Quante storie!

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Fin dai tempi più antichi, gli uomini si sono interrogati sul senso del loro esistere. Si sono chiesti se la vita sia determinata dal caso o dalla necessità, se il tempo, la storia proceda per cause contingenti o segua un percorso determinato fornito di un fine ultimo.

Molti filosofi hanno impegnato la loro riflessione su questi temi fornendo risposte diverse, a volte simili con diverse sfumature.

Fino all’Ottocento, hanno tenuto il campo, soprattutto, i cosiddetti “filosofi della storia” che hanno cercato di rispondere alle domande sul senso della storia. Essi il senso lo trovano nel fine ultimo che la storia persegue, sarà il trionfo di una religione, la realizzazione dello sviluppo dello spirito come nella filosofia hegeliana, sarà la realizzazione di un governo particolare come avvenne in Francia dopo la rivoluzione quando si passò dalla monarchia alla repubblica. Insomma, loro credono che un fil rouge colleghi gli avvenimenti tra loro e che tra un fatto e l’altro ci siano legami di causa – effetto.

Nel Novecento, gli storici cercano di tenere lontana dalla storia l’invadenza della filosofia in quanto ritengono che la filosofia tenda a dare spiegazione dei fatti con il ricorso ad una visione, un disegno del mondo rispondente ad una ragione che tenta di piegarli alla propria idea, impedendo così di dare agli eventi il giusto valore che solo lo storico può attribuire loro.

Un critico della filosofia della storia è Karl Popper (1902 – 1994), filosofo di origine ebraica nato a Vienna, trasferitosi nel 1937 in Nuova Zelanda e nel 1946, finita la guerra, in Inghilterra dove insegnò presso la London School of Economics. Le sue opere hanno avuto grande diffusione e sono state tradotte in venti lingue.

Nel 1944, scrisse Miseria dello storicismo, un’opera che prende di mira lo storicismo, come lui chiama le filosofie della storia, concezioni che pretendono di aver colto la legge che guida lo sviluppo della storia umana.

<< Per storicismo intendo una interpretazione del metodo delle scienze sociali che aspiri alla previsione storica mediante la scoperta dei <<ritmi>> o dei << patterns>>, delle <<leggi>>, delle <<tendenze>> che sottostanno all’evoluzione storica>>.

La critica di Popper coinvolge molti filosofi, da Platone ad Hegel a Marx, per ricordare i filosofi più noti i quali sarebbero caduti nell’essenzialismo e nell’olismo.

L’essenzialismo consiste nella tendenza a dare definizioni che rimandano ad una realtà essenziale; l’olismo, invece, consiste nel considerare gli insiemi sociali (gruppi, classi) come formanti un tutto non riconducibile alle parti di cui è composto.

Le sue critiche, però, riguardano anche il modo di spiegazione della storia che guarda solo all’universale e a ciò che immutato si ripete, non considera invece le tendenze particolari. E’ come se lo storicista aspettasse un evento che risponda alla previsione, come se dovesse verificarsi l’inevitabile, per Popper una resa ai fatti.

La concezione della storia di Popper risente l’eco dei suoi principali interessi che sono di tipo scientifico. Nella scienza, egli è contro il metodo induttivo che sostiene che sommando particolare a particolare si giunga ad una verità universale. Popper, al contrario, ritiene che la scienza debba avere un carattere critico e il suo sapere debba poter essere sottoposto a controlli e al tentativo di falsificazione. Egli pensa che se anche uno solo dei tanti particolari fosse falso, anche l’universale lo sarebbe.

Così nella storia, una serie di eventi che si aggiungono ad altri non riescono a delineare un percorso unitario, sono solo avvenimenti che l’uomo lega tra loro con uno scopo, per abitudine, per caso, ma la storia non dice nulla, è l’uomo che le dà voce.

Gli storicisti, infatti, isolano fatti che ritengono rilevanti, per un interesse, per un punto di vista particolare e danno interpretazioni storiche che non possono avere valore di scienza. Secondo il filosofo, lo storicista non vede la differenza tra “l’interpretazione” di un fatto che è sempre relativa e la “spiegazione” che è oggettiva.

L’interpretazione porta spesso ad un sistema politico assoluto, totalitario, perché tale interpretazione contiene in sé i difetti in cui è facile cadere e di cui dicevo prima, l’olismo e l’essenzialismo. Il difetto maggiore che Popper trova nei totalitarismi è il fatto che essi, in nome del progetto finale che intendono realizzare, non riescono a cogliere i piccoli ma significativi progressi che una società potrebbe compiere.

Popper, quindi, crede che la storia non abbia un senso se non quello che le diamo noi, per lui sarebbe più opportuno fermarsi ai particolari e individuali fatti e alle loro immediate conseguenze.

Non condivido del tutto la teoria di Popper, tuttavia la ritengo importante perché ha posto un problema, ha gettato un sasso nello stagno e sono nati tanti cerchi che si sono allargati e hanno prodotto tante altre riflessioni sulla storia.

Condivido, invece, la sua idea che la democrazia sia la forma migliore di governo perché capace di essere espressione della volontà popolare e della distribuzione del potere.

Anche la democrazia può avere i suoi momenti difficili quando, per esempio, non conta più il programma politico ma la persona che si propone. Questo porta alla personalizzazione della politica che è caratterizzata da una figura leader capace di mobilitare molti elettori e introdurre innovazioni. Questa non è necessariamente una degenerazione della democrazia, è però un’evoluzione in direzione di una situazione che potrebbe portare, attraverso scelte particolari, allo svuotamento delle istituzioni di garanzia.

Bisogna ricordare che diritti e libertà potrebbero non essere per sempre, soprattutto quando ci si affida a leaders che non sanno che la democrazia si basa su un sistema di pesi e contrappesi.

In ogni caso la democrazia rimane la forma migliore di governo e si manterrà tale finché rimarrà la possibilità di revocare ai politici la fiducia erroneamente loro accordata.

   Gabriella Colistra

Clicca sul link qui sotto per leggere il mio articolo precedente:

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