Da qualche giorno ai confini dell’Europa soffiano venti di guerra. Da qualche giorno sembra allentata la presa di un virus che ha minato le nostre resistenze. Il respiro di sollievo che stavamo per tirare si è fermato a metà alla notizia dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e il virus è quasi scomparso anche nei media.
La vita nel posto in cui mi trovo continua come se niente fosse, i prati sono pieni di fiorellini gialli ma ieri notavo come ancora non fosse primavera, nonostante alcuni annunci, perché gli alberi del viale che conduce a casa mia sono ancora completamente spogli ed essi sono il mio sicuro consulente stagionale, ormai da qualche decennio.
Tutto come prima all’apparenza, ma c’è nell’animo un senso di turbamento, tornano in mente le parole di uno scrittore francese che ha definito la nostra un’epoca di “sbriciolamento”, il filosofo Z. Bauman ha definito “liquida” la nostra società mostrandone i guasti e i problemi.
Le notizie degli ultimi giorni non sono rassicuranti ma bisogna reagire, non subire la pressione degli eventi.
Per trascorrere il tempo, mi rifugio tra i miei amati filosofi e il primo che ho davanti è lui, uno dei più severi ma dei più grandi: Immanuel Kant (1724 – 1804).
Penso a lui perché nacque a Königsberg, l’attuale Kaliningrad, enclave della Russia tra Polonia e Lituania, terre che hanno vissuto drammatici momenti storici, ed oggi vicine ai luoghi in cui si consuma un’altra tragedia.
Inoltre Kant, nel 1795, scrisse Per la pace perpetua, un’opera in cui con una modernità straordinaria immagina una società internazionale con una organizzazione cosmopolitica guidata da principi razionali.
Egli pensa che solo così si possa mantenere la pace che dovrebbe essere il fine di ogni organizzazione politica. Lo Stato che rispetta i fondamentali diritti dei concittadini può realizzare la pace, lo stato dispotico no.
IL filosofo, ironicamente, scrive che questo potrebbe essere << un dolce sogno vagheggiato dai filosofi >> ma, tornato serio, sostiene che il suo è un vero << progetto filosofico >> e ritiene di poterlo realizzare perché non è bene che << i re filosofeggino e i filosofi diventino re >>. Pertanto sarà lui a scrivere un trattato che spieghi come da uno stato di guerra si possa passare alla pace.
Ogni Stato deve prima di tutto costituire una condizione di pace al proprio interno. Kant pensa che in uno stato di natura ci possa essere contrasto tra gli abitanti ma poiché l’uomo è costituito anche da socievolezza, farà leva su questa sua caratteristica per stringere accordi e collaborazione con gli altri.
Altra condizione è che lo Stato sia repubblicano. Stato repubblicano è quello in cui il potere esecutivo è subordinato al legislativo e ci sia uguaglianza tra i cittadini; se queste condizioni ci sono, anche una monarchia potrebbe avere una costituzione civile repubblicana.
In questo caso gli uomini non sono sudditi ma cittadini e sono loro che costituiscono argine alla guerra; se gli uomini sono sudditi, invece: << la guerra diventa la cosa più facile del mondo perché il sovrano è proprietario dello stato e nulla ha da rimettere a causa della guerra dei suoi banchetti, delle sue cacce, delle sue cose di diporto, delle sue feste di Corte ecc., e può quindi dichiarare la guerra come una specie di partita di piacere, per cause insignificanti >>.
Si noti la polemica di Kant contro la concezione dello Stato come se fosse un affare privato. La guerra, per il filosofo, va sempre motivata di fronte alla collettività e iniziata solo con l’assenso di questa.
La guerra si potrebbe evitare se gli stati diventassero una federazione di popoli in cui ogni singolo stato mantenga il potere al proprio interno ma nello stesso tempo faccia parte di una federazione in cui la ragione legislatrice condannerà in modo assoluto la guerra ed eleverà a dovere immediato lo stato di pace. Questa necessità è suggerita anche da una riflessione di Kant sui conflitti distruttivi della storia. È necessario, quindi, costruire una lega della pace che ponga fine a tutte le guerre.
Un altro interessante aspetto del testo di Kant è la riflessione sull’ospitalità che dovrebbe intervenire tra i popoli mentre spesso gli stati commerciali “visitano” le terre per conquistarle; anche in questo caso, un ordinamento cosmopolitico potrebbe tutelare i più deboli.
In quest’opera di Kant sono presenti temi di grande modernità anche se il testo è spesso trascurato. Kant propone una interdipendenza tra i popoli che renderebbe fondamentale il mantenimento della pace, dietro tutto il suo ragionamento, però, si cela la ragione, guida e legislatrice di ogni scelta dell’uomo.
In ciò trovo grande il filosofo, in ogni azione dovremmo essere guidati dalla ragione perché siamo noi, soggetti di razionalità che decidiamo, vogliamo, deliberiamo.
L’invasione dell’Ucraina ci ha colti di sorpresa (nemmeno tanto, date le premesse), ma è stata scientemente organizzata da un autocrate arrogante e pieno di ambizioni. Le scene lugubri dei carri armati per le strade mi hanno ricordato il soffocamento della libertà a Praga nel 1968, scene viste in una televisione in bianco e nero, o ancora più indietro la rivoluzione ungherese del 1956. Diversi i protagonisti, uguale il metodo brutale.
Mi chiedo, a volte, perché gli uomini che abitano terre in cui ci sono opere d’arte, scrittori famosi, scienziati rinomati, figure eccellenti e risorse economiche, debbano deporre il loro prestigio nel possedere, nel potere, nel dominare e non godere del benessere, della storia gloriosa e della bellezza che li circondano.
Non so quale piacere si provi nel vedere la sofferenza di un popolo, le lacrime di una madre, il pianto di un bimbo, la morte di un uomo, la casa distrutta, le strade deserte.
La storia non torna indietro, i tempi sono cambiati e questa invasione, impropriamente condotta, mi auguro diventi un boomerang.
Gabriella Colistra
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