Filippo De Pisis (parte prima)

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FILIPPO DE PISIS (parte prima)
“Il gladiolo fulminato” 1930, olio su cartone.
Museo d’Arte Moderna e Contemporanea “Filippo de Pisis”, Ferrara.

Luigi Filippo Tibertelli, in arte Filippo De Pisis, nasce a Ferrara l’11 maggio 1896.

Di antica famiglia ferrarese benestante, il padre psichiatra, ha un’educazione raffinata ed elegante.

De Pisis non frequenta la scuola pubblica, ma studia a casa con vari insegnanti.

Nel 1904 comincia a disegnare sotto la guida del pittore Oduardo Domenichini, ma si interessa anche alla botanica e alla letteratura.

Laureatosi in lettere, inizia a dipingere nel 1916, quando fa amicizia a Ferrara con Savinio, Carrà, ma sopratutto con De Chirico.

Molte opere di Filippo De Pisis infatti rappresentano un tributo a Giorgio De Chirico, il più grande pittore “metafisico”.

Nel 1920 si trasferisce a Roma e frequenta l’ambiente di “Valori Plastici“, una nuova corrente molto in voga a quei tempi.

Chiamato a Venezia per la visita militare, studia Tiepolo, Tiziano e Tintoretto, copiando nei musei veneziani alcuni loro capolavori.

Col passare del tempo De Pisis lavora alla definizione di un proprio linguaggio figurativo diventando uno dei protagonisti indiscussi del panorama artistico del Novecento italiano.

Grazie alla bravura e alla sua vasta produzione (ha dipinto circa 3.000 opere), si impone sulla scena contemporanea dimostrando una grande maestria, caratterizzata da quel tratto pittorico veloce che l’ha reso famoso.

Da sempre i quadri di fiori e nature morte assumono un rilievo preminente.

Inizia quindi a eleborare le sue caratteristiche nature morte, accostando oggetti ad altri nel silenzio della pittura metafisica.

La passione per il mondo della natura si manifesta in De Pisis sin dai primi anni di vita, riversandosi in una singolare avventura “en plein air” che lo avvicina fortemente all’impressionismo.

A Parigi, dove si stabilisce per molti anni, ha modo di ammirare e studiare Monet, Manet e Sisley.

La sua pittura, coltissima, nel felice colorismo estemporaneo, sottolinea anche una notevole conoscenza dell’arte del Seicento e del Settecento, consentendo a De Pisis brillanti interpretazioni dell’architettura e delle vedute di città, specialmente di Venezia e di Parigi.

Grande poeta, scrive e pubblica diversi libri di notevole valore artistico intesi anche a svelare alcuni tratti più poetici della sua pittura. Ne cito alcuni: Prose (1920); La città delle cento meraviglie (1921); Poesie (1940).

Nel 1947 dopo un altro soggiorno a Parigi, questa volta breve, è costretto a rientrare in Italia con i primi sintomi di una grave malattia.

Pur malato è a Venezia per la XXV Biennale, che gli dedica una sala personale con 30 opere dal 1926 al 1948.

Si parla anche di una candidatura onorifica, ma un telegramma da Roma ne proibisce il conferimento a lui perché omosessuale: l’onorificenza verrà quindi assegnata a Giorgio Morandi.

Durante il secondo ricovero neurologico (1948-49), viene sottoposto a elettroshock presso la clinica di Villa Verde a Bologna e successivamente si trasferisce alla clinica di Villa Fiorita in provincia di Milano.

I suoi arti rimangono semiparalizzati, e ciò non gli permette più di lavorare.

Tra il 1954 e il 55 viene trasferito all’ospedale psichiatrico di Villa Turro a Milano per il costante aggravarsi delle sue condizioni.

De Pisis muore il 2 aprile 1956.

“IL GLADIOLO FULMINATO”

Questo dipinto unisce un certo orientamento metafisico a uno stile influenzato dall’impressionismo francese.

Se notate, quest’opera ricorda un po’ i vasi con fiori di Manet che il maestro dipinse nei suoi ultimi anni di vita, ma con un’importante variazione: il delicato fiore sulla sinistra pur colpito dal fulmine non perde minimamente la sua bellezza, anzi la diffonde con grazia rendendo visiva la sostanza lirica della fragilità della vita.

Il tratto rapido di De Pisis fa vibrare la materia, dando vita a un mazzo di fiori recisi che per varietà di qualità e colori paiono appena raccolti in un campo.

Dietro al vaso una parete azzurra fa da contrasto alla tonalità chiara del tavolino.

Il gladiolo sembra spento, apparentemente dimenticato e appoggiato al tavolino, ma De Pisis riesce con tocchi magistrali a compensare ed equilibrare la vivacità della composizione floreale.

CONCLUDENDO:

Nei soggetti di De Pisis, semplici ma mai banali, sovente si consuma una tragedia, come in quest’opera appunto, dove balena il destino di un fiore stroncato all’improvviso.

Sono l’espressione dello stato d’animo di questo artista che vuole raccontare il romanzo della sua vita, anche attraverso delle immagini.

Bruno Vergani

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