I fichi della discordia
Non solo «il pomo» di mitologico ricordo ellenico o «le arance» di fiabesca tradizione calabrese, sui cui mi soffermerò, magari, in un altro momento, ma pure i fichi sembrano essere “piantagrane”, e questa non è «una figata», passatemi il termine!
Partiamo da lontano: Marco Porcio Catone, celebre per la frase «Delenda Carthago», mostrò, appunto, un fico freschissimo dicendo: «Questo viene da Cartagine: da come è fresco, potete rendervi conto di quanto sia vicina la nostra nemica». «E che fu», avremmo detto noi!
Dal Paganesimo al Cristianesimo la storia non cambia, benché, in questo caso, siamo solo sul piano della leggenda e come tale trattiamola, giusto per puntualizzarlo.
La notizia perviene da Corigliano Cabro:
«Circa trecento volontari d’ogni età lavorarono alla costruzione dell’eremo e San Francesco di Paola dava loro da mangiare facendo diventare assai il poco che riusciva a racimolare. Un giorno egli aveva solo un pugno di fichi e, come se ne avesse avuto chissà quanti sacchi, ne diede due ad ogni lavorante, mentre a un suo devotissimo terziario, ne mise in mano tre, raccomandandogli, però, di conservarli sempre integri e uniti, ma alla sua morte un discendente ne diede uno a un frate minimo: quella notte stessa un violento incendio gli divorò la casa e nei giorni successivi egli vide perire tutto il suo bestiame per i malanni più misteriosi, sì che si ridusse in pezzentìa. Ma non finì qui: il fico incautamente regalato al frate minimo passò di mano in mano con puntuale scansione di tragedie e disgrazie, finché arrivò in possesso dei nobili Solazzi Castriota, che in poco tempo s’estinsero; i loro beni, fico compreso, furono ereditati dalla duchessa di Bovino, la quale, per speculazioni sbagliate e per le mani bucate, andò incontro a un clamoroso fallimento e si trasferì altrove. Da quel momento il letale frutto sparì dalla circolazione e non se ne seppe più nulla e, probabilmente, qualcuno se l’era mangiato a scanso d’ulteriori disgrazie»
(G. Palange, Guida alla Calabria misteriosa, Soveria Mannelli 2010, pag. 126).
Che dire, infine, di Lucia dei Promessi Sposi, la cui dimora era posta all’ombra di un albero di fichi!? «Ccamu patutu…»: da me non manca mai a tavola, persino la marmellata, che è «una fine del mondo»!
Mi nutro di storie, ma non sono scaramantico: la gola non mi congestiona la mente, fortunatamente!
P.S.: il fico detto Romulare, citato da Livio, si dice fosse situato nel punto in cui Romolo e Remo furono ritrovati dalla lupa. Anche per questa memoria ne faccio una bella scorpacciata!
Francesco Polopoli
[…] “I fichi della discordia” di Francesco Polopoli […]