“a tu per tu con…” Arianna Di Romano e la sua fotografia

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Arianna Di Romano nasce in Sardegna e vive a Gangi, borgo medievale della Sicilia situato a 1.000 metri sul livello del mare, in una casa dell’Ottocento, da lei egregiamente recuperata alla vita.

Da questa base affettiva, come si legge sul suo sito, Arianna si muove in tutto il mondo alla ricerca di storie da raccontare, volti da ritrarre, sguardi da catturare, paesaggi da vivere, scene di vita di tutti i giorni.

Cambogia, Vietnam, Thailandia, Laos, Malaysia, Giappone, Serbia, Bosnia, Polonia, Romania e tanti altri paesi.

Definita dai media la “Dorothea Lange della fotografia, da me la campionessa della fotografia sociale, Arianna vive il suo lavoro come un’esperienza prima di tutto spirituale, un racconto da anima a anima.

Il suo stile assolutamente inconfondibile esprime drammaticità, intensità, sensibilità, amore.

Appassionata della vita e delle esperienze, Arianna si interessa di restauro, è pilota di aereo e coltiva la passione per le erbe e gli aromi…

Fiore – Come nasce la tua passione per la fotografia e come si è caratterizzata la tua formazione?

Di Romano – Ho sempre amato raccontare attraverso le immagini e già da bambina uno dei miei passatempi preferiti era curiosare tra le vecchie foto di famiglia. Mio padre m’incoraggiava a fotografare utilizzando la sua fotocamera analogica russa e chiedendomi di fermare il tempo su ciò che colpiva maggiormente la mia attenzione. Ho frequentato vari corsi di fotografia ma, quando ragiono troppo in termini tecnici, perdo la mia spontaneità e i miei scatti più belli.

Ho imparato a farmi guidare dal cuore e dall’emozione, non mi tradiscono mai!

Fiore – Quando decidi di fotografare una situazione o una persona quanto conta per te l’improvvisazione o lo studio dell’immagine?

Di Romano – Il mio sguardo è veloce e allenato, i miei occhi si posano su ciò che amo senza alcuna esitazione. Accade sempre, anche quando non ho con me la fotocamera. Per questo motivo non ho quasi mai il tempo di pensare troppo o di studiare la composizione.

Osservo una scena che mi colpisce e in quel preciso istante nasce uno scatto, testimonianza del mio vivo interesse per quella particolare circostanza.

Fiore – Come intuisci che qualcuno vuole essere fotografato?

Di Romano –  Non ho mai immortalato qualcuno per il suo interesse di essere raccontato. Fotografo solo persone che colpiscono la mia attenzione e che inizialmente non si accorgono della mia presenza e poi, al momento dello scatto, capita che i soggetti si accorgano di me e mi guardino. È così che nasce lo scatto perfetto.

Fiore – Prima di scattare chiedi sempre il permesso?

Di Romano – Ho rubato centinaia di sguardi in giro per il mondo e la stragrande maggioranza dei soggetti ritratti non sa neppure di essere stato fotografato.

Fiore – Post produci le tue fotografie? E se sì, quali interventi fai?

Di Romano – I miei scatti nascono a colori, tuttavia, per la mia scelta stilistica vengono post prodotti in bianconero. Utilizzo forti contrasti che hanno a che fare con i contrasti sociali che incontro, maggiore è la marginalità che percepisce il mio sguardo, più intenso sarà il contrasto applicato. Ritengo inoltre che in alcuni casi il colore distragga: voglio che il mio messaggio arrivi dritto all’osservatore senza troppe distrazioni; ecco perché il modo migliore, a mio avviso, per il mio tipo di lavoro fotografico e per i temi trattati è proprio il Bianconero.

Fiore – Quali i temi sociali e culturali a cui vorresti dedicare un reportage, ma non hai ancora potuto fare?

Di Romano – Ho il forte desiderio di raccontare la condizione della donna in alcuni paesi del mondo. Il mio prossimo viaggio vedrà protagonista il Kirghizistan per raccontare, attraverso una raccolta di fotogrammi, il dramma delle donne Kirghise. Si tratta di una pratica largamente diffusa in quella zona, il ratto delle spose, meglio conosciuto come Ala Kachuu, che significa acchiappa e corri.

Fiore – E i luoghi?

Di Romano – Amo immortalare gli scorci che riescono ad emozionarmi, quelli capaci di svelare l’anima, la più vera e intima essenza. Ho vissuto per un lungo periodo nel cuore della Transilvania e ho apprezzato molto la sua autenticità. Si respira il profumo di un’epoca che ha ben poco della nostra contemporaneità. Ci tornerò per immergermi ancora nei suoi ritmi lenti e continuare a narrare.

Fiore – L’occhio del fotografo può essere considerato una sorta di terzo occhio? Nel senso che la fotografia, quando è arte e non semplice immagine, contiene in sé la peculiarità di catturare aspetti dell’emotività umana e sociale altrimenti non decifrabili o percepibili?

Di Romano – Solitamente ricerco la fragilità negli sguardi, nei miei scatti c’è molta introspezione, ricerco costantemente me nell’altro. Devo emozionarmi per riuscire ad essere attratta dalle persone che incontro, questo accade al primo sguardo. Riconosco immediatamente le persone o i luoghi e non riesco ad affrancarli prima di aver lasciato una traccia tangibile del nostro incontro.

Fiore – Quali sono i tuoi riferimenti in campo fotografico, ci sono degli autori a cui ti ispiri particolarmente? Quanto ha influito, e se sì, su di te la fotografa americana  Dorothea Lange in cui oggi vieni identificata? 

Di Romano – Ho sempre fotografato seguendo il mio istinto e sono onorata del fatto che i miei lavori siano stati paragonati a quelli della grande Dorothea Lange. Sinceramente non conoscevo i suoi lavori quando ho iniziato a fotografare. C’è anche un altro grande della fotografia di cui si è parlato guardando i miei lavori sui rom, Josef Koudelka, che adesso amo profondamente, ma che all’epoca dei miei primi scatti sconoscevo.

Fiore – Quanto la fotografia può essere “denuncia” e quindi salvaguardia dell’umano e della luce che è nell’uomo?

Di Romano – La mia è sempre stata una fotografia sociale e di denuncia. Mi piace evidenziare quella delicata umanità di cui si parla poco, o di cui non si parla affatto. Sono sempre stata attratta dai cosiddetti “ultimi”, la loro purezza mi parla di autenticità, caratteristica peculiare che apprezzo di più al mondo. È un messaggio di cui mi sono fatta portavoce, la mia vera missione.

Fiore – Quando fotografi uno sguardo perché lo fai?

Di Romano – Un articolo di Luisa Santinello per il Messaggero di Sant’Antonio inizia proprio così: Di Romano, “ladra” di sguardi. È proprio attraverso lo sguardo che si riesce a portar fuori l’anima, la sua forza, la sua profondità, ritengo sia capace di raccontare tutto ciò che mille parole non riuscirebbero a spiegare.

Fiore – Come immagini la tua fotografia nel futuro?

Di Romano – Immagino centinaia di occhi e di vite, testimonianze di un passaggio terreno. Persone semplici ma di grande dignità che non si sono mai conosciute né incontrate. È straordinario pensare che io abbia reso eterni i loro sguardi, collegando le loro esistenze ad un denominatore comune: Il mio sguardo.

Fiore – La fotografia con gli smartphone: molti la criticano, altri sostengono che ciò che conta la buona idea che si riesce a rappresentare. Cosa ne pensi?

Di Romano – La tecnologia costituisce sicuramente un valido aiuto, non c’è dubbio. Credo comunque che l’occhio umano rimanga lo strumento più importante che consente di osservare e di cogliere il momento migliore, indipendentemente dal mezzo utilizzato. Si tratti della fotocamera più evoluta o dello smartphone di ultima generazione, temo che un problema risieda invece nella quantità di immagini prodotte e nella facilità con la quale le stesse vengano sostituite per essere poi dimenticate.

Fiore – In questo periodo di guerra sei mai stata sfiorata dall’idea di recarti in Ucraina per un reportage?

Di Romano – Più e più volte ho pensato di recarmi in Ucraina per un reportage e non l’ho fatto solo ed esclusivamente perché la mia famiglia si è opposta in maniera molto forte. Penso che in futuro eviterò di informarli sulle mie intenzioni!

Fiore – Un libro o un film sulla fotografia che ti ha particolarmente colpito e che consiglieresti ai lettori di ScrepMagazine?

Di Romano – Il mio libro di riferimento è la Camera chiara di Roland Barthes, una risposta a qualsiasi domanda sulla fotografia. Sono poi profondamente legata ad un libro fotografico di Marianne Sin-Pfältzer, dal titolo: “Sardegna paesaggi umani”.

C’è anche un film che ho visto più e più volte in passato, Fur – Un ritratto immaginario di Diane Arbus.

Fiore – Dal 20 febbraio al 12 giugno dello scorso anno presso la Palazzina Marfisa d’Este di Ferrara si è tenuta  la tua mostra monografica Oltre lo sguardo scaturita da una idea di Vittorio Sgarbi. Ne vuoi parlare ai nostri lettori?

Di Romano – Oltre lo sguardo” è la mostra ideata, voluta e organizzata da Vittorio Sgarbi all’interno della prestigiosa Palazzina Marfisa d’Este. Amo Ferrara e l’organizzazione di questa mostra con la Fondazione Ferrara Arte ha messo in luce tutta la loro grande professionalità. È stata straordinaria, di altissimo livello nel suo insieme e nei singoli dettagli. Sono state scelte sessanta immagini tra le più rappresentative dei miei reportage ed è stato realizzato anche il libro dal medesimo titolo. È stato un vero successo e ne sono fiera.

Fiore – Il tuo fotografare, quindi, è un continuo scavare nell’umanità dimenticata e abbandonata?

Di Romano – Non riesco ad immaginare dei lavori fotografici che non trattino temi legati all’umanità. Parlo di quell’umanità che vive ai margini, che non ha voce, o la cui voce è così flebile da non riuscire ad essere ascoltata. Ebbene, il mio più grande desiderio è di rappresentarli, di evidenziarne le difficoltà e di metterne in luce la bellezza.

Fiore – In Malesia ti hanno denominata “ladra di anime”. Perché?

Di Romano – In alcuni paesi si pensa che uno scatto possa rubare l’anima, per questo le persone scappano via per non farsi immortalare. Il motivo è spesso legato all’espressione religiosa meglio definita con il nome di animismo. Nel mio caso, sempre a caccia di sguardi, non è stato facile. È la ragione per cui, in un villaggio della Malesia, sono stata soprannominata “ladra di anime”!

Fiore – Del tuo racconto fotografico Al di là del muro cosa mi dici?

Di Romano – Sono stata a stretto contatto con i rom nei campi di Carbonia, in Sardegna, poi in Serbia e in Bosnia, per raccontare la loro quotidianità e per cercare di abbattere molti pregiudizi nei loro confronti. Sono nate delle splendide amicizie e si è instaurato un rapporto di reciproca fiducia e rispetto. È stata un’esperienza meravigliosa, arricchente.

Sono fiera di aver ricevuto attenzioni e tempo da parte loro: ho imparato molto.

Fiore – E ora uno sguardo alla mostra “Universi Silenziosi”, curata da Gabriele Accornero e inaugurata al Monte dei Pegni di Santa Rosalia, Palazzo Branciforte di Palermo, sabato 19 marzo scorso…

Di Romano – Un’altra splendida esperienza è nata a Palermo con il curatore Gabriele Accornero e la Fondazione Sicilia negli antichi spazi densi di storia del Monte dei Pegni di Santa Rosalia. All’interno di questi ambienti in passato le persone si recavano per lasciare i propri beni e riuscire a sopravvivere in momenti difficili o per partire in cerca di un futuro migliore.

I miei ottanta scatti di grandi dimensioni, in questo luogo così importante per ciò che ha rappresentato per la città, si sposavano perfettamente con la location. I soggetti delle mie immagini sembravano così vicini a quel mondo da rendere l’atmosfera quasi sospesa nel tempo e nello spazio. Un impatto visivo forte e di grandissimo effetto.

Fiore – Ultimissima domanda… nel nostro mondo attraversato da guerre, morti nei mari, povertà, miseria e malattie varie c’è qualcosa di positivo, c’è ancora un pizzico di speranza?

Di Romano – Lo spero. Nutro da sempre molta fiducia nel mio prossimo. Ai miei occhi e al mio cuore piace pensare che ci debba essere quella speranza per il presente e per il futuro, alimentata da tutto ciò che ognuno di noi può fare di buono e positivo. Anche nella ricerca di quello sguardo così vicino, ma spesso così lontano, per coloro che guardano ma non vogliono “vedere”.

Questa speranza diventa fatto concreto ogni giorno ed è il mio piccolo contributo alla causa.

Fiore – Nelle tue mostre viaggiano i respiri del sorriso e l’armonia della luce che illuminano gli occhi e i volti fotografati, rifugio di segreti e di gocce di rugiada  di un infinito senza tempo. Le tue foto sono carezze di un alito di vento che non tradisce il desiderio di una foglia stanca. Sono insenature di un mare nel calice della luce dei volti, dove le onde avvertono il loro respiro nello sciabordio degli anfratti dei propri cuori e negli interminabili scrosci di emozioni, ritrovo di speranza e di dolcezza.

Questo, gentile Arianna, il mio grazie per il tempo dedicatomi…e tanto, tanto buon futuro…

Di Romano – Grazie infinite, caro Vincenzo, e buona luce…

“a tu per tu con…” Arianna Di Romano e la sua fotografia

… a cura di Vincenzo Fiore

Clicca il link qui sotto per leggere il mio articolo precedente:

“a tu per tu con…” Nancy Calabrò e la sua poesia

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Vincenzo Fiore
Sono Vincenzo Fiore, nato a Mariotto, borgo in provincia di Bari, il 10 dicembre 1948. Vivo tra Roma, dove risiedo, e Mariotto. Sposato con un figlio. Ho conseguito la maturità classica presso il liceo classico di Molfetta, mi sono laureato in Lettere Moderne presso l’Università di Bari con una tesi sullo scrittore peruviano, Carlos Castaneda. Dal 1982 sono iscritto all’Ordine dei Giornalisti, elenco Pubblicisti. Amo la Politica che mi ha visto fortemente e attivamente impegnato anche con incarichi nazionali, amo organizzare eventi, presentazioni di libri, estemporanee di pittura. Mi appassiona l’agricoltura e il mondo contadino. Amo stare tra la gente e con la gente, mi piace interpretare la realtà nelle sue profondità più nascoste. Amo definirmi uno degli ultimi romantici, che guarda “oltre” per cercare l’infinito e ricamare la speranza sulla tela del vivere, in quell’intreccio di passioni, profumi, gioie, dolori e ricordi che formano il tempo della vita. Nel novembre 2017 ho dato alle stampe la mia prima raccolta di pensieri, “inchiostro d’anima”; ho scritto alcune prefazioni e note critiche per libri di poesie. Sono socio di Accademia e scrivo per SCREPMagazine.

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