Migrazioni

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In ogni tempo gli uomini si sono spostati dai luoghi d’origine spinti soprattutto da bisogni economici e, nel lontano passato, dalla ricerca di luoghi più accoglienti per vivere. Avvenne così nel Medioevo quando i cosiddetti barbari si spinsero verso l’Europa alla ricerca di terre fertili e corsi d’acqua.

L’emigrazione ancora viva nella memoria e nella coscienza degli italiani è quella avvenuta tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento quando, da diverse parti dell’Italia, migliaia di persone abbandonarono le proprie abitudini di vita e spesso le famiglie per cercare condizioni di vita migliori.

Tutte le regioni italiane parteciparono al fenomeno migratorio, ma fu soprattutto il Mezzogiorno a dare il contributo più consistente.

Si notò anche, già da allora, che dalle regioni centro settentrionali si partiva con l’intenzione di tornare e quindi ci si dirigeva verso il Nord Europa. Dal Sud si partiva per il Nord America e la distanza rendeva difficile il pensiero del ritorno in patria.

Il governo di allora, inizialmente, non guardò con favore gli italiani partire, lasciava il paese la parte più giovane, più intraprendente, con evidente danno per tutta la nazione.

Il progetto di Giolitti, presidente del consiglio, muoveva da una visione che poneva in primo piano l’industria settentrionale ed escludeva nei fatti il Mezzogiorno. E’ vero che in quegli anni furono realizzate opere importanti come l’acquedotto pugliese ma Giolitti non ruppe mai il patto con gli agrari che costituivano la base del suo potere al Sud, mentre non mancò, in varie occasioni, di reprimere duramente i lavoratori meridionali.

Dopo pochi anni, però, le rimesse degli emigranti, cioè il denaro che veniva inviato alle famiglie rimaste in Italia, non solo alleviava il bisogno familiare, contribuiva anche a sanare il deficit della bilancia commerciale.

Da quel momento il governo non si oppose più alle partenze mentre le famiglie continuavano a vivere un dramma. A volte partiva tutto il nucleo familiare, più spesso solo l’uomo, il capofamiglia che si sentiva investito del dovere di mantenere gli altri componenti. Da qui separazioni dolorose, sofferenze, solitudini.

Altre migrazioni furono negli anni ’50 – ’60, quando ci fu un massiccio esodo dal Sud Italia al Nord. Questa migrazione interna è segno di un progresso economico italiano, soprattutto settentrionale, per effetto del quale diminuirono molto i viaggi verso l’estero ma anche questa migrazione ebbe pesanti costi umani e sociali.

Il viaggio per spostarsi durava più di ventiquattro ore, in condizioni disagevoli, su treni scomodi e affollati. Molte volte partivano i genitori lasciando i figli ai nonni o ad altri parenti, con sé, nelle valigie di cartone legate con lo spago, tutti i loro poveri averi e i ricordi di una vita.

Soprattutto difficile fu l’inserimento dei meridionali che si trasferirono al Nord, emersero differenze economiche e culturali che solo con il tempo si attenuarono.

Nonostante il “miracolo economico”, non erano quelli anni facili. Nel 1956 a Marcinelle in Belgio, un incendio si era sviluppato in una miniera di carbone provocando la morte di 262 persone tra cui 136 italiani, la maggior parte abruzzesi e calabresi emigrati in cerca di un lavoro per vivere ma per loro l’unico possibile era stato il duro lavoro in miniera.

Oggi, sono i giovani a partire, sempre prevalentemente dal Sud, non hanno più la valigia di cartone, per il 60% sono laureati, hanno trolley griffato, telefonino e auricolare ma dentro un dolore, una lacerazione profonda che non si mostra.

Fa male pensare a quella che viene definita fuga dei cervelli, soprattutto perché sembra che lo Stato non faccia nulla per creare condizioni favorevoli ad arrestare tali partenze.

Gli uomini sono sempre in cammino, alcuni vanno, altri vengono.

E’ da alcuni decenni che nel nostro paese arrivano persone in fuga da guerre o dalla miseria alla ricerca di migliori condizioni di vita.

Al pari dei nostri connazionali, anche loro inviano parte dei loro guadagni ai familiari rimasti in patria; diversamente da un tempo, però, oggi i mezzi di comunicazione consentono agli immigrati di intrattenere rapporti frequenti con le famiglie lontane, ciò consente loro di mantenere la propria identità, elemento rassicurante nel momento dell’incontro con lo straniero ma che rallenta l’inserimento nella nuova comunità.

Le formule che regolano i rapporti con i nuovi arrivati sono prevalentemente di due tipi. L’assimilazionismo o integrazione che mira a far sì che il migrante condivida valori, cultura e stili di vita del paese ospitante. Tale formula è applicata in Francia, è detta anche melting pot (crogiuolo) in cui le culture si fondono e diventano una cosa unica. Il multiculturalismo chiamato salad bowl (insalatiera) in cui gli individui si mescolano mantenendo ognuno la propria identità. Questa formula prevede la concessione di spazi di preghiera o di riunione per gli immigrati.

Le due formule semplificate così sembrano semplici, sono invece frutto di lunghe riflessioni e attente valutazioni poiché contengono ognuna un modello di vita radicalmente diverso dall’altro, ed ognuna di esse ha punti deboli criticabili.

La prima, l’integrazione, sembra imporre un obbligo al migrante che viene considerato come individuo singolo, la comunità, i gruppi di appartenenza sono visti quasi come un ostacolo.

La seconda, il multiculturalismo, può portare ad una rigida separazione tra gli individui e ad un allontanamento da una possibile interazione culturale.

Forse si dovrebbe cercare una mediazione tra le due formule riconoscendo che quello che abbiamo davanti è un uomo, che la sua diversità può essere un arricchimento anche per noi.

Una cosa fondamentale perché lo straniero si inserisca più facilmente nella società è l’apprendimento della lingua quale veicolo di comunicazione e comprensione reciproca.

Inoltre, il migrante è tenuto in una condizione d’inferiorità e marginalità, come se fosse un povero da assistere, se invece gli fosse consentito l’accesso ai diritti di cittadinanza potrebbe essere visto come un lavoratore che ha diritto di contribuire alla propria crescita personale, di maturare diritti, doveri e forme di lealtà verso le istituzioni e la società ospitante.

Le idee camminano con gli uomini e sono capaci di portare lontano, a volte impiegano tanto tempo oppure capita che un sindaco, visionario e sognatore abbia guardato più in là prima di altri, abbia pensato che un modo diverso e migliore di gestire le cose c’è.

Non credo ai complotti, credo piuttosto che gli uomini siano miseri e miserabili, a volte pensano di scrivere la storia con una penna più scura, talvolta ci riescono, a volte lasciano solo una terribile macchia nera.

La ragione, unica luce capace di guidarci nei marosi della vita, ci consente ogni tanto di seguire un sogno, qualcuno pensa che un codice sia tutto, ma già Cicerone disse: <<Summum ius summa iniura>> (il sommo diritto è somma ingiustizia) e ancora Terenzio: <<Ius summum saepe summa est malitia>> (somma giustizia è spesso somma malizia).

Come sempre, gli antichi hanno detto tutto quello che è importante sapere.

Qui mi fermo… nasce urgente il bisogno di filosofia!

  Gabriella Colistra

Clicca sul link qui sotto per leggere il mio articolo precedente:

2 COMMENTS

  1. Sono d’accordo con lei soprattutto n ella parte dove dice che gli uomini sono miseri e miserabili. In tanti anni di migrazione abbiamo subito sulla nostra pelle il dolore di essere ignorati e sottomessi ma non ci è bastato ci ritroviamo oggi ad accanirci sul fratello infliggiendo loro le stesse pene che un tempo ferirono noi.
    Chissà se impareremo mai queste lezioni che ci dà la vita a fin ché potessimo imparare ad essere uomini migliori .

  2. La ringrazio per il suo commento. La storia è spesso dimenticata, ma dobbiamo sperare sempre che le cose cambino e che le lezioni della storia servano.
    La saluto, Gabriella Colistra

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