Nel terzo secolo Alessandria d’Egitto è il centro più attivo della filosofia cristiana.
Come abbiamo visto in diversi articoli, Alessandria nel periodo tardo antico è stata tra i più importanti crocevia culturali dell’impero romano e centro propulsore dell’elaborazione della civiltà ellenistica.
L’esegesi allegorica dell’Antico Testamento di Filone l’Ebreo, ricca di elementi neoplatonici e stoici, ebbe un’importanza fondamentale nello sviluppo dei pensatori cristiani alessandrini. Come c’erano state importanti scuole filosofiche pagane, verso il 190 era stata fondata una vera e propria scuola cristiana ad opera di Panteno, il quale prima di convertirsi era stato un filosofo stoico. Panteno non scrisse nulla, ma ebbe un’importanza fondamentale nella formazione culturale e spirituale di Clemente di Alessandria, che divenne un insegnante di spicco della scuola. Tra le sue opere più importanti abbiamo l’Esortazione ai Greci, il Pedagogus e gli Stromata (titolo che significa “orditure”, miscellanea). L’Esortazione, come suggerisce lo stesso titolo, è rivolta ai pagani per invitarli alla conversione al cristianesimo, nel nome di Cristo, Logos e Verità. Il Pedagogus è un trattato di morale pratica che fornisce una serie di indicazioni pratiche ed esempi per imparare ad improntare la propria condotta seguendo i principi etici del Vangelo.
Gli Stromata sono un’opera di contenuto filosofico ed hanno come scopo principale quello di dimostrare che la filosofia di per sé stessa è una cosa buona, voluta da Dio.
Perché Clemente ha bisogno di dimostrare l’utilità e la validità della filosofia per un buon cristiano?
C’è un motivo ben preciso che ricorrerà più volte nella successiva storia del cristianesimo: la comunità cristiana di Alessandria era composta da poche persone colte e molte persone semplici, prive di cultura. I «Cristiani semplici» (secondo l’espressione dello studioso Étienne Gilson) erano convinti che il messaggio di Gesù non avesse alcun bisogno di un’elaborazione culturale e rimproveravano Clemente di perdere inutilmente il suo tempo a filosofare. Non solo la filosofia era un’attività oziosa ed inutile, essa era addirittura nociva e fuorviava dalla vera fede, come il proliferare di numerose sette gnostiche dimostrava in modo lampante.
Ma Clemente non ci sta: l’intelligenza è un dono di Dio, per cui il suo uso non può essere condannato, né condannabile.
C’era però un’ulteriore obiezione forte da superare: anche ammesso che la filosofia sia una cosa buona voluta da Dio, dopo la rivelazione definitiva con la venuta di Gesù, essa è stata completamente soppiantata dalla fede. Al cristiano basta la fede.
Ma allora nessun intellettuale dovrebbe essere cristiano, la fede va solo creduta e non bisogna cercare di capire?
Clemente non è affatto di questo avviso e sviluppa un importante ragionamento: come il Nuovo Testamento non ha abolito bensì completato l’Antico Testamento, così la religione rivelata ha completato la religione naturale professata dai filosofi greci. C’è una stretta continuità nella storia della salvezza tra i greci, gli ebrei e i cristiani: i greci hanno sviluppato la ragione, gli ebrei la legge ed i cristiani la fede. I filosofi in Grecia hanno svolto lo stesso ruolo dei profeti per Israele.
Clemente sviluppa un’interessante metafora:
la storia della conoscenza umana assomiglia al corso di due fiumi, la Legge ebraica e la filosofia greca, alla cui confluenza fiorisce il Cristianesimo come una fonte nuova che trascina nel suo corso le acque che vengono ad ingrossarla da più lontano.
E’ notorio il detto (La Scolastica?): ” Philosophia ancilla Theologiae “.
Grazie, prof. Cheloni, e saluti da un vecchio ammiratore,
Michele DI GIUSEPPE.