Cerco l’uomo!

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Si narra che il filosofo Diogene di Sinope, vissuto nel VI secolo a.C., appartenente ad una scuola che si ispirava alla filosofia socratica, girasse per le vie della città con una lanterna in mano e a chi gli chiedeva il perché di tale agire rispondesse: cerco l’uomo!

Non so se Diogene abbia avuto successo ma certo non è semplice definire cosa sia l’uomo, anche perché la filosofia che ne ha date tante definizioni non è arrivata a definirlo con quel carattere universale a cui essa aspira. Tutto ciò anche perché in ogni momento storico si delinea un’immagine dell’uomo che viene spesso messa in discussione da una voce di dissenso, come avvenne all’inizio dell’età moderna.

Nel periodo dell’Umanesimo, si esaltò la dignità dell’uomo, si rivendicò la sua centralità e si celebrò l’homo faber fortunae suae, l’uomo protagonista e artefice del proprio destino. L’uomo era considerato microcosmo che contiene in sé tutto l’universo, un universo diventato infinito che apriva, quindi, prospettive illimitate.

Pico della Mirandola, filosofo vissuto in quel tempo scrisse Orazione sulla dignità dell’uomo, in cui leggiamo che all’uomo è data la grande libertà di essere ciò che vuole essere:

<< Nell’uomo nascente il Padre ripose semi di ogni specie e germi di ogni vita. E secondo che ciascuno li avrà coltivati, quelli cresceranno e daranno i loro frutti. E se saranno vegetali, sarà pianta; se sensibili, sarà bestia; se razionali, diventerà animale celeste; se intellettuali, sarà angelo e figlio di Dio>>.

Nello stesso periodo, il filosofo francese Michel de Montaigne scrisse Essais (Saggi) in cui si pone la domanda che cosa sia l’uomo. Nel rispondere, contrappone alla superiorità dell’uomo una visione pessimistica, di fragilità e miseria. L’uomo è la più fragile delle creature, e scrive: << Essa si sente e si vede collocata qui, in mezzo al fango e allo sterco del mondo, attaccata e inchiodata alla peggiore alla più morta e putrida parte dell’universo, […] e con la immaginazione va ponendosi al di sopra del cerchio della luna, e mettendosi il cielo sotto i piedi >>.

Ancora più tardi, nel Seicento, secolo della rivoluzione scientifica, Blaise Pascal, genio matematico e fisico, << misantropo sublime >> per Voltaire, nei Pensieri scrisse molto dell’uomo di cui mostrò grandezza e miseria, come già aveva fatto Montaigne anche se da prospettive diverse.

In tempi più recenti, nel Novecento, Sartre definì l’uomo una << passione inutile >>, Heidegger lo definì << Esser-ci >> perché così designò la modalità ontologica propria dell’uomo che è sempre in una situazione. Poi, c’è l’uomo che ripone ogni fiducia nell’economia, c’è l’uomo – macchina di Cartesio, l’uomo con una fiducia sconfinata nella scienza.

Anche in questi casi ci sono state voci discordanti, spesso non ascoltate. Si potrebbe continuare ma credo che sia chiaro che nel suo essere individuo manifesti differenze, opinioni diverse ma anche modi di agire con conseguenze diverse.

Sto leggendo un bel libro di Mark Honigsbaum, Pandemie, in cui traccia la storia delle pandemie del Novecento, ognuna delle quali è descritta con cura e con dovizia di particolari che aiutano a comprendere i giorni difficili che anche noi, oggi, stiamo vivendo. Credo che il senso del libro sia tutto nella frase di Albert Camus che viene riportato all’inizio:

<< I flagelli, invero, sono una cosa comune, ma si crede difficilmente ai flagelli quando ti piombano sulla testa. Nel mondo ci sono state, in egual numero, pestilenze e guerre; e tuttavia pestilenze e guerre colgono gli uomini sempre impreparati >>.

La tesi che l’autore del libro sostiene, è che tanti mali che giungono all’uomo sono prodotti dall’uomo stesso che nel corso dei secoli ha sfruttato la natura in modo inadeguato, producendo squilibri ecologici o modificando ambienti in cui risiedono agenti patogeni che si son dovuti spostare per trovare un altro habitat entrando così in contatto con l’uomo che viene infettato. Spesso la comunità scientifica viene colta di sorpresa e la politica non si mostra all’altezza della situazione.

Dietro tutto questo c’è l’uomo, sia che esso sia uno sfruttatore della natura, uno scienziato in difficoltà, un politico incapace.

Da molti anni ecologisti e studiosi hanno denunciato la presenza di veleni nell’aria, della plastica nei mari, gli incendi nelle foreste e lo scioglimento dei ghiacciai, fenomeni che hanno influenze negative sul clima del pianeta. Spesso inascoltati, sono stati messi a tacere da coloro che sfruttando e violentando la natura hanno realizzato grandi profitti.

Anche noi abbiamo contribuito perché ciò avvenisse, con la richiesta di beni e servizi, di eccessive comodità; abbiamo riempito la nostra casa di tante cose inutili, sprechiamo e non ricicliamo che poche cose, dovremmo pensare al futuro del pianeta che significa pensare alla nostra salute. Dovremmo capirlo noi uomini e donne che popoliamo la Terra.

Diogene di Sinope, trascurato nel vestire, possedeva solo un mantello per coprirsi ed una bisaccia in cui riponeva le sue poche cose; viveva in una botte, per il sua vita randagia fu chiamato cinico, da kunos che in greco significa cane.

Si racconta che un giorno, vedendo un ragazzo che beveva tenendo l’acqua nell’incavo delle mani, gettò via la sua ciotola ringraziando il ragazzo per la lezione di semplicità che gli aveva dato. Faceva tutto ciò per raggiungere l’autosufficienza e liberarsi dai beni esteriori, superflui.

Naturalmente sconsiglio di fare come lui. Penso che dovremmo imparare ad utilizzare le conquiste scientifiche e tecnologiche che ci consentono di vivere meglio senza rincorrere il superfluo inutile e dannoso; teniamoci la nostra casa e le belle cose che amiamo ma cerchiamo di vivere rispettando ed amando la natura che in fondo è la nostra grande casa.

Tra Diogene e uno sprecone ci sono infinite gradazioni, cerchiamo di trovare un posto giusto per noi.

    Gabriella Colistra

Fiabe, favole ed altri racconti

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