Il 10 febbraio, da alcuni anni, ricordiamo le vittime italiane di Istria e Dalmazia trucidate delle “truppe partigiane titine” del territorio slavo: molti di loro gettati nelle foibe.
Non eravamo ancora usciti dall’orrore dell’Olocausto che già si consumava un altro orrore a danno di persone, uomini e donne che nulla avevano da pagare se non la colpa di avere – forse – aderito al fascismo come formalmente vi aveva aderito la stragrande maggioranza degli italiani durante il ventennio.
Per più di cinquanta anni il potere politico-culturale di sinistra ha taciuto la tragedia avvenuta con la complicità dei governi italiani succedutesi negli anni: non bisognava scalfire l’immagine di una Sinistra perfetta, buona e giusta e di un’idea dei partigiani i quali, pur meritevoli per il contributo dato alla liberazione nazifascista in Italia e in Europa, perfetti non sono stati come è umanamente normale nel contesto delle azioni uomini nel corso della storia.
Eppure c’è chi, ancora oggi, cerca disperatamente di fare dei distinguo, a volte negando l’evidenza di quanto è successo.
Un modo di agire che suscita soltanto tristezza.
Le tragedie dovrebbero andare oltre le ideologie da qualunque parte esse provengano.
E quanto imbarazzo hanno creato coloro che sono riusciti a scappare e a rifugiarsi in Italia; persone che si sono trovate a fare i conti con la viltà della classe italiana politica al potere e che hanno dovuto soffrire e subire nel silenzio.
Incomprensioni tra chi è andato in esilio e chi è rimasto sono durate fino ai nostri giorni e non dimentichiamo che gli italiani rimasti in Istria e Dalmazia hanno subito altrettante umiliazioni dal regime comunista tante quante ne hanno subite quelle che hanno forzatamente scelto l’esilio.
Non esistono morti di serie A e mosrti di serie B, ma la tragedie vanno analizzate con mente libera e aperta e con onestà intellettuale.
Tommaso Cozzitorto
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