Il tunnel e quella nostra ricerca di senso

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Il tunnel e quella nostra ricerca di senso

 “In ogni caso, c’era un solo tunnel, buio e solitario: il mio, il tunnel in cui avevo trascorso l’infanzia, la giovinezza, tutta la mia vita.”       

‘Il tunnel’, (Ernesto Sabato)

 L’incontro tra Juan Pablo Castel e Maria Iribarne avviene durante il Salon de Primavera del 1946. Juan Pablo, pittore di successo, espone alla mostra un suo quadro intitolato Maternità.

In primo piano è raffigurata una donna che osserva il suo bambino mentre gioca.

In alto, a sinistra, invece, si vede una scena distante: una finestrella che si apre su una spiaggia deserta,  e una donna che guarda il mare.

Juan Pablo   viene colpito all’improvviso, dalla presenza di una giovane donna, Maria.

Una donna tra le tante nella sala.  Ma l’unica che osserva, con curiosità, quell’angolo anonimo del dipinto. Una scena che rappresenta, per il pittore, una solitudine angosciata e assoluta.

Juan Pablo, perturbato da quella visione, inusuale. Vi coglie un suo disperato bisogno di contatto con l’altro.

Ha una sola certezza: quella di aver trovato l’amore.

Un amore che, nell’attimo in cui lo afferra, scompare, quella sera stessa,  nel nulla.

Alcuni mesi dopo si rincontrano. Ma non per caso.

Juan Pablo, attraverso un’analisi basata sulla  logica e  sulle possibilità di rincontrarla, la vede un giorno camminare sul marciapiede opposto.

Si danno appuntamento pochi giorni dopo. Anche se Juan Pablo vorrebbe vederla tutti i giorni, in ogni momento della giornata.

Ma Maria è una donna sfuggente, enigmatica.

Una donna “che fa del male a tutti coloro che le si avvicinano”, dirà lei stessa, più volte, a Juan Pablo.

Iniziano a frequentarsi.

Juan Pablo presto scoprirà che Maria è sposata con Allende, un uomo non vedente.

Scoprirà anche che Maria  va, spesso, alla tenuta del cugino del marito.

Quando  Juan Pablo scopre le sue ripetute e silenziose assenze, inizia a dubitare di Maria.

Teme che lo tradisca, non con una persona, ma più persone.

Juan Pablo si sente sempre più frustrato e disilluso.

Quell’amore, che credeva  assoluto ed intoccabile,  gli rimanda,  ogni giorno che passa,  un senso di solitudine sempre più angosciante.

Solitudine, che si riempie di continue domande, e di richieste di chiarimenti a cui Maria viene sottoposta fino allo sfinimento.

In quei dettagli, Juan Pablo spera di trovare quelle conferme, che potrebbero rassicurarlo da un misto di distanza, disperazione e odio. Sentimenti che, ora,  non trovano più confini definiti.

I rari momenti di felicità, vengono come un soffio risucchiati in quella spirale di ossessione e rabbia senza uscita.

Juan è entrato in un tunnel, il suo.

Un lungo corridoio, che ingenuamente ha immaginato fosse parallelo a quello di Maria.

Ma ben presto quel muro, a tratti di cristallo, e  in cui  vede Maria, ritorna ad essere di pietra nera. E gli impedisce di guardare oltre. Si rende conto che è tutta una ridicola invenzione.

E che, “in ogni caso, c’era un solo tunnel, buio e solitario: il mio, il tunnel in cui avevo trascorso l’infanzia, la giovinezza, tutta la mia vita.”

Una ridicola illusione. In realtà Maria, appartiene al grande mondo. Conduce una vita agitata e allegra. Attraverso il vetro la vede sorridere da lontano. In altri momenti c’è solo buio.

Non la vede. E la sua morte non solo è sopportabile, ma persino confortante.

“Devo ucciderti, Maria. Mi hai lasciato solo.”

Juan Pablo ritiene che il mondo in cui vive sia un mondo superficiale, pieno di ipocrisia e falsità. L’unico legame che ha con “quel mondo” è la sua arte.

I suoi dipinti  riflettono la sua interiorità, soprattutto la sua solitudine.

Un’esperienza angosciante,  un’esperienza che ha fame  di senso.

Ed è proprio la ricerca disperata di senso, che lo porta a credere di aver trovato l’unica donna che lo abbia mai compreso.

Quel senso che lo strappa, per un attimo, a un destino  immodificabile ed angosciante.

Quel senso che lo fa sentire vivo, unico, ma, allo stesso tempo, gli impedisce  di manifestarsi al mondo e all’altro.

Il protagonista percepisce solo il suo mondo interiore.

Un mondo in cui la corrispondenza tra l’ esperienza emotiva ed il proprio sistema di senso è ormai alterato.

Nulla e nessuno potrà più colmare tale discrepanza, neanche l’arte.

                                                                                                                                  

Dott.ssa Paola Uriati

Leggi il mio articolo precedente:

“L’uomo che (non) amava le donne” della Dott.ssa Paola Uriati

 

 

 

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Paola Uriati
Ho conseguito nel 1994 il diploma di Laurea di dottore in Psicologia indirizzo Clinico e di Comunità, presso l’Università la Sapienza di Roma. Sono iscritta dal 1997 all’Albo degli Psicologi della Regione Lazio. Dal ’94 al ’99 ho svolto il Corso quadriennale di specializzazione in Psicoterapia Cognitivo post-razionalista, presso l’Associazione di Psicologia Cognitiva di Roma. Lavoro come psicologa psicoterapeuta a Roma e mi occupo principalmente di disturbi dell’umore, disagi adolescenziali, disturbi di personalità, problematiche relazionali e sessuali. Ho partecipato a Convegni in qualità di relatore ed ho realizzato pubblicazioni fra cui “ Approccio evidence-based alla valutazione del trattamento comunitario terapeutico-riabilitative del Lazio”. Da febbraio 2020 seguo un progetto editoriale, uno spazio in cui condivido argomenti che hanno, come obiettivo principale, il benessere della persona. Sono appassionata di fotografia. Mi piace catturare le immagini, piccoli frammenti della nostra identità, che si svela nell'incontro con l'altro e con il mondo.

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