Nomadi digitali…

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Qualcuno ancora lo chiama lavoro agile ma l’inglese “SmartWork” fa più “fashion”.

A mio avviso la cosa davvero importante è che non lo si chiami telelavoro perché non si tratta di lavorare da casa e basta, ma di una vera e propria rivoluzione nella organizzazione delle aziende con un impatto non trascurabile sul ripopolamento dei piccoli centri!

In media dando la possibilità di lavorare un paio di giorni da casa, l’aumento della produttività è almeno del 20%. In alcuni casi, e penso in particolare agli help desk, l’aumento della produttività arriva al 40%”, afferma il Prof. Mariano Corso, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio sullo SmartWorking del Politecnico di Milano.

E di conseguenza, a parte che l’azienda può permettersi uffici più piccoli, affitti più bassi, bollette della luce e del riscaldamento meno onerose… il dipendente a casa è più produttivo perché più tranquillo e motivato.

Altro indicatore importante viene dalle assenze per malattia.

I telelavoratori chiedono mediamente 5 giorni e mezzo di permesso in meno per malattia rispetto ai loro colleghi in ufficio.

Lo smart-working non è quindi un modo per lavorare meno.

Lo dice anche un autorevole centro studi tedesco, l’IFO parlando proprio di noi italiani con una ricerca condotta proprio in Italia.

E a guardare il boom che lo SmartWork ha registrato in questi mesi e le tante piattaforme per conference call, interazioni, lezioni a distanza, videoconferenze, anche con 200 partecipanti, ecc… il telelavoro diventerà qualcosa di molto diverso, più flessibile e soprattutto una leva per favorire lo sviluppo locale specie in realtà piccole…come evidenziano i dati dell’Osservatorio Mercato Immobiliare Italiano (OMI) prodotto dall’Agenzia del Territorio.

Gli smart-workers, poiché in grado di organizzarsi meglio, dichiarano infatti di preferire questa modalità di lavoro poiché permette loro di vivere in posti più belli, magari al mare, in campagna, piccole città tranquille e lontane dal traffico, dagli autobus, dai parcheggi selvaggi…

Ma come mettere in dubbio l’eccezionale “opportunità” di lavorare comodamente in t-shirt dal terrazzo vista mare/bosco di casa?

Una opportunità davvero reale ed irrinunciabile per migliorare l’intera qualità della vita (anche se ancora con tante implicazioni e comunque) DA NON PERDERE per ripopolare i borghi del Sud…dove in quanto a panorami e aria pulita…

Insomma, un nuovo paradigma tutto da inventare ma colossi come Facebook sembrano non preoccuparsene avendo annunciato che entro cinque anni la metà dei dipendenti potrà lavorare da remoto con retribuzioni parametrate al costo della vita e alla fiscalità del luogo in cui vivono.

«Una rivoluzione, che ha implicazioni legali, fiscali e contributive enormi», commentano gli avvocati esperti di diritto internazionale. «Gli attuali strumenti legislativi non sono stati pensati per casi simili. E soprattutto, non ci sono precedenti sui quali potersi appoggiare nel caso di un contenzioso».

E poi… dove un lavoratore versa i contributi previdenziali?

La regola generale è che, se lavori nel Paese di residenza per una parte rilevante del tuo tempo, i contributi li devi versare in quel Paese (e al momento della pensione si richiede la totalizzazione dei periodi di contribuzione).

Ma se uno smart worker si trasferisce dagli USA piuttosto che dalla Inghilterra in Basilicata (e non è un esempio ma è successo davvero – vedi foto), dal punto di vista contributivo alla fine quale sarà la sua residenza?

E dove pagherà le tasse?

La norma dice che se trascorri oltre 183 giorni l’anno in un Paese, fiscalmente la tua residenza è quella. Questo comporterà quindi che il lavoratore dovrà pagare le tasse nel posto in cui fa smart working anche se non c’è alcuna sede dell’azienda?

Magari scegliendo – perché no – il Paese che ha il costo della vita più basso e la fiscalità più vantaggiosa (già la fiscalità…)?

E se l’azienda ha una grossa fetta dei propri dipendenti in un dato Paese, seppure in smart working, è giusto che continui a pagare le sue tasse solo nel Paese in cui ha la sua sede fisica?

O il fisco dovrà cominciare anche a tenere in considerazione le “sedi smart” diffuse?

E infine con quali contratti saranno inquadrati i lavoratori?

Se l’azienda ha – per esempio – sede in Olanda o Lussemburgo, il contratto di lavoro non sarà italiano, quindi con regole e tutele differenti.

E nel caso di un licenziamento?

Quali leggi si applicheranno?

Si può chiedere che il processo si tenga in Italia applicando le tutele italiane, che sono più forti di tanti altri Paesi europei?

Beh come evidente la tematica è davvero ampia ma la tendenza non cambia e sarà davvero opportuno potenziare le reti informatiche, il www ed in parallelo recuperare l’immenso il patrimonio edilizio residenziale dei piccoli centri perché potrà essere enorme l’afflusso di lavoratori smart…sì anche nei piccoli centri del Sud, dalla Basilicata alla Sicilia…

L’esempio da seguire? L’Estonia da tempo aperta ai così detti “nomadi digitali”

Nella piccola e iper-tecnologica Estonia, come misura di contrasto alla crisi Covid, ha messo a punto un “visto speciale per i nomadi digitali”, una sorta di passaporto che punta ad attirare lavoratori da remoto, contrattualizzati da aziende che hanno sedi in altri Paesi, soprattutto al di fuori dell’Europa.

Il visto consente di rimanere in Estonia per 12 mesi ed offre la possibilità di viaggiare fino a 90 giorni nella zona Schengen europea.

Uno strumento agile per garantire ai nomadi digitali di poter lavorare legalmente da remoto nei Paesi che visitano, anche senza un visto di lavoro e, soprattutto un modo per l’Estonia di diventare attrattiva per giovani e meno giovani lavoratori altamente qualificati e con capacità di spesa medio-alte.

Se a questo si unisce anche una fiscalità di vantaggio per le stesse aziende, il gioco è fatto.

Quella stessa fiscalità che ha spinto tante realtà per esempio italiane fra cui Stellantis, a stabilire la propria sede legale in Olanda ed a pagare in quel Paese le tasse sui guadagni realizzati vendendo le auto prodotte in Italia in stabilimenti sostenuti anche con incentivi dello Stato Italiano.

Stellantis è nata dalla fusione tra i gruppi PSA e Fiat Chrysler Automobiles. La società ha infatti sede legale ad Amsterdam, sede operativa a Lijnden e controlla quattordici marchi automobilistici: Abarth, Alfa Romeo, Chrysler, Citroën, Dodge, DS Automobiles, FIAT, Jeep, Lancia, Maserati, Opel, Peugeot, Ram Trucks e Vauxhall.

Il gruppo ha siti produttivi, di proprietà o in joint venture, in ventinove Paesi situati tra Europa, America, Africa e Asia…ma sta lentamente smantellando il sito produttivo di Melfi! VERGOGNA!

E che si fa?

Quando succederà che un bel gruppo dei tanti giovani Sindaci dei piccoli centri del Sud – magari coi fondi del PNRR – metteranno a posto i piccoli e graziosi appartamenti nei loro Centri Storici sempre più svuotati con gerani, ferro battuto, pietra a faccia vista, pannelli solari, ecoenergia, infissi in legno… e wifi, tanta tanta tecnologia… per lavoratori in smart work su terrazze con viste mozzafiato, aria pulita ma pulita davvero e un panino alla nduija piuttosto che “col pezzente”?

Accademia Edizioni ed Eventi e ScrepMagazine da ben 3 anni lavorano proprio in questo modo… Covid o non Covid!

Chiunque scrive su ScrepMagazine infatti lo fa da casa e si interfaccia con i colleghi tramite gli strumenti del web.

Siamo NOMADI DIGITALI già da MOLTO MOLTO TEMPO…e quando occorre ci ritroviamo in “giro per l’Italia”…e allora che aspetti…diventa anche tu uno SCREPPOMANE!!!

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