Nel corso del ‘700 si sviluppò, in Inghilterra, un vivace dibattito sulla morale volto a fondare un’etica autonoma rispetto a quella di natura religiosa, un’etica che avesse basi conoscitive che potessero fare da guida agli uomini nel loro agire.
Tra i tanti filosofi che parteciparono al dibattito ne ho scelto uno, Bernard Mandeville (1670-1733), per la singolarità della sua proposta contenuta nell’opera La favola delle api ovvero Vizi privati, benefici pubblici.
Mandeville nato a Rotterdam era un medico e questo traspare dal modo in cui porta avanti le sue tesi; per comprenderla, bisogna partire da una favola. In questa scelta si rifà ai moralisti del passato che usavano gli animali per trasferire nel loro mondo vizi e virtù appartenenti agli uomini.
Egli immagina che la società sia come un alveare, soprattutto la società inglese che egli prende a modello. Nell’alveare, le api vivono una vita comoda, propensa al vizio, al lusso e alla disonestà della quale si lamentano senza pensare che il loro benessere, la ricchezza e il progresso delle arti e delle scienze dipendono proprio dalla loro disonestà. Scontente, quindi, protestano presso gli dei che decidono di concedere loro la bontà e l’onestà. Le cose, però, invece di migliorare peggiorano: i commerci si fermano, le professioni languono, i disonesti si autodenunciano, ognuno vive in modo parco ma alla fine le api si ritrovano in uno stato di povertà.
Lo stesso succede in una società, questa non cresce per l’innato senso morale che genera armonia e bene, è piuttosto l’egoismo e l’ambizione personale che fa progredire la società.
Nella società ricca, secondo Mandeville, prosperano truffatori, prostitute, giocatori d’azzardo e una moltitudine di persone che vive del lavoro degli altri, eppure per molti la vita è un paradiso. E’ questo un paradosso di cui il medico – filosofo è consapevole, eppure è convinto che la società felice lo sia perché domina il vizio.
Sostiene, infatti, che gli ubriaconi che condanniamo fanno guadagnare l’oste, il bottaio, chi trasporta la merce; chi veste elegantemente e ama il lusso fa guadagnare i sarti, coloro che portano dall’oriente tessuti pregiati, gli armatori delle navi che percorrono i mari. Le guerre portano morte e distruzione ma anche grande sviluppo di alcune produzioni; l’incendio di Londra diede lavoro a falegnami e carpentieri.
Eppure gli uomini non sono mai contenti, si lamentano della disonestà di alcuni, della mancanza di giustizia, delle frodi che subiscono.
La favola delle api ha una morale che il filosofo formula così:
<< Smettetela dunque con i lamenti; solo gli sciocchi cercano di rendere onesto un alveare. Godere le comodità del mondo, essere famosi in guerra, e, anzi, vivere nell’agio senza grandi vizi, è un’inutile utopia nella nostra testa.
Frode, lusso e orgoglio devono vivere finché ne riceviamo in benefici: la fame è una piaga spaventosa, senza dubbio, ma chi prospera e digerisce senza di essa? […] La semplice virtù non può far vivere le nazioni nello splendore; chi vuole far tornare l’età dell’oro, deve tenersi pronto per le ghiande come per l’onestà. >>
Quindi, o poveri a mangiar ghiande o ricchi e potenti ma immersi nella disonestà, nella vanità, nella lussuria. Mandeville è convinto che le cause di ogni progresso siano derivate dallo sfruttamento dei nostri peggiori vizi. Quindi vizi privati producono pubblici benefici.
Mandeville sostiene di aver voluto solo descrivere la società come essa è, pensa che ciò che ha scritto, a parte il piacere di leggere, non avrà avuto effetto su alcuno ma una cosa vorrebbe si realizzasse: quelli che rimproverano gli altri, guardassero in casa propria ed esaminando la propria coscienza provassero vergogna della propria ipocrisia. Infatti chiedendosi cosa ci si potrebbe aspettare leggendolo scrive:
<< La gente che rimprovera di continuo gli altri, leggendo questi versi imparerebbe a guardare in casa propria ed esaminando la propria coscienza si vergognerebbe di protestare per ciò di cui anch’essa è più o meno colpevole. >>
Prosegue il discorso sostenendo che coloro che godono di agi e comodità derivanti dall’essere una grande nazione, imparerebbero a sopportare con maggiore pazienza gli inconvenienti derivanti dalle scelte del governo su materie alle quali non si può porre rimedio.
Per la sua teoria, il medico-filosofo fu duramente attaccato da chi, come il contemporaneo Shaftesbury convinto che la socievolezza fosse naturale, riteneva che l’agire bene derivasse come conseguenza e che nessuno fosse così egoista da non avere un amico, una persona amata di cui volesse il bene.
Se anche non fosse così, bisognerebbe frenare gli istinti e ragionare sul vantaggio che la collaborazione e l’onestà portano alla collettività.
La visione pessimistica di Mandeville riporta ad Hobbes, il filosofo che sosteneva “homo homini lupus” (l’uomo è lupo per l’altro uomo) e così fu letta la teoria del filosofo olandese che, come dicevo, fu molto criticato dai contemporanei.
Trovo anch’io dura la tesi di Mandeville ma forse un pugno nello stomaco che lascia senza fiato è quello che serve in certi momenti per colpire comportamenti leggeri e un ottimismo troppo superficiale.
Il discorso sul fondamento della morale in una società moderna fu ripreso da Smith, Bentham, Malthus, Marx ed altri pensatori più conosciuti di Mandeville ma è lui che mi è tornato in mente mentre, bloccata nel traffico infernale prenatalizio, ho pensato che l’abbiamo voluto noi.
E’ l’uomo che ha creato un Natale consumistico, con grande gioia di tante altre categorie di produttori e lavoratori, tutto ciò genera circolazione di beni, di denaro, di ricchezza, di felicità. Sono passati secoli da quando Mandeville scriveva e forse qualche ragione aveva.
Prima di lui, Socrate andava in giro vestito di stracci, Diogene viveva in una botte, tanti altri filosofi hanno fatto questa scelta di vita. Anche Colui che nasce in una grotta al freddo e al gelo, riscaldato dal fiato di un bue e di un asinello, qualcosa avrà voluto dire all’umanità.
Umanità che ha dimenticato tutto impegnata a impacchettare regali. Che il fiocco sia rosso, mi raccomando! E’ un consiglio che prima di tutto do a me stessa.
Gabriella Colistra
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