IL TEMPO GENERATIVO DELLA GENTILEZZA
di Francesco Savino, Vescovo di Cassano all’Jonio
“…E il cristiano è un uomo o una donna che sa vivere nel momento e che sa vivere nel tempo. Il momento è quello che noi abbiamo in mano adesso: ma questo non è il tempo, questo passa! Forse noi possiamo sentirci padroni del momento, ma l’inganno è crederci padroni del tempo: il tempo non è nostro, il tempo è di Dio! Il momento è nelle nostre mani e anche nella nostra libertà di come prenderlo. E di più: noi possiamo diventare sovrani del momento, ma del tempo soltanto c’è un sovrano, un solo Signore, Gesù Cristo.”(Papa Francesco, Santa Marta, Omelia 26 Novembre 2013).
È l’imbrunire di un anno che sembrava non finire mai. Abbiamo osservato, dalle finestre delle nostre stanze, le stagioni passare, come passeggeri di un treno che affidano alla malinconia della corsa, gli orizzonti cangianti dei paesaggi.
Il tempo però, inconsapevole delle nostre paure e delle nostre attese, trotta con ferocia e, come dice Papa Francesco, non ci appartiene se non come sommatoria di istanti, di attimi distinti e fugaci che nel momento in cui accadono, sono già memoria.
Il tempo è di Dio ed è per questa assoluta verità che possiamo viverlo con la sola speranza che l’attesa non sarà vana, perché custodita dalla Sua volontà.
Per cogliere la verità del tempo bisogna avere il coraggio di guardarsi dentro, di spogliarsi da malsane consapevolezze e specchiarsi nudi all’attesa che non è banale consolazione, ma roccaforte della fede.
Penso al bellissimo incontro di Gesù con Marta, sorella di Lazzaro, e a quando Marta dice:
“So che risorgerà nella resurrezione dell’ultimo giorno” (Gv 11, 25).
Nell’amarezza del dolore di questa imprecisa prospettiva di salvezza, si intravede il superamento di un limite: solo la fede è àncora alla salvezza.
Marta non sa quale sia quell’ultimo giorno e di fronte al dolore della morte di un fratello, quell’attesa chiede di diventare una damnatio memoriae, la cancellazione del dolore, dell’amore, di una esistenza che non trova pace perché ha smesso di interrogarsi e di affidarsi.
Ecco, se c’è una cosa che il Covid-19 ci deve insegnare, è che il tempo, l’attesa e l’attesa del tempo ed il tempo dell’attesa, è una distensio animae, come Sant’Agostino ci ha insegnato; una distensione dell’anima tra il presente, la memoria e l’attesa.
Questa pandemia ha provato a cancellare la nostra memoria storica, facendo vittime tra quelli di noi più anziani, cancellando una generazione che ha significato sacrificio, speranza, lotta e fiducia per un avvenire migliore; ha provato ad abbuonare anche il futuro, quell’attendere che don Tonino Bello leggeva come voce del verbo amare e declinava come commisurazione della santità di ognuno, ma non ci ha tolto la speranza del presente.
Il presente è in sé persistenza della memoria, anche distorta e multiforme, come il celebre quadro di Salvador Dalì, in cui dominano la scena alcuni orologi dalla consistenza deformata, ma è anche e soprattutto la patina di uno speranzoso avvenire.
Ora le mura fortificate della desolazione, della paura e della noia, dovranno essere abbattute dall’impeto della vita e dell’amore.
Dobbiamo ricominciare ad orientare a Dio i momenti della nostra esistenza, per come il nostro Papa ci suggerisce, come aghi di una bussola senza premura a cui non manca d’orientarsi al polo della sola possibile direzione.
Allora accettiamo con la fiducia dell’ago che indica sempre la direzione della rotta corretta, questo tempo generativo, perché ci insegni a lanciare uno sguardo commosso sul mondo, abbandonando le pseudo sicurezze dell’isolamento e l’ombra debilitante della paura.
Gianrico Carofiglio scrive:
“Il tempo è molto più esteso per i giovani perché sperimentano in continuazione cose nuove. La loro vita è piena di prime volte, di improvvise consapevolezze” e perché questa esperienza dilati i confini del nostro vissuto, tutti, giovani o meno, dobbiamo tendere alla “prima volta”, alla formattazione dell’anima, per usare un termine che questi mesi di iperconnessione ci hanno lasciato, alla nudità della fede per fare dell’Altro l’unica religione (Lévinas).
Recuperiamo le parole di senso ed il senso delle parole, recuperiamo la compassione, che è la vera giustizia, io vorrei che noi tornassimo ad essere gentili, ad essere ancora il cuore pensante di questa baracca (Etty Hillesum).
C’è un tempo perfetto per fare silenzio e guardare il passaggio del sole d’estate e saper raccontare ai nostri bambini quando è l’ora muta delle fate (Ivano Fossati).
Vi comunico tutto questo a partire dalla sofferenza che ha colpito anche me e i miei collaboratori, permettendomi di sentire ancora più vere le parole che vi consegno. Abbiate cura delle vostre persone con il cuore e con l’intelligenza, senza dimenticare il cambio di rotta.
Buon nuovo anno di elogio della gentilezza.
Cassano all’Jonio, 31 dicembre 2020
Francesco Savino Vescovo di Cassano all’Jonio
a cura di Vincenzo Fiore
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