E’ tempo di responsabilità

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In una mattina di febbraio, mite e con i campi pieni di fiorellini gialli che fanno sentire un presagio di primavera, percorro l’autostrada verso sud e vedo dall’alto un mare così calmo e bello, come non è quasi mai in estate, rare imbarcazioni lo solcano lasciando una scia bianca che dopo un po’ scompare.

Mentre lo guardo, penso alla sera precedente in cui ho visto in un video bellezze delle nostre montagne e poco dopo appare, oltre il mare, l’Etna, vulcano innevato, bellissimo da vedere. Siamo circondati di bellezze e non ci facciamo sempre caso, inquiniamo e sporchiamo pensando che un gesto non produca male, ma spesso i gesti sono tanti e producono tanto male.

Allo stesso modo, nei laboratori si sperimentano nuovi macchinari, nuovi farmaci utili all’umanità ma quando si pensa alla riproduzione artificiale o alla bioingegneria si comprende che si toccano ambiti in cui l’uomo comune non può che provare un senso di sperdimento causato dalla segretezza degli esperimenti e dalla ignoranza degli esiti.

La filosofia, già nel secolo scorso, ha sostenuto che tali problematiche meritano di essere affrontate e devono essere affrontate dai filosofi pratici cioè da coloro che sono capaci di comprendere la società contemporanea e interpretarne i dilemmi di tipo politico e morale che la riguardano.

Le società industriali avanzate sono, però, caratterizzate da un estremo pluralismo; gli individui hanno ideali e interessi contrastanti, a volte conflittuali, per cui è difficile definire quali costi e quali sacrifici siano disposti a sopportare per la soluzione di un problema.

Il filosofo Hans Jonas (1903 – 1993) si è molto occupato di questi temi, ha sostenuto che si dovrebbe fondare un’etica del macro-ambito che riguardi cioè tutta l’umanità, soprattutto da quando essa è messa a repentaglio dall’uomo stesso con le sue scelte.

Questa attenzione richiede anche che la filosofia si liberi della tendenza ad adottare un metodo ed una razionalità mutuata dalla ragione scientifica e torni alla “praxis”, l’agire morale aristotelico che considera morale l’azione della scelta deliberata.

È la filosofa Hannah Arendt (1906 – 1975) che partendo dal concetto aristotelico di praxis, distinto dai concetti di lavoro e produzione che soddisfano i bisogni vitali, ha considerato l’azione come momento in cui gli uomini possono dedicarsi al bene comune e sentirsi parte di una comunità in cui il discorso può superare le difficoltà e persuadere.

Tutto ciò, come scrivevo prima, è molto difficile da realizzare a causa della frammentazione sociale; forse le osservazioni più interessanti le troviamo in H. Jonas che ha posto l’accento sul richiamo alla responsabilità.

Responsabilità che ci impone di guardare al futuro e considerare a lungo termine ciò che l’azione tecnica potrà produrre. Di fronte ai guasti che trova nella macro-dimensione (ecosfera, uso di energie nucleari) e nella micro-dimensione (ingegneria genetica), Jonas sostiene che si debba tornare alla centralità dell’essere che ha dentro di sé un fine e una natura che debba essere realizzata.

La responsabilità, di cui scrive Jonas, ci impone di rifuggire un colpevole atteggiamento che privilegia l’oggi, …domani si vedrà. Forse domani sarà troppo tardi, è responsabilità quella che guarda all’esistente ma anche quella che considera e preserva le generazioni future.

Non è ottimistica la visione di Jonas, egli pensa che sarebbe necessaria una moratoria nelle ricerche tecniche e scientifiche per attenuare i rischi futuri. Sarebbe anche necessaria una riflessione sui valori morali che devono costituire il terreno su cui si costruisce una convivenza civile e che appaiono al momento inadeguati alla complessità del mondo in cui viviamo.

La pandemia ci ha reso nervosi, inutilmente reattivi di fronte a sciocchezze e, al contrario, indifferenti di fronte alle centinaia di morti che ancora giornalmente ci vengono indicati. Ogni giorno spunta qualcuno che falsifica green pass, altri che buttano vaccini mentre altrove non ce ne sono abbastanza.

La gioia dei miliardi che arriveranno dall’Europa si stempera appena si percepisce che il malaffare si sta organizzando per partecipare al banchetto, cosa che sarà dannosa per popolazioni bisognose di tanti interventi.

A volte mi chiedo se meritiamo davvero la bellezza che abbiamo intorno e perché a tanto splendore naturale corrisponda tanto squallore umano.

Moltiplicando i casi e ampliando la platea, l’etica della responsabilità di cui parla Jonas sembra ben poca cosa, benché abbia per me un valore immenso: nel senso e nel rispetto dell’umanità, nel vedere in ogni essere una luce che deve brillare finché sarà il momento di spegnersi.

Ci vuole tanto senso di responsabilità per non far tuonare le armi al confine orientale europeo; è così attraente la pace, mi chiedo perché si cerchi la guerra e perché ogni tanto l’elemento oscuro e violento che è nel fondo dell’animo di alcuni emerga a ricordarci che siamo l’unico essere che lavora per la propria autodistruzione.

Credo anche che di fronte a tanta indifferenza ci siano molte persone che, in silenzio e senza clamore, lavorino per il bene di tutti e facciano andare verso il miglioramento della vita che non significa possedere di più in termini di “avere” ma nel senso di “essere”.

Solo in questo caso, forse, ogni uomo riconoscendosi parte di un mondo ormai interconnesso si sentirà responsabile nell’ambito del suo punto di connessione e sentendo di valere per ciò che può fare diventi utile e attivo nei confronti della comunità tutta.

Gabriella Colistra

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