Avarizia, una passione triste

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Cosa sia l’avarizia lo sappiamo tutti, è uno smodato e gretto attaccamento al denaro e non solo, l’avaro tende ad accumulare ma non spende nulla e non concede a nessuno ciò che è suo. Ad usare il termine di “passione triste” per definire l’avarizia fu il filosofo olandese Baruch Spinoza.

Baruch Spinoza (1642 – 1677) scrisse Ethica, more geometrico demonstrata (Etica dimostrata secondo l’ordine geometrico), un’opera in latino, di fondamentale importanza per definire gli elementi che agiscono sulla mente e, quindi, determinano la vita degli uomini.

Nella terza parte dell’Etica, Spinoza sostiene che la nostra mente contenga le idee che guidano il nostro agire; se questo asseconda e rende felice l’uomo è detto azione, se invece non produce letizia ma infelicità e tristezza, è chiamata affetto o passione. Le due parole derivano dal latino e sono usate nel loro significato etimologico, “affetto” da affectus e “passione” da passio, termini che indicano il subire, il patire del soggetto che subisce la passione.

Tra le passioni, Spinoza pone l’avarizia e l’ingordigia che gli sembra possano essere accomunate. In quanto è passione genera tristezza da sé stessa e, a ben considerare, l’avarizia non porta felicità neanche all’avaro.

L’avaro, infatti, tende ad accumulare molto più di quanto gli serva per vivere e non spende, anzi cerca di risparmiare perché per lui è importante avere non dare. Tutto ciò rende triste l’avaro sia perché è schiavo delle sue stesse ricchezze che ha paura di perdere, sia perché ogni sua azione diventa subordinata alla conservazione e tutto ciò lo rende arido e solo.

L’ avarizia non riguarda solo il denaro ma ogni cosa che l’avaro ritiene gli appartenga: gli spazi, il tempo, le persone, i sentimenti.

Già Aristotele, nell’Etica Nicomachea (IV,1122a), aveva definito l’avarizia un guadagno turpe e di essa diceva:<< L’avarizia è il contrario della generosità; infatti rappresenta un male maggiore rispetto alla dissipazione e si sbaglia più in questo senso che in quello della dissipazione>>.

Il Cristianesimo considerava la cupidigia una sorta di idolatria perché l’amore per il denaro escludeva l’amore per Dio; nel Medioevo i cristiani definivano il denaro << lo sterco del diavolo>> e l’avarizia fu considerato uno dei sette vizi capitali.

L’avarizia nasce dal bisogno di sicurezza che è in ogni uomo; aver denaro da parte rassicura perché si pensa di poterlo utilizzare nel momento del bisogno. Se però, accumulare è fine a sé stesso e diventa eccessivo, non è più bisogno di sicurezza ma avarizia.

Essa rivela che si sta inseguendo un’illusione, quella di poter ottenere ciò che non si è avuto nella vita, forse, fin dall’infanzia. Ritenuta responsabile è una madre anaffettiva che ha fatto mancare affetto e tenerezza ai figli, questi crescono sentendo tale mancanza e sviluppano il desiderio di avere, di trattenere le cose, le persone.

L’avaro, nel rapporto con una donna è possessivo; alla donna inizialmente piace sentire intorno a sé ciò che le sembra una cura e un interessamento affettuoso da parte dell’uomo, al contrario le si prepara un rapporto soffocante; lui penserà che quella donna gli appartenga come il denaro, gli oggetti e tutto ciò che custodisce gelosamente.

Anche nelle relazioni familiari, l’avaro è incapace di dare affetto e di comprendere i bisogni altrui, quindi, fa mancare e mette a disagio i familiari stessi negando loro aiuto economico e lo fa cercando di ricorrere a valide, ma in effetti vane, giustificazioni facendo mancare anche un sostegno affettivo ed emozionale.

Per tutti questi motivi, l’avaro non vive bene. Vive sempre in una condizione di ansia, teme di perdere i beni posseduti, teme sempre di essere raggirato, con il tempo rischia di perdere anche gli amici che magari non lo invitano più perché non paga mai per gli altri o perché lui non sembra gradire la loro presenza.

L’avaro finisce col chiudersi in sé stesso, negando la sua presenza agli altri perché controllare e dominare ciò che si controlla sono le uniche cose che lo rassicurano. Misantropo, scostante, diffidente, ha tanti motivi per essere triste, come scriveva il filosofo.

Anche gli scrittori hanno considerato l’avaro e lo hanno immortalato nei loro scritti. Già T. Maccio Plauto, commediografo latino, nella Aulularia racconta del vecchio avaro Euclione che ha trovato una pentola piena di oro e diventa quasi folle per la paura che qualcuno scopra il luogo in cui l’ha sotterrata.

Moliére ne L’avaro ci fa conoscere Arpagone, perennemente preoccupato della cassetta con i soldi che controlla e custodisce gelosamente. Anche Mazarò, il contadino de La roba di Verga, saputo di dover morire, esce nel cortile come un pazzo, uccide le anatre e i tacchini con un bastone gridando:<< Roba mia, vientene con me>>.

Il più simpatico rimane sempre Paperon De’ Paperoni che dopo aver sudato per diventare ricchissimo, è diventato un taccagno che rimpiange o piange per ogni cent perduto. Lascia, però, una lezione positiva: se ti rimbocchi le maniche, prima o poi in alto ci arrivi.

Spinoza considera l’amicizia una passione triste; gli scrittori hanno, con le loro opere ridicolizzato la figura dell’avaro; il Cristianesimo considera l’avarizia un peccato capitale, particolarmente grave e qui noto la particolarità di Spinoza. Nonostante al centro della sua filosofia ci fosse Dio, non dà un giudizio perentorio, non punta il dito verso il peccatore ma, silenziosamente, cerca di comprendere le ragioni del suo essere e del suo agire.

Nella sua vita Spinoza subì attacchi di violenza inaudita. Fu espulso dalla comunità ebraica, scomunicato e maledetto per le << abominevoli eresie che egli ha compiuto e insegnato, nonché dei suoi atti mostruosi>>. Eppure nei suoi scritti troviamo continuamente un invito che rivolge a sé stesso e al lettore:<< vivi caute>> (vivi cautamente).

I suoi libri furono messi al bando in molte corti europee, eppure sono giunti fino a noi, leggerli è un’esperienza unica, Etica, attraverso proposizioni, dimostrazioni, scoli e corollari, conduce per mano nei meandri della vita umana e lascia un insegnamento che rivela la sua grandezza:

<<Le azioni umane non vanno derise, compiante o detestate, ma comprese >>

Gabriella Colistra

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