Si stava meglio quando si stava peggio

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Mazze e panelle…

Fondamentalmente mi sento un revisionista e anche un po’ conservatore, ma non sono un reazionario.

Diciamo che del passato ne ripropongo il meglio.

A tal proposito, nel rivedere alcuni metodi educativi usati dai nostri genitori, bruschi ma efficaci, vi voglio narrare di come mia mamma evitò danni alla mia carriera scolastica.

CORREVA (e pure veloce) L’ANNO 1963

Correva l’anno 1963 e il sottoscritto frequentava la prima classe delle elementari. All’epoca sapevo già scrivere le paroline semplici, e ciò era dovuto al fatto che mia madre, benchè casalinga, si era applicata a insegnarmi a scrivere.

Ero entusiasta di andare a scuola e la mia natura colloquiale e gioviale, mi fece familiarizzare con tutti i compagni anche con i bulletti che però mi rispettavano per la mia bravura.

Capitò al mio fianco, nello stesso banco Cecè (diminutivo di Eugenio), “un po’ più avanti di me nelle esperienze di vita“.

Lui per me fu una guida istruendomi in tante piccole cose che facevano diventare “uomini“. Un giorno mentre il maestro spiegava mi sussurrò all’orecchio : “Rodò, domani andiamo a salare?

Seppi dopo, che salare significava marinare la scuola.

Lì per lì, non diedi una risposta immediata a Cecè ma presi del tempo per immaginare cosa volesse significare la parola “salare“.

Incalzato dalla sua richiesta risposi alla fine delle lezioni, quasi farfugliando un si, ma chiesi a Cecè cosa si dovesse fare praticamente per salare.

Lui candidamente rispose : “domani non veniamo a scuola“.

Confermato tacitamente l’accordo il giorno successivo non entrammo a scuola e, come Lucignolo e Pinocchio ci avventurammo nella nostra cittadina.

ATTRAVERSAMMO CAMPI COLTIVATI

Ricordo ancora che attraversammo una zona di campi coltivati, raccogliendo ortaggi e frutta, inseguiti dai proprietari dei terreni. Costeggiammo un torrente ai lati del quale ci fermammo a mangiare gli ortaggi. Trascorremmo la giornata in maniera serafica e, con animo bucolico, apprezzavamo le meraviglie della natura e non sospettando cosa ci attendesse al ritorno.

L’uscita di scuola in quegli anni veniva segnalata dal suono di una sirena che noi naturalmente non sentimmo.  E molto tempo dopo l’orario di uscita di scuola, ci separammo per recarci nelle rispettive abitazioni.

DAVANTI AL PORTONE DI CASA…IL DUCE

Ah che bello, mi sentivo già Indiana Jones ante litteram, pregustavo il racconto che avrei fatto con Cecè agli altri compagni della nostra avventura. Nel frattempo mi avvicinavo a casa ma fatta l’ultima svolta della stradina, il sangue mi si gelò nelle vene. Davanti il portone, con “posa di mussoliniana” memoria, c’era mia madre la cui espressione non lasciava presagire nulla di buono.

Arrivato a pochi metri da lei un po’ trafelato, togliendo le mani dai fianchi fece cenno di avvicinarmi e mi domandò : “sei andato a scuola stamattina?” ed io pronto di rimando “certo“. .. “Ah entra nel portone che facciamo i conti “.
Entrato nel portone, vidi una vecchia scopa che in quel frangente non venne utilizzata per spazzare ma lascio a voi immaginare ciò che successe alla chiusura del portone.

 

Il giorno dopo io e Cecè ci sedemmo al banco abbastanza abbacchiati.

Cecè mi domandò “che ti ha fatto tua madre‘” , io risposi : “probabilmente quello che ha fatto a te la tua“.

E da quel giorno decidemmo di non andare più a “salare”.

Come potete ben vedere la lezione è servita.

Dell’accaduto ne parlo ancora oggi con il sorriso e senza astio verso mia madre ma, riconoscendo che alcuni metodi benchè estremi, a volte sono efficaci più delle ritorsioni morali.

Si stava meglio quando si stava peggio, recuperiamo quello che c’è di buono nel nostro passato.

Rodolfo Bagnato

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