente un luogo (qui) ed un tempo (ora) che dopo poco non sono più, cambiano continuamente, quindi definiscono un unico momento che non può fornire la certezza di una conoscenza stabile. Inoltre, l’oggetto è definito solo nella sua esteriorità, la coscienza si rende quindi conto che alla ricchezza dei dati sensibili corrisponde il contenuto di verità più povero e astratto.

E’ la coscienza individuale stessa che si coglie il limite della sua presunzione, per cui nel suo procedere cerca di non considerare più l’oggetto elemento essenziale a definire la conoscenza, ma il soggetto. Anche questa posizione appare limitante, parziale, unilaterale, la coscienza per avere un certo grado di certezza dovrà considerare il rapporto tra soggetto ed oggetto, tra soggetto senziente e oggetto sentito, solo in questa situazione si potrà conseguire un più alto grado di certezza.

La riflessione di Hegel prosegue ancora a lungo ma mi fermo perché sono il qui e l’ora che mi interessano. Qui e ora mi pare siano gli attributi del tempo presente, incerto, difficile per molti e apparentemente senza futuro per cui ci si rivolge al monotono quotidiano senza cercare vie d’uscita. Invece il nostro è un tempo che si deve riempire di progetti e di futuro perché siamo in un tempo di passaggio.

Sosteneva giorni fa un convincente economista, di cui purtroppo non ricordo il nome, che la pandemia è un momento di crisi e, come insegnano tutte le crisi del passato, può diventare un momento di progresso, non tanto guardando a modelli del passato per riproporli alla stessa maniera, ma pensando che il futuro possa essere diverso e non per questo mancante di qualcosa o peggiore del presente.

Anche Hegel sentiva di vivere in un momento di cambiamenti e così scrive: << Del resto non è difficile a vedersi come la nostra età sia un’età di gestazione e di trapasso ad una nuova era; lo spirito ha rotto i ponti col mondo del suo esserci e rappresentare, durato fino ad oggi; esso sta per calare tutto ciò nel passato e versa in un travagliato periodo di trasformazione >>. Hegel, Fenomenologia, prefazione [11]

Queste parole, scritte nell’Ottocento, sembrano descrivere la situazione odierna, egli aggiunge che la filosofia, non fermandosi alle apparenze, può comprendere una situazione ed una realtà nascosta allo sguardo di molti. Questi molti, aggiungo io, sono quelli fermi ad uno sterile e vuoto qui ed ora che si nutre di apparenze e di futilità passeggere.

Anche il nostro Stato deve affrontare le sfide che il futuro ci pone; chi sarà capace di guidare la nostra nazione in questo difficile momento?

La classe politica litigiosa e impreparata non ispira molta fiducia, appare preoccupata solo di conservare il posto in Parlamento, parla tanto, speso senza dire niente di concreto.

Mi tornano in mente le parole del vecchio Parmenide (VI sec. a. C.) che a proposito di alcuni uomini scriveva:<< né l’abitudine nata dalle molteplici esperienze ti costringa lungo questa via a usar l’occhio che non vede e l’udito che rimbomba di suoni illusori e la lingua, ma giudica col raziocinio la pugnace disamina che io ti espongo>>. Poema, proemio

La polemica di Parmenide è contro il popolo <<cieco>> e <<sordo>>, istupidito e incapace di cogliere ciò che è importante, frastornato da molteplici sensazioni si fa trascinare ora di qua ora di là.

Tornando al momento storico attuale, la situazione non mi sembra adeguata al momento, tra politici incapaci e popolo frastornato non mi sento molto rassicurata sul futuro che ci aspetta. Forse perché non vedo nella classe politica quel fuoco che animò, in altri tempi, gli spiriti di altri uomini che sollevarono l’Italia da situazioni disastrose.

Il nostro è il tempo delle task force, per ogni necessità ce n’è una; fonti giornalistiche dicono che sono impegnate, e immagino pagate profumatamente, circa mille persone. Perché, mi chiedo, tutti questi esperti se ci sono tanti ministeri che dovrebbero affrontare i vari temi e tanti parlamentari? Se servivano tante persone per gestire i problemi, perché è stato ridotto il numero dei parlamentari? Non trovo risposte alle mie domande se non che le grandi sfide richiedono grandi idee e grandi uomini, sia le une che gli altri mi pare non ci siano.

Bernardo di Chartres diceva: noi siamo uomini sulle spalle di giganti, volendo dire che i moderni si sostengono sulle conoscenze degli antichi e che l’altezza che raggiungono consente loro di guardare lontano.

I moderni, oggi, non vogliono salire sulle spalle dei giganti perché pensano di non averne bisogno, sono presi dalla presunzione di sapere di tutto e di poter risolvere i problemi non conoscendo nulla del passato, pensano che il mondo sia il qui e ora sui quali sono appiattiti e, quando non sapranno cosa fare, faranno una task force.

Gabriella Colistra

Il mio articolo precedente:

Avarizia, una passione triste

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