Un dialogo

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In uno dei miei spostamenti settimanali non mi sento leggera come al solito, il cielo è nuvoloso, c’è vento e gli alberi, lungo il percorso, sono battuti dal vento; davanti agli occhi ho case distrutte, gente in fuga, bombe sulle città. Troppi telegiornali, penso, ma fra qualche minuto apparirà il mare, quel mare capace di rasserenarmi.

Invece no, il mare è mosso e come in questo tratto si presenta, non onde alte o lunghe ma onde piccole, frequenti, riccioli di schiuma bianca saltellanti sul blu dell’acqua.

Penso alla felicità, sentimento che non si presenta troppo frequentemente in questo periodo e mi torna in mente la domanda che si poneva Socrate: i malvagi sono felici?

Arrivata a destinazione, cerco il Gorgia, dialogo di Platone in cui si trova proprio la domanda di Socrate.

In molti dei suoi scritti, Platone usa il dialogo, la forma di conversazione che consente di esporre punti di vista diversi.

Gorgia, che dà il titolo al dialogo, era un filosofo sofista contemporaneo di Socrate; Platone immagina un dialogo tra Socrate e alcuni sofisti. I sofisti, soprattutto Gorgia, avevano sostenuto l’importanza del discorso volto a persuadere l’interlocutore, per Platone, invece, il dialogo deve condurre alla verità.

Socrate è spesso protagonista del dialogo platonico e attraverso la confutazione delle tesi dell’avversario mostra i limiti, l’ignoranza di questi e fa nascere la tensione verso la verità.

Nel Gorgia, il tema fondamentale è l’opposizione tra la filosofia e retorica. Alla filosofia che usa il metodo dialettico, si unisce la scelta, sul piano morale, della giustizia. La retorica, invece, appare debole sia sul piano morale che su quello teoretico.

Per tale motivo, secondo Platone, la retorica non esprime una concezione della vita che tenda al miglioramento dell’uomo, ma esprime una tensione verso la ricchezza materiale, il prestigio esteriore, il potere.

Nel corso del dialogo, Socrate discute con Polo, allievo di Gorgia. Le loro posizioni sono antitetiche: Polo sostiene che la felicità risieda nell’esercizio indiscriminato dell’arbitrio, Socrate gli oppone la convinzione che è meglio subire l’ingiustizia piuttosto che commetterla; il violento e il tiranno non sono felici perché la felicità consiste nella giustizia e in un’armonia interiore che il violento non possiede.

<< Secondo me sì, Polo. L’uomo e la donna veramente belli e buoni, dico, sono felici; l’uomo ingiusto e malvagio è infelice >>.

Platone, Gorgia

Bellezza e bontà di cui parla Platone non sono, naturalmente, doti esteriori ma interiori, frutto di una corretta educazione morale che si adegua perfettamente alla natura dell’uomo che trova la sua realizzazione nell’equilibrio e nella armonia dell’anima.

Sono d’accordo con questo pensiero espresso da Socrate perché penso che non si possa essere felici se non siamo interiormente sereni. Non credo che la felicità sia uno stato perenne, siamo felici in certi momenti della nostra vita, ma se il nostro animo è turbato, volto a cercare l’impossibile, ad inseguire beni materiali, potere, gloria, proverà una felicità illusoria, transeunte non definitiva, e se la vita ne potrà trarre qualche vantaggio, non felicità, verrà il momento in cui lasceremo tutto e forse in quel momento comprenderemo quanto vano sia stato il nostro affannoso esistere.

I malvagi, quindi, non sono felici.

Il dialogo platonico prosegue, i toni si fanno più accesi, Socrate non parla più con Polo ma con Callicle, un politico democratico la cui casa ospita i filosofi, con cui dialoga sui modi di vivere.

Anche in questo caso i due sono contrapposti: Callicle loda la vita volta al piacere, è convinto che gli uomini più coraggiosi e capaci sono quelli che riescono a vivere liberi e a realizzare i propri desideri, inoltre pensa che l’origine dei valori morali siano determinati dai più deboli per difendersi dalla libertà dei più forti.

Socrate non è d’accordo, pensa che la vita dedita al piacere porti alla morte spirituale e che fine della vita non sia il soddisfacimento del piacere ma la temperanza e il controllo dei desideri, fino all’ascesi.

Su questo aspetto sono parzialmente d’accordo, diversamente da Platone non penso che il corpo debba essere mortificato e i desideri spenti o controllati. Penso che ogni individuo possa trovare un giusto equilibrio tra i piaceri del corpo e il soddisfacimento di esigenze spirituali.

Come sempre, penso che in un giusto mezzo si trovi la giusta posizione, inoltre credo che ogni età della nostra vita abbia i suoi momenti. C’è il tempo dei sogni, delle passioni, degli amori sconfinati, dei dolori infiniti, del ripiegamento su sé stessi, della felicità.

Una vita felice è anche quella in cui si affaccia il dolore perché esso fa parte della vita e va accettato, come ogni altra cosa. Ma, agire, fare, creare qualcosa che valga, amare il mondo con tutti i suoi problemi, criticare, prendere posizione, questo è vivere.

E una vita buona, regolata da giuste leggi e piena di colori e felicità auguro, in un futuro non troppo lontano, ai disperati di oggi offesi dall’infelice malvagio di turno.

Gabriella Colistra

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