La mia vita, come d’altronde quella di tutti, potrebbe essere considerata una doppia vita.
Difficile tracciare la linea di demarcazione tra i due mondi.
L’uno è quello interiore, profondo, oscuro che conosciamo soltanto noi, che tutela la sua integrità mantenendo un’intima segretezza.
L’altro è quello costretto a stare sempre in superficie, che tutti possono vedere, che non conosce la riservatezza.
Sembrano così distanti, ma non lo sono.
Il fatto di convivere sotto lo stesso tetto li ha messi nelle condizioni di dover stringere un patto, per realizzare, in qualche modo, una sorta di armoniosa convivenza.
Non è stato facile, perché una sottile rivalità li ha posti nelle condizioni di dover competere, lealmente, senza sgomitare.
Capitava, a volte, che l’uno prevaricasse l’altro.
E allora erano dolori, perché la sfida si rivelava estenuante.
Ma succedeva anche che entrambi si cercassero reciprocamente per chiedere aiuto, asilo.
Naturalmente, vista da tale prospettiva, si evince una strana complicità, forse necessaria o forse opportunista.
Quello profondo perché stanco di stare rinchiuso tra le sue pareti domestiche, di fare i conti con i rimorsi, le paure, le fragilità, le ansie, le delusioni, i dolori, insomma di quella dimensione introspettiva.
Quello superficiale perché insofferente a doversi mostrare sempre nel pieno della sua forma.
E, quindi, bisognoso di fuggire dalle sue responsabilità.
Sente fortemente il carico di dover essere a tutti i costi, di non poter concedersi neppure un momento di distrazione, follia perché potrebbe costare caro.
La luce, a volte, è accecante, insostenibile.
Ci sono le maschere, è vero, ma lasciano il tempo che trovano perché sono scomode.
Troppo strette o troppo larghe, troppo pesanti o troppo leggere.
Non ho capito se si sono mai incontrati a mia insaputa.
Io so soltanto che ho fatto di tutto per mantenere una sorta di sodalizio pacifico perché consapevole di dover inevitabilmente contare su entrambi.
Piera Messinese