La matita ed il genio di Giotto:
anche la sua lingua faceva la sua parte…
Beh, anche quella era studiata ad arte, benché non ci risulti che il nostro artista abbia fatto qualche partaccia a qualcuno.
Ciò che sappiamo, comunque, è che era, per natura, sopraffino e che per mordace indulgenza si è lasciato, talvolta, saltare la mosca sul naso, ma solo per farsene nascere una burla durata per tanti secoli.
Insomma, per comprendere questo Gigante del Medioevo occorre farsi un bel quadretto dove caratterizzanti sono sia i colori che il suo caratterino.
Procediamo con ordine…
Nella novella VI.5 del Decamerone boccaccesco è presente una lode sperticata sul suo conto: di lui di dice espressamente “una delle luci della fiorentina gloria” e, più avanti, “[…] ebbe uno ingegno di tanta eccellenzia, che niuna cosa dà la natura, madre di tutte le cose e operatrice col continuo girar de‘ cieli, che egli con lo stile e con la penna o col pennello non dipignesse sì simile a quella, che non simile, anzi più tosto dessa paresse, in tanto che molte volte nelle cose da lui fatte si truova che il visivo senso degli uomini vi prese errore, quello credendo esser vero che era dipinto.[…]”.
Nell’Amorosa Visione (IV, 16), sempre il Boccaccio celebra il naturalismo eccezionale dell’arte giottiana:
“[…] Humana man non credo che sospinta
mai fosse a tanto ingegno quanto in quella
mostrava ogni figura lì distinta,
eccetto se da Giotto, al qual la bella
Natura parte di sé somigliante
non occultò nell’atto in che suggella […]”.
E comunque, sempre per lui, ma in un altro capitoletto della Genealogia Deorum Gentilium (XIV.6), il nostro artista è così elevato a gloria umana da essere appaiato ad Apelle, il più celebre tra i pittori greci.
Se, poi, aggiungiamo a ciò, qualche endecasillabo dantesco, il giudizio si allarga fino a diventare ultraterreno, oserei aggiungere:
“Credette Cimabue ne la pittura
tener lo campo, e ora ha Giotto il grido,
sì che la fama di colui è scura”.
[Divina Commedia – Purgatorio, canto XI – Dante Alighieri]
Tuttavia, non tutti sanno che il più grande Pittore della storia medievale italiana era un sagace e salace linguacciuto: nel vernacolo lametino, avremmo detto ’nu bellu rispustìari, non trovando termine più adeguato per farlo equivalere in un confronto bilingue. Vediamolo…
Giorgio Vasari nelle sue Vite racconta gli aneddoti famosi di Giotto alla corte di Roberto d’Angiò, Re di Napoli.
“[…] Fu chiamato a Napoli dal Re Ruberto, il quale gli fece fare in Santa Chiara, chiesa reale edificata da lui, alcune cappelle, nelle quali molte storie del Vecchio e Nuovo Testamento si veggono. […] E fu sì da quel re amato, che oltra la pittura pigliò grandissimo piacere del suo ragionamento, avendo egli alcuni motti et alcune risposte molto argute, come fu quando dicendogli un giorno il re che lo voleva fare il prim’uomo di Napoli, “E per ciò”, gli rispose Giotto, “son io alloggiato vicino a Porta Reale per esser il primo di Napoli.
Et un’altra volta, dicendogli il re: Giotto, s’io fusse in te, ora che fa caldo, tralasserei un poco il dipignere, rispose: Et io, se fussi in voi, farei il medesimo”
“[…] Dicesi che gli fu fatto dal re dipignere per capriccio il suo reame, per che Giotto gli dipinse uno asino imbastato, che teneva a’ piedi un altro basto nuovo e, fiutandolo, faceva segno di desiderarlo; e su l’uno e l’altro basto era la corona reale e lo scettro della potestà. Domandato dunque Giotto da ’l re, nel presentargli questa pittura, de ’l significato di quella, rispose tali i sudditi suoi essere e tale il suo regno, nel quale ogni giorno nuovo signore desideravano“.
Alla luce di tutto questo, ora capisco perché questo straordinario personaggio riuscisse a colorare i pensieri.
Semplice, perché le parole ne riportavano alla luce le nuances. Incolore il suo dizionario, allora!?
Macché!?
Multicolore, se mai: lo testimoniano le sue conversazioni, a ben vedere, anch’esse ben dipinte!
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[…] “La matita ed il genio di Giotto” di Francesco Polopoli […]