Poesia

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Tra le mie letture preferite sono, senza dubbio, i libri di saggistica varia e romanzi, soprattutto. Ogni tanto, però, quando la pagina scritta diventa pesante, o i pensieri si fanno più scuri e si affollano nella mente, cerco una via di fuga negli infiniti spazi che la poesia offre al lettore.

Non sono poeta e non è mia consuetudine commentare poesie non essendo una esperta ma mi piace interpretarle a modo mio, sentire quello che mi dicono al cuore o alla ragione, a seconda dei casi.

Credo che non sia un caso, però, che in queste situazioni mi ritrovi in mano il Canzoniere di un poeta sempre da me molto apprezzato: Umberto Saba (1883 – 1957).

Mi piace questo autore perché nei suoi scritti leggo la vita, molte volte la sua vita, simile e con tratti comuni a quella di molti altri uomini.

Oggi mi soffermo su questa poesia dedicata alla rosa  e presa da Mediterranee (1947):

<<Cauta i tuoi gambi ella mondava. Mesta

a me sorrise ed al mio primo dono.

Due mani l’aggiustavano al suo seno.

Andai lontano, disertai quel seno.

Errai come agli umani è sorte errare.

Mi sopraffece la vita; la vita

vinsi, in parte; il mio cuore meno.

Ancora

canta a me l’usignolo ed una rosa

tra le spine è fiorita.

Si legge, nelle prime righe, di un amore giovanile vissuto con delicatezza e sentimento. Bello da immaginare il gesto amorevole di chi dona un fiore alla persona amata e, mondato da ogni spina, lo pone sul seno di questa.

L’amore giovanile è una fiamma che non dura, si spegne, arriva il momento in cui nasce il desiderio di qualcos’altro che spinge a partire, ad andare lontano, molte volte con l’idea di ritornare per essere ancora più felici, ma spesso non è così.

Così successe a tanti uomini che all’inizio del secolo passato, andarono oltre oceano a cercare una vita diversa, migliore; la trovarono, forse, ma lasciarono in patria il resto della famiglia che si spezzò perché chi partì si sentì troppo solo e chi restò si stancò di aspettare. Non so quale sia stato il bilancio di quelle storie, credo, però, che accanto a momenti felici ci sia stato anche ricordo, rimpianto, solitudine.

Continuano a sognare l’altrove tanti giovani, oggi, con minori problemi di ieri ma forse con i ricordi di una felicità trascorsa che non è facile rivivere.

L’altrove è attraente, ha un fascino particolare, fa dimenticare le promesse, ci abbraccia e ci fa suo. Non ci fa pensare a chi aspetta e che forse tra le pagine di un libro ha conservato una rosa senza spine.

Errai come agli umani è sorte errare” è il verso per me più bello forse perché lo leggo in modo ambivalente: errare vuol significare, in questo contesto, viaggiare o sbagliare?

Entrambi i significati mi affascinano, il primo, viaggiare.

Viaggiare è una delle cose più belle che si possa fare, porta a conoscere nuovi posti, nuove usanze, lascia ricordi di situazioni e incontri che non si dimenticano. Anche senza uscire di casa si viaggia: con la fantasia che ci trasporta dappertutto; parlando con altri che ci portano il loro mondo; leggendo un libro che ci trasporta là dove la storia ci trascina.

Il nostro è un viaggiare soprattutto per il piacere di farlo, il viaggiare di Saba avrà avuto un senso diverso, negli anni in cui visse, e per la vita che ebbe.

E’ un viaggio anche quello dei disperati che a piedi o per mare cercano di raggiungere l’Europa, solo chi non conosce la storia può pensare che siano efficaci muri per fermare il sogno o bisogno di fuggire dalle loro terre. Ci vorrebbero cuori grandi e braccia tanto lunghe per stringerli in un abbraccio rassicurante e far capire loro che la democrazia e la libertà salvano e non costruiscono muri.

Nella poesia di Saba, il tema del viaggio, che troviamo in molte liriche, è metafora della vita e lo è anche per noi quando vogliamo guardare le cose da un punto di vista che definirei filosofico.

Il secondo significato, errare come sbagliare.

Errai”, chi di noi non ha commesso errori nella sua vita? Errori contro sé stesso decidendo di restare o partire, non sapendo se fare o non fare, non riuscendo a dire o non dire. Quante volte pensiamo di non aver fatto la scelta più giusta guidati, in quel momento, dall’illusione di conseguire un migliore risultato.

Servono gli errori, un proverbio dice <<sbagliando s’impara >> e tanti errori fanno capire cosa si è sbagliato, danno una consapevolezza nuova e inducono a non … perseverare.

Molti errori si dimenticano ma alcuni, forse, restano nell’inconscio a rendere amaro e rancoroso il trascorrere dei giorni, a dare quel sordo rimpianto che non passa.

Mi sopraffece la vita”, scrive il poeta, ma aggiunge che molte volte vinse le avversità della vita. E’ così per tutti, ognuno di noi ha una vita diversa ma molte cose in comune con quella di tanti altri. Ci sopraffà ogni volta che ci fa correre di qua e di là, casa, famiglia, lavoro, orari da rispettare, pratiche da sbrigare, desiderio di quell’errare che ci farebbe partire.

Poi arrivano le ore dolci della sera, arriva il momento delle fate e dei maghi delle favole raccontate ai più piccoli, senti i loro occhi spalancati nel buio, tenuti aperti per sapere come andrà a finire la storia, e la vita diventa bella, hai con te il futuro, vuoi che cresca bene e ogni affanno si spegne.

Non sarà così calda e rassicurante la sera nelle tendopoli sparse per la Terra, nelle baracche di fortuna innalzate per creare un piccolo ricovero. Forse uomini e donne in quelle notti non racconteranno favole e davanti agli occhi dei bambini compariranno fantasmi neri che turberanno il loro breve sonno e renderanno triste la loro vita.

La vita ci sopraffà anche con il dolore quando pensiamo alle persone care, agli amici che non ci sono più, alle malattie che giungono inaspettate e danno il senso della fragilità umana.

L’amore no, non sopraffà. L’amore, se è tale dà solo felicità, che sia per un altro, che sia per gli altri, ha sempre un bel colore. E’ passione, sogno per il futuro, apertura al mondo, condivisione e sempre ha con sé il rispetto e il desiderio del bene dell’altro.

Il sentimento che offende, che umilia, che colpisce e uccide non è amore.

La fine della poesia lascia una speranza: tra le spine nasce una rosa. Questa immagine forse cela “la serena disperazione” di cui parla il poeta e forse anche quella è in ognuno di noi, almeno di quelli avanti negli anni, consapevoli che la vita non è la favola bella che sognammo ma una realtà, che anche se è felice, ha le sue spine.

Eppure, la rosa è nata, l’usignolo canta ancora ed io quello oggi voglio sentire, mentre il futuro si fa incerto, arrivano i primi freddi che portano voglia di camino e di quel libro che lasciai a metà e che voglio finire.

Gabriella Colistra

Per leggere il mio articolo precedente…clicca sul link qui sotto:

3 COMMENTS

  1. ” Da un colle “. ( Il Canzoniere, Ed. Einaudi):

    Era d’ottobre; l’ora mattutina
    di pace empiva di dolcezza il cuore.
    (…).
    Per Umberto SABA come per ognuno di noi, d’Adam fratelli, fragili e quindi, purtroppo, soggetti ad errar e, non sempre, ad imparar neppur dai nostri errori.

    Delle squille veniva a me il richiamo.
    (…)
    d’un pino al tronco m’appressai beato,
    ne svelsi, come a festa, un verde ramo,
    e, sospirando, dissi un nome ai vènti.

    Non sempre un richiamo è, per noi, come fu quello di Trieste per il SABA; anzi, spesso, stacchiamo rami, rompiamo umani rapporti, per spargerli ai quattro vènti, a volte senza alcuno sospiro di pentimento.

    Ah quante volte andiam lontano anche da noi stessi e disertiam il caldo color della vita, senza tanto oscuro ermetismo e con umano lirismo ci cantò il SABA nel suo Canzoniere.

    Anche noi siam nati, gentilissima professoressa Gabriella COLISTRA, con tante spine come le rose e, non sempre, si ha neppur la voglia d’ascoltar usignoli cantare, forse, per altri, ma non per tutti.
    Il SABA rappresenta davvero “la superstite esigenza della poesia”, e grazie a Lei – Prof. – che ci ha richiamato a leggere/ascoltare/vedere “con gli occhi del cuore”, come qualcuno ha detto, non sol il colore caldo della Trieste del Poeta, ma anche la storia d’ogni uomo a noi prossimo o che ci viene da lontano, fratello d’una stessa umanità.

  2. Gentile dr. Michele,
    La ringrazio per le sue belle parole che condivido in pieno e che rivelano la sua capacità di avvicinarsi alla poesia con una straordinaria sensibilità.
    La saluto cordialmente, Gabriella Colistra

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