Onora il padre e la madre

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Sono parecchie settimane che in tv si discute del caso “Benno”, il giovane bodybuilder di Bolzano dopo due mesi ha confessato di avere uccisi i suoi genitori. “Dopo avere ucciso papà, ho sentito mamma rientrare in casa. Allora ho strangolato anche lei, senza nemmeno salutarla”. Io sono rimasto impressionato dal fatto che questi poveri genitori abbiano amato, nutrito, cresciuto proprio colui il quale gli avrebbe dato la morte. Quanti parricidi ci sono stati nel corso dei secoli, tantissimi ed emblematico è quello di Cesare pugnalato da Bruto e che lascia alla storia la frase “quoque tu, Brute, fili mi.” È ovvio che un così efferato gesto porta alla totale condanna di chi lo ha compiuto ma, lungi da me voler giustificare l’assassinio, prima di condannare in toto, vorrei spendere due parole non a difesa né a giustificazione del giovane, ma solo per comprendere il gesto estremo di Benno. I nostri genitori, nella nostra fase di crescita rappresentano per noi la divinità, la forza, e il loro starci vicino ci dà sicurezza, orientandoci nelle scelte, e per noi sono persone infallibili, a cui non è riconosciuto il minimo errore. Loro possono fare di noi quello che vogliono, un famoso psicologo a tale proposito disse : “datemi un bambino da 0 a 6 anni e io ne farò quello che voglio”. L’onnipotenza attribuita ai genitori man mano che si cresce, tende ad annebbiarsi, e in genere nella gioventù si vive un rapporto conflittuale con gli stessi proprio perchè si delinea una figura piu umana ed anche contraddittoria dei nostri “dei”. I fallimenti e le incertezze della gioventù sono terreno fertile per piantare nell’animo di un ragazzo i semi della denigrazione, che se non supportato da un’adeguato spirito critico molto probabilmente lo farà cadere nell’esasperazione . Il ripetere spesso frasi come: “non servi niente, non realizzerai mai niente nella tua vita”, faranno nascere nel ragazzo l’odio verso la figura genitoriale che persevera in questo stillicidio di frasi denigranti. Il caso di Benno e l’odio che nasce dall’esasperazione, mi ha rimandato ad una poesia che ho studiato al liceo. Si tratta di Il ritorno al paese di Jaques Prevert. Quando la si legge, si ha un senso di oppressione e il finale, se qualcuno di voi ha avuto a che fare con gente come lo zio del protagonista, è liberatorio. Nella poesia si descrive di un nipote che torna al proprio paese, ma è triste per tutto ciò, anziché rallegrarlo lo rattrista…

“e di colpo gli torna in mente – che qualcuno gli ha detto da bambino” finirai sulla forca. E in tanti anni- Non ha avuto il coraggio di far niente… Si ricorda…lo zio Grecillard. “

Così decide di andare a trovare lo zio entrando lo saluta” buongiorno zio ” e poi gli tira il collo, e finisce sulla forca.”

 

Forse lo zio se l’è cercato, forse il nipote doveva portare a compimento il suo destino, forse nessuno ha aiutato il nipote a sbiadire l’immagine dello zio che lo denigrava, sì tanti forse ; i giudici però devono sanzionare l’atto e non perdersi in tante elucubrazioni mentali che sono riservate a noi.

Rodolfo Bagnato

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