Un vero nano sulle spalle dei Giganti

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Un vero nano sulle spalle dei Giganti

C’è un retroterra culturale che, a tutt’oggi, fa sentire il suo peso improprio persino negli ambienti in cui si lavora per la gestione della Cosa pubblica. Bossi che attacca Brunetta («Nano di Venezia non rompere “i cabasisi”», nel lessico più erudito di un Camilleri), Grillo e il suo “psiconano”, Travaglio e il “nano” condito in mille salse sono gli esempi più eclatanti, fermandomi al registro cronachistico degli improperi mediatici, senza indulgere a faziosità politiche, perché in tutto ciò c’è scoramento e non schieramento! Una domanda sorge spontanea a questo punto: c’è bisogno di basse argomentazioni per alzare il livello persuasivo della propria comunicazione? Eppure i Classici ci insegnano che lo scadimento delle conversazioni offendono l’intelligenza delle interrogazioni: pertanto, finiamola con le battutacce a sproposito e ad ogni piè sospinto! Nel frattempo, dovremmo dare una scorsa alla storia, che a ragione è nostra magistra vitae.

Braccio di Bartolo, per tutti “Il Nano Morgante”, fu il più celebre e popolare dei nani di corte di Cosimo I de’ Medici, vissuto a Firenze nella seconda metà del XVI secolo.

Proprio di lui parleremo in questa liberissima dissertazione: seguitemi, allora!

È vero che in molte corti europee era consuetudine farsi circondare da omuncoli, tra le altre cose, papabili alle migliori credenziali da giullari: molti di loro, comunque, venivano ritratti nelle opere ufficiali, come se fossero le migliori curiosità da esporre agli occhi più ricercati dei più fini ammiratori. Tra gli artisti che li hanno raffigurati meritano di essere ricordati Andrea Mantegna (nella Camera degli Sposi a Mantova), Antoon van Dyck, Diego Velázquez e Pieter Paul Rubens.

Morgante, soprannominato ironicamente come il gigante dell’omonimo poema di Luigi Pulci, era il più osannato tra i cinque nani della corte medicea a Palazzo Pitti: pensate che, per compiacere Cosimo I, fu immortalato da uno dei maggiori artisti del momento.

«Ritrasse poi Bronzino, al duca Cosimo, Morgante nano, ignudo, tutto intero, et in due modi, cioè da un lato del quadro il dinanzi e dall’altro il didietro, con quella stravaganza di membra mostruose che ha quel nano: la qual pittura in quel genere è bella e meravigliosa»,  «…il Duca, il quale ha fatto fare al medesimo di marmo la statua di Morgante nano, ignuda, la quale è tanto bella e così simile al vero riuscita, che forse non è mai stato veduto altro mostro così ben fatto, né condotto con tanta diligenza simile al naturale…». (Vasari, Vita del Bronzino).

La tela in questione effigia un “uccellatore”, cioè un cacciatore di uccelli: il minutissimo ma corposo protagonista del complesso pittorico è ritratto rispettivamente di fronte e da tergo in due momenti successivi dell’azione. Davanti lo si vede prima della battuta venatoria, mentre tiene al laccio una civetta, usata come esca per attirare una ghiandaia che vola in aria.

Due farfalle podalirio, precorrendo la moda sanremese di Belen, per chi ancora se lo dovesse ricordare, gli coprono i genitali. Dietro viene mostrato nell’atto di voltarsi verso lo spettatore, fiero di mostrare la preda.

Agnolo Bronzino,

Doppio ritratto del Nano Morgante (fronte)

Agnolo Bronzino,

 Doppio ritratto del Nano Morgante (retro)

Un altro singolare profilo di Morgante venne fuso nel bronzo dal Giambologna in una piccola fontana (già nel giardino pensile al di sopra della Loggia dei Lanzi che oggi è collocata al Bargello): anche qui è nudo ed è seduto su una chiocciola.

Nano Morgante del Giambologna

Ma l’opera più famosa che lo possa riguardare è la Fontana del Bacchino del Giardino di Boboli, dove lo scultore Valerio Cioli lo eternizzò, già più avanti negli anni, in tutta la sua strabordante corposità nudo e a cavallo di una testuggine (1560).

La Fontana del Bacchino,

 nel giardino di Boboli a Firenze

Avviandomi ad una conclusione, non c’è, in tutto questo (mi si consenta, sic!), un’offesa ad personam: l’elevazione di gusto sottrae al pregiudizio ogni sostanza di male.

E noi, alla luce di cotanta raffinatezza, per il bene della nostra Società, siamo capaci di ricorrere al Bello, per evitare cadute di stile e concorrere al meglio di tutti!?

Francesco Polopoli

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Francesco Polopoli
Sono laureato in Lettere classiche, docente di lingua e letteratura latina e greca presso il Liceo Classico di Lamezia Terme (CZ), membro del Centro Internazionale di Studi Gioachimiti. Divulgo saggi a tema come, a solo titolo di esempio, Echi lucreziani e gioachimiti nella Primavera di Botticelli, SGF 2017, ... Ho partecipato a convegni di italianistica, in qualità di relatore, sia in Europa (es. Budapest) che in Italia (es. Cattolica di Milano). Attualmente risiedo a Lamezia Terme e da saggista amo prendermi cura dell’antico come futuro sempre possibile di buona memoria. Il mio parere sul blog? Un vascello post-catulliano ove ritrovarsi da curiosi internauti: al timone del vascello ci stanno gli autori, passeggeri sono i tanti lettori a prova di click…

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