“Roma 8 novembre 1926” di Francesca Rita Bartoletta

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Antonio Gramsci… L’eroe del pensiero umano.  

Sono le ore 21 dell’8 Novembre 1926, quando finiscono i lavori a Montecitorio, è stata una  giornata difficile, dura ,dal clima incerto e minaccioso. Antonio, esausto e con animo angosciato, si trascina faticosamente verso casa, non è difficile prevedere l’infausto. Egli sentiva la minaccia ormai vicina e inevitabile, come qualsiasi evento certo che, l’uomo accoglie senza stupore, perché attento e vigile su ogni minimo mutamento che manifesta l’ovvio. Mussolini scioglie le camere dei deputati, ed estromette i comunisti ritenendoli dei fuori legge. Esilio per alcuni e carcere per altri , quelli ritenuti più pericolosi , quelli che con il loro pensiero di giustizia sociale avrebbero potuto influenzare le masse e   minare la tenuta del  regime fascista. Gramsci era fra questi. Piero Gobetti giovane liberale, che ha lavorato con lui nella testata giornalistica “Ordine Nuovo”, dirà di lui, in sintesi riporto:

< Antonio Gramsci ha la testa di un rivoluzionario, il suo cervello soverchia il corpo. Il capo che domina sulle sue membra malate, sembra costruito da una grande forza utopistica e redentrice, che egli porta avanti con rude serietà>.

Se Gramsci prenderà la parola a Montecitorio, vedremo probabilmente i deputati fascisti, raccolti e silenziosi, a udire la voce sottile ed esile e nello sforzo di ascoltare proveranno una emozione nuova di pensiero. Succederà davvero, quando a distanza di un anno Gramsci, prese la parola in aula, durante il suo ultimo discorso…racconta così alla moglie:

< Poiché ho la voce bassa, si sono riuniti attorno a me per ascoltarmi e mi hanno lasciato dire quello che volevo, interrompendomi continuamente solo per deviare il filo del discorso, ma senza volontà di sabotaggio>. Ma la persecuzione fascista, non aveva dimenticato l’uomo che Mussolini definì: < quel sardo gobbo, professore di economia e filosofia, un cervello indubbiamente potente>. Nonostante l’immunità parlamentare, la sua condanna fu pesante e severa. Condannato a vent’anni di prigionia, anni in cui il suo corpo remissivo, contrariamente alla sua volontà determinata dalla sua complessa   forma di pensiero che si opponeva con le uniche armi che possedeva: le ideologie, e l’amore per la sua famiglia. Fu trascinato da un carcere all’altro , un doloroso pellegrinaggio, dove  Antonio viene a conoscenza delle  sofferenze fisiche e morali. Sono poco più delle 22, quando Antonio rincasa e dopo mezz’ora riesce di nuovo, con le manette ai polsi e non vi  farà più ritorno. Sono giorni, anni  da reinventare ,quelli della lunga prigionia di Antonio Gramsci, durata 11 anni, dove la paura e il tormento dell’ignoto ,si alternava al senso  responsabilità verso la sua famiglia, che troppo presto, era stato costretto a lasciare. Dopo il trauma iniziale dovuto all’arresto, comprensibile stato d’animo dopotutto, poichè nei ricordi di Antonio, pesava ancora e con dolore, la morte di Giacomo Matteotti, ucciso il 10 giugno del 1924 da una banda di squadristi. Chiedersi, quale sarebbe stata la sua fine era del tutto legittimo. Ma al giovane Sardo, il destino aveva riserbato altro, era troppo stimato per pensare alla sua eliminazione , poiché anche gli avversari politici , riconoscevano la sua grandezza politica . Meglio optare per una lenta agonia, pensarono i suoi aguzzini, magari fisica  psicologica e morale, le sue estreme fragilità fisiche avrebbero facilitato  la fine del “ Gobbo”. E così avvenne. Non ricevendo adeguate cure alle sue patologie pregresse all’arresto, viene abbandonato al lento spegnimento, fra sofferenze e patimenti disumani. Gramsci muore nel 1937 per emorragia celebrale, così dice il referto medico. Gli anni di prigionia non passarono invano per Antonio, e quasi per esorcizzare la sventura del giorno, piombata nella sua vita, continuò la sua attività di politico e di studioso. Scrive 32 quaderni di studi filosofici e politici, definiti una delle opere più alte e acute del secolo, note come i “Quaderni del carcere”, il quale rappresentano ancora oggi la “Coscienza dell’uomo”. Nonostante gli studi Antonio non rinuncia al ruolo di figlio, di fratello, di marito, di padre e di amico, egli si rende presente nella vita dei suoi cari malgrado la sua assenza. Ad intervalli di tempi scrive lettere lunghissime dal carcere, soprattutto alla madre il quale con dolce premura, la informa sulle sue condizioni di  salute, e le chiede scusa, per il dolore e la pena  che ha causato in lei il suo arresto,    tuttavia le rammenta ,  che le sue scelte, politiche , il suo stile di vita , non appartengono ad un futile capriccio di gioventù, ma bensì a fervide convinzioni che  mai avrebbe rinnegato, per evitare il carcere. A volte è inevitabile dare dolore a chi si ama, se si vuole conservare l’onore e la dignità di uomini. Si lascia andare ai ricordi infantili legati alla Sardegna, mentre scrive lettere accorate a sua madre, sente la mancanza di un tenero abbraccio e mai come in quegli anni sente la mancanza dei piatti tipici della sua terra, assapora e  sogna ad occhi aperti il suo ritorno in famiglia accolto da un succulente pranzo…..< kulurzones e perdulas e zippulas ( raviolidi formaggio), e pippias de zuccuru( dolci tipici sardi); e figu sigada ( dolci a forma di bambola). Credi  che a Delio piaceranno, chiede alla madre, come se quello che ha appena scritto era cosa possibile.

Le lettere a figli sono anch’esse amorevoli e colmi di nostalgie a causa della   breve durata di conoscenza che il tempo ha lasciato loro a disposizione. Delio era piccolo al momento dell’arresto, Giuliano il secondo figlio, non lo hai mai conosciuto.

< Caro Giuliano- consiglia al secondogenito- non prendertela e scrivi sempre quello che pensi, anche se affrettato; poi ci ripenserai meglio, correggerai i tuoi errori e rafforzerai i tuoi giudizi…Caro, – aggiunge, – io ti conosco solo per le tue lettere e le notizie che mi mandano di te i grandi…>

Di loro vuole sapere tutto, anche i dettagli, per poter immaginare la loro crescita, così come le loro attitudini e l’aspetto caratteriale. Li segue nell’educazione, e nell’apprendimento scolastico, si tiene informato sulle materie che preferiscono studiare e sottilmente cerca di carpire se anche loro come lui amano la storia, ma soprattutto se sono interessati alla condizione umana e al destino degli oppressi.

L’amore per Julca Schucht

Antonio, conobbe Giulia durante la sua permanenza a Mosca, inviato dal partito come delegato del PCI, presso il comitato esecutivo dell’Internazionale. La sua salute cagionevole, obbliga Antonio ad un improvviso ricovero in una casa di cura, che lo costringe a prolungare la sua permanenza a Mosca. Il periodo di convalescenza, il riposo e la pausa dalle pratiche politiche, conferiscono ad Antonio la predisposizione di accogliere nel suo animo nuove sensazioni. L’aspetto fisico di Antonio Gramsci, per niente bello, le sue caratteristiche fisiche lasciavano perplessi, minuto e fragile, basso di  statura e ricurvo per via della gobba, così per il suo carattere, timido, voce flebile e insicuro di sé. Al contrario Giulia, è bella, alta, aristocratica, dall’aspetto romantico, che d’estate vestiva di bianco e verde d’invero. Quando suonava con il suo violino incantava tutti, come accadde al concerto di capodanno a Mosca nel 1918.  Gramsci ne rimase conquistato. La passione che Antonio sente per Giulia è molto forte e anche lei fin da subito, ricambia incondizionatamente il suo amore e il suo affetto. Un amore che durerà fino alla fine dei suoi giorni. Lo stupore del giovane politico, consapevole di quello che realmente era, per quanto riguarda la sfera esteriore, è grande, tanto da indurlo a confessare a Giulia in una missiva, durante il loro idillio che:

< La mia vita, è stata sempre una pianura arida, una steppa, dove ho trovato il coraggio di dirle che le voglio bene?>…e ancora, quando per forze maggiori nel 1924 furono costretti ad una lunga separazione, Antonio le scrive: “Cara, tu devi venire. Ho bisogno di te. Non posso stare senza di te. Tu sei una parte di me stesso e sento che non posso stare lontano da me stesso. Sono come sospeso in aria, come lontano dalla realtà. Penso sempre, con un rimpianto infinito, al tempo che abbiamo trascorso insieme, in tanta intimità, in una così dolce espansione di noi stessi “.

Nel convincimento che ciò che a lui era accaduto ed  era possibile, si sposano e Giulia diviene la madre dei suoi figli, la confidente , l’amante appassionata, a cui lui si rivolge con tenerezza e stima. Tante sono le lettere che Antonio Gramsci scrisse a Giulia, palesando  la sua preoccupazione per i giorni futuri, bui e incerti, che entrambi dovevano sopportare, e fronteggiare. E nell’angoscia della solitudine, i ricordi del passato affiorano spontanei come i fiori nei  campi  delle  verdi primavere e nutrono l’anima , che si espande e dilaga  sul cuore stretto in una morsa, e di lei ricorderà sempre la prima volta che la vide.

<<Non osavo entrare nella tua stanza perché mi avevi intimidito…il giorno che sei partita a piedi e io ti ho accompagnato fino alla grande strada attraverso la foresta e sono rimasto tanto tempo fermo, per vederti allontanare tutta sola, col tuo carico da viandante, per la grande strada, verso il mondo grande e terribile. Ho molto pensato a te, che sei entrata nella mia vita e mi hai dato l’amore e mi hai dato ciò che mi era sempre mancato e mi faceva spesso torbido e cattivo. Ricordi quando sei ripartita dal bosco d’argento? Ti ho accompagnata fino all’orlo della strada maestra e sono rimasto a lungo a vederti allontanare, così ti vedevo sempre mentre ti allontanavi a passi brevi, col violino in una mano e nell’altra la tua borsa di viaggio, così pittoresca. E con quell’immagine di lei viandante, Antonio Gramsci ha lasciato questo mondo, vittima di una prigionia spietata.

A noi lascia come eredità, i suoi scritti, il suo pensiero politico, la sua umanità e il coraggio di essere uomo.

Francesca Rita Bartoletta

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