Nel corso del Novecento, anche per le tragedie che lo hanno attraversato, la filosofia riprende ad occuparsi di un problema che spesso si ripresenta nel corso della sua storia. E’ il problema etico, rivolto non tanto a definire cosa sia il bene o il male ma teso a definire i fondamenti e i fini dell’agire umano; è il problema che l’antica filosofia chiamava pratico (da practicos). Questa esigenza nasce anche dal fatto che molti filosofi nel corso del secolo hanno rivendicato a gran voce la libertà umana, il suo diritto di scegliere, di progettare.
La riflessione più importante è quella di Hannah Arendt, ebrea tedesca sfuggita alla deportazione perché riuscì a rifugiarsi negli Stati Uniti. In un testo famoso, La banalità del male, aveva espresso il concetto che il gerarca nazista che veniva giudicato aveva commesso, a suo parere, la colpa più grave, quella di rifiutarsi di coabitare la Terra; in altre parole, con lo sterminio aveva mostrato il rifiuto di coabitare sul pianeta con gli ebrei e con tutti i popoli di razza diversa. Conclude la sua riflessione scrivendo:<< …quasi che tu e i tuoi superiori aveste il diritto di stabilire chi deve e chi non deve abitare la Terra. Noi riteniamo che nessuno, cioè nessun essere umano desideri coabitare con te. Per questo, e solo per questo, tu devi essere impiccato >>
Il problema dell’abitare e del coesistere degli uomini sulla Terra è ripreso con accenti diversi dal filosofo tedesco Karl-Otto Apel (1922 – 2017).
L’agire dell’uomo, per Apel, si basa su principi universali fondanti che erano presenti anche nel momento in cui l’uomo negava il totalitarismo o quando rivalutava la forza del l’intuizione contro la razionalità scientifica. In quei contesti, però, l’uomo era abbandonato a sé stesso, gettato nel mondo, per usare un’espressione cara all’esistenzialismo.
Per Apel, infatti, la filosofia del suo tempo, anche quella degli epistemologi che hanno introdotto il principio di falsificazione, resta ancorata al razionalismo metafisico, soprattutto appare incapace di liberarsi del Trilemma di Münchausen, cioè delle tre possibili forme di ragionamento usate nel processo di fondazione dei principi.
I ragionamenti, infatti:
- si basano sul regresso all’infinito, quando una dimostrazione richiede un’ulteriore dimostrazione;
- cadono in un circolo vizioso logico, quando l’affermazione e la dimostrazione dipendono una dall’altra;
- 3. poggiano sul dogmatismo, quando si fa ricorso ad un principio indimostrabile.
I ragionamenti di questo tipo sono deboli per cui Apel ritiene che sia necessario rifondare i principi, ritornando all’ a priori kantiano. Un a priori che apre orizzonti di senso non attraverso la ricerca interiore di un singolo ma attraverso la comunicazione agli altri dei principi che trova dentro di sé, del consenso che essi ricevono, dell’argomentazione nella comunicazione e della intesa che si stabilisce grazie al linguaggio.
Perché alla comunicazione tra gli uomini sia attribuito un valore etico, si deve presupporre l’accettazione di principi comuni: un’argomentazione che rifiuti ogni coercizione e la condivisione delle regole del discorso. Naturalmente il linguaggio usato deve essere corretto nel senso che deve adeguarsi alle regole stabilite dalla comunità in cui avviene, l’uso del linguaggio è sempre un’interazione, un compromesso fatto con l’altro. Apel sostiene che nessuno deve essere escluso dalla comunità della comunicazione, una comunità aperta, libera, democratica. Inoltre, una fondazione di questo tipo consente di allontanare dall’etica sia i fattori esterni sia la presunta universalità espressa da un solo individuo.
Fino a qui, è stata solo teoria, come fare perché le teorizzazioni diventino vita pratica? Secondo Apel la soluzione migliore sarebbe che tutti avessero lo stesso linguaggio, cosa che non è. Egli, però, è convinto che le moderne tecnologie possano stabilire comunicazioni anche tra persone che non parlano la stessa lingua, l’elemento necessario e discriminante diventa, allora, la volontà di argomentare.
Questo avviene tra persone diverse perché ognuno ha una storia, valori diversi, abitudini diverse eppure uguali perché nessuno delle parti deve sentirsi superiore all’altro. Sappiamo bene che le cose non stanno così, ma è necessario un ripensamento, bisogna guardare l’interlocutore senza pregiudizi ed avvicinarsi alla parte del mondo con ritardi nello sviluppo che non sempre ha fatto scelte apprezzabili nella costruzione del suo futuro.
Potrebbe essere arrivato il momento, per il bene proprio e per quello degli altri, che gli uomini riconoscessero il valore della democrazia, in ogni parte del mondo. La proposta di Apel sembra un sogno, eppure lui ci crede, crede che sia possibile, anzi necessario creare ponti tra i popoli del mondo, immagina un futuro in cui accanto al libero scambio delle merci, ci sia un libero scambio di argomentazioni che potrebbero chiarire le questioni che tengono in piedi i conflitti.
Con Apel, il discorso e la corretta argomentazione assumono quindi valore etico, di un’etica pluralistica che garantisce tuttavia la realizzazione individuale. Etica della comunicazione ed etica anche della responsabilità che ogni uomo deve assumere nella società. I filosofi nel Novecento hanno molto insistito su questo tema che deriva dal fatto che, in molte parti del mondo, l’uomo è libero, qualcuno ha detto <<condannato ad essere libero>> ma anche se fosse una condanna, non dovremmo rinunciare alla libertà, come invece, purtroppo accade spesso.
Siamo circondati da persone che con un linguaggio approssimativo che non rivela alcun ragionamento cercano di confondere i nostri pensieri per risultare innocenti, non responsabili e convincono della validità della loro tesi coloro che preferiscono non pensare ma farsi guidare e alla fine l’unione fa la forza, nel bene e nel male. Se non abbiamo nessuno su cui riversare le nostre responsabilità, lo facciamo contro chi non può replicare: la frana uccide, ma prima c’è stato il disboscamento; il torrente che straripa e distrugge, ma lo fa perché non è mai stato pulito l’alveo ecc.
Apel è un contemporaneo, riflettendo sulle sue tesi mi son tornati in mente due antichi filosofi, del V secolo a.C., che hanno detto qualcosa di interessante:
<<La parola è una potente signora, che pur dotata di un corpo piccolissimo e invisibile compie le opere più divine: può far cessare il timore, togliere il dolore, produrre la gioia e accrescere la compassione>> Gorgia, Encomio di Elena
<<Misura di tutte le cose è l’uomo: di quelle che sono, perciò che sono, di quelle che non sono per ciò che non sono; intendendo per misura la norma di giudizio, e per cose i fatti in genere>> Protagora, I Presocratici
Gabriella Colistra