Mia cara infanzia

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Se mi chiedeste a quale età risalgano i primissimi ricordi che ineriscono la mia esistenza, vi direi che ho netta memoria di quella che sono da quando compii i miei primi tre anni.

Ho delle chiare rimembranze di una bambola buffissima dai capelli rosa pesco, che mi era stata regalata da uno stravagante e particolarissimo zio di mia madre.

Ah, lo zio Gaspare, che personaggio!

A distanza di parecchio tempo non saprei se definirlo un uomo “sui generis” o totalmente matto.

Beh, in virtù di un certo rispetto dovuto e che non oserei di certo mai negargli opterei senza alcun dubbio per la prima opzione.

L’infanzia è un attimo, pensateci bene.

Parrebbe, sovente, di discorrere in merito ad un periodo lunghissimo, dal momento che coinvolge ciascuno di noi dalla nascita fino al momento culminante della questione.

E mi riferisco a quell’istante in cui, il primo ragazzino/a di turno sbucato chissà da dove e chissà per quale ragione, riesce inaspettatamente e senza una ben precisa ragione a farti seriamente galoppare il cuore.

Lì hai già assunto le sembianze di un adolescente dagli ormoni imperversanti e certamente indomabili e puoi di buon grado accantonare gli intenti esageratamente fanciulleschi che ti avevano condizionato in tutto e per tutto, fino a quel momento.

Eppure, il periodo dell’infanzia determina in maniera preponderante la rimanente parte della nostra vita.

Io ebbi la fortuna di trascorrerne una serena, malgrado il fatto che, per ciò che mi riguarda, il termine serenità ha sempre assunto una connotazione dalle caratteristiche pressoché utopiche.

Inquieta da sempre, desiderosa di evadere costantemente da una realtà esageratamente coercitiva e bieca, un’avventuriera all’interno del mio mondo intimo ed esclusivo, per tentare ancora oggi di comprendere appieno chi sono veramente.

L’altra sera discorremmo di infanzia con la mia maestra di scuola elementare, nel corso di una graditissima rimpatriata che ci unì unanimamente dopo la bellezza di quasi trent’anni.

Mi narrò tanto della sua professione, della gratificante esperienza quarantennale, di quanto lei fosse riuscita a ricevere e ad offrire amore in maniera incondizionata a ciascuno dei suoi bambini.

Poi, con un fil di voce appena accennato, mi si accostò all’orecchio in maniera più decisa ed in tono molto pacato mi disse:

“sei una delle poche allieve che non ho mai dimenticato. Avesti il grande merito di sapermi emozionare attraverso la scrittura e questo è un particolare che in più di quaranta anni di professione mi capitò solo con te. Mi hai ampiamente ringraziata, persino all’interno del tuo bellissimo libro. Ma adesso sono io che intendo ringraziare te e lo faccio con il cuore che sorride.”

Non occorre specificare i dettagli che scandirono le fasi del mio stato emozionale.

Se quella frazione della mia vita è stata felice lo devo anche lei.

In fondo la mia infanzia l’ho abbandonata lì, tra quelle quattro mura, avvita al suo sorriso carezzevole e a quell’istinto di protezione materna.

La prima figura che mi sovviene quando mi capita di ascoltare la parola infanzia è sempre quella che appartiene a mia nonna Pina.

La mia seconda madre, la donna che ebbe la fortuna di godere per quasi otto anni della compagnia di mio figlio, l’eterno amore che mi lasciò alla veneranda età di ottantotto anni e che nessun evento sarà mai nelle condizioni di allontanare dalla mia memoria.

Mio figlio Francesco la ricorda continuamente.

La sua adorata bisnonna!

Trentaquattro anni vissuti a ridosso delle sue braccia, trentaquattro anni di fragranza di colonia alla zagara.

Come poter pensare di non aver avuto un’infanzia perfetta.

I miei genitori mi hanno sempre dedicato la loro vita.

Mio padre, venuto a mancare da pochi mesi, ricordava molto spesso un aneddoto che mi riferiva tutte le volte che discutevamo di vecchiaia.

Gli piaceva dirmi sempre:

“ti ricordi di quando eravamo in negozio?

Tu, non rimembro bene in che circostanza, mi dicesti:

” papà, io non ti abbandonerò mai. “

E lì automaticamente scattava un pianto sommesso e molto composto, perché era una persona oltremodo sensibile.

Ed è stato davvero così, caro papà.

Non ti ho abbandonato nemmeno per un istante.

Adesso mi spaventa molto l’idea di non poterti rivedere più, ma, come seguitano giustamente a ripetermi tutte le persone che mi amano veramente, direi che occorre una buona dose di coraggio.

Questa è purtroppo la vita e tu desideri che io sia felice.

Mi domando, in fin dei conti, dove vadano a finire i nostri ricordi, o meglio, dove alberghino ancor prima di sovvenire ancora una volta all’interno dei meandri della nostra mente.

Forse sono custoditi all’interno di un piccolissimo vano del cuore, o magari è la coscienza di ciascuno di noi la vera detentrice del segreto del loro riemergere.

Fatto sta che non riesco a scordarmi di nulla, soprattutto di ciò che riguarda la mia infanzia.

Riconosco tutti i bambini, ormai adulti, con i quali ho condiviso caramelle appiccicose ed un’infinità di dolciumi, mi ricordo dei profumi delle loro case, delle torte sfornate, dei piccoli litigi e delle nostre contraddizioni assolutamente puerili.

E dire che ci sentivamo così terribilmente inadeguati:”Ma quand’è che si cresce? Quand’è che si diventa adulti?”

Adesso pagheremmo a prezzo d’oro un attimo di smarrimento legato all’incertezza detenuta da un infante.

Ora sappiamo tutto, sappiamo troppo, riusciamo a cavarcela ottimamente col problem solving in maniera spettacolare e con singolare maestria.

Ma la disarmante ingenuità di un bambino: chi ci riconsegnerà l’ingenuità di un bambino?

Dov’è la mia cartella della scuola, che fine ha fatto?

Quella con i millepiedi tutti colorati, quelle che si utilizzavano alla fine degli anni ’80.

Dov’è la mia vita, quella vera, quella dei giochi per strada e delle ginocchia sbucciate?

Piccola Cristina, prega tua madre di portarti al mare.

Che poi c’è poco da pregare, tua madre il mare lo adora.

Fatti sgridare se ti allontani troppo dalla riva, falla urlare, lei non sa nuotare, non saprebbe come aiutarti.

Cristina, tua madre non urlerà più, perché tu sei un’adulta e con quattro bracciate rapidissime ormai arrivi a Genova in un batter di ciglia.

È finita, ti devi rassegnare.

Ma se una speranza esiste ancora di assaporare un po’ di leggiadria, quella risiede nell’essere di tuo figlio.

Ma sbrigati a fargli fare ancora un po’ il bambino perché tra poco tempo sarà molto più alto di te.

L’infanzia si sta dissipando lentamente finanche in relazione a lui, e tu non ti aspettavi che avvenisse così presto.

Ogni tanto cercate di ricordare chi eravate, come eravate, cosa provavate quando salivate sui cavallini delle giostre.

Io sono la solita scrittrice di trenta anni anni fa e ringrazio ogni giorno Dio per questo dono innato che mi è stato concesso.

E quand’è che fu che ebbe cura di regalarmi l’arte della penna?

Fu proprio allora, durante la mia infanzia.

Beato chi bambino lo è ancora e beato chi sa esserlo a prescindere…

Nonostante la vita.

                                                     

                                                    Maria Cristina Adragna

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Maria Cristina Adragna
Siciliana, nasco a Palermo e risiedo ad Alcamo. Nel 2002 conseguo la Maturità Classica e nel 2007 mi laureo in Psicologia presso l'Università di Palermo. Lavoro per diverso tempo presso centri per minori a rischio in qualità di componente dell'equipe psicopedagogica e sperimento l'insegnamento presso istituti di formazione per operatori di comunità. Da sempre mi dedico alla scrittura, imprescindibile esigenza di tutta una vita. Nel 2018 pubblico la mia prima raccolta di liriche dal titolo "Aliti inversi" e nel 2019 offro un contributo all'interno del volume "Donna sacra di Sicilia", con una poesia dal titolo "La Baronessa di Carini" e un articolo, scritti interamente in lingua siciliana. Amo anche la recitazione. Mi piace definire la poesia come "summa imprescindibile ed inscindibile di vissuti significativi e di emozioni graffianti, scaturente da un processo di attenta ricerca e di introspezione". Sono Socia di Accademia Edizioni ed Eventi e Blogger di SCREPmagazine.

2 COMMENTS

  1. l’Infanzia è un miracolo seppur breve molto significativo,penso sempre che questo iniziale periodo di vita è sacro !
    Da questa serena premessa ha origine l’integrità della persona.

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