Michelangelo Merisi detto “il Caravaggio” (parte prima)

112083

MICHELANGELO MERISI detto il CARAVAGGIO (parte prima)
“Canestra di frutta” 1954
Olio su tela 49 x 64 cm
Pinacoteca Ambrosiana, Milano

Michelangelo Merisi, detto Caravaggio, è stato il più grande pittore di tutti i tempi.

Nasce a Caravaggio, un paese in provincia di Bergamo, nel 1571, dove la famiglia si era trasferita per sfuggire alla peste.

Per questo è conosciuto semplicemente come Caravaggio.

Nel 1584, a soli 13 anni, Caravaggio inizia il suo apprendistato dal pittore Simone Peterzano che si concluderà quattro anni dopo.

Lascia definitivamente la Lombardia nel 1592 e si trasferisce a Roma nella bottega del Cavalier d’Arpino, un pittore molto apprezzato nella Roma bene del tempo.

Ma l’apprendistato presso il Cavalier d’Arpino non dura a lungo: i due pittori si scontrano presto a causa del carattere difficile e irrequieto di Caravaggio.

Il 1595 la vita di Caravaggio cambia quando il Cardinale Francesco Maria del Monte ne intuisce per primo il grande talento.

Sotto la sua protezione, Caravaggio ottiene numerose committenze e la sua fama si diffonde rapidamente.

Il Cardinale gli commissiona un gran numero di opere, ma gli fa anche ottenere le prime committenze pubbliche.

Il rapporto di Caravaggio con le committenze pubbliche e con i soggetti sacri si rivela controverso: moltissime opere a tema sacro che gli erano state commissionate vengono poi rifiutate.

Il modo in cui le dipinge affascina i suoi contemporanei, ma la vividezza e la schiettezza con cui lo fa è troppo “umana” per essere accettata come oggetto di devozione e venerazione.

Così accade anche per le prime committenze pubbliche con “La Conversione” e il “Martirio di San Matteo”.

La sua attività artistica è sempre ostacolata dal carattere del pittore. Assiduo frequentatore di taverne e luoghi poco raccomandabili, è spesso al centro di risse.

La sicurezza con cui ostenta un talento non comune e la facilità con cui scivola nella violenza gli procurano non pochi problemi.

Molti sono i suoi nemici, anche tra i colleghi: in molti casi riesce a venirne fuori da episodi e situazioni difficili solo grazie all’intervento dei suoi potenti amici.

Il più grave tra questi episodi è il delitto Tommasoni, che avviene nel 1606 a Roma.

Il pittore, coinvolto in una partita di pallacorda a Campo Marzio, subisce un fallo ad opera della squadra rivale.

Ne scaturisce una rissa, nella quale Caravaggio ferisce mortalmente Ranuccio Tommasoni, con il quale aveva già avuto in passato diverse e violente discussioni.

All’origine della rivalità, oltre forse a debiti di gioco non pagati dal Merisi, c’è anche una donna: Fillide Melandroni.

I due sono rivali anche dal punto di vista politico: Caravaggio è infatti un protetto dell’Ambasciata di Francia, mentre Tommasoni è filo-spagnolo.

Per questo episodio il pittore riceve una condanna capitale: morte per decapitazione.

Una condanna che, addirittura, poteva essere eseguita da chiunque lo riconosca per strada.

Caravaggio ne è talmente ossessionato che, nei suoi quadri, iniziano a comparire teste mozzate o condannati a morte che hanno le sue fattezze.

Fugge immediatamente da Roma.

Tra il 1606 e il 1607 Caravaggio si trasferisce a Napoli.

Tra le tante opere di questo periodo, vale la pena di ricordare il “Davide con la Testa di Golia”, che parleremo in seguito.

Alla fine del 1607 Caravaggio parte per Malta. Qui conosce il Gran Maestro dell’Ordine dei Cavalieri.

Nel luglio del 1608 riesce a entrare anch’egli nell’ordine. Si tratta però soltanto di una breve parentesi.

L’1 dicembre dello stesso anno giunge a Malta la notizia della condanna a morte che pende sulla sua testa e viene allontanato.

Caravaggio si sposta allora in Sicilia, tra il 1608 e il 1609, da Marco Minniti, un vecchio amico pittore del periodo romano che lo aiuta a nascondersi e a trovargli delle committenze di tema sacre.

In Sicilia dipinge uno dei suoi tanti capolavori, ” La Resurrezione di Lazzaro”.

E’ probabile che egli non si senta sicuro. La condanna a morte infatti dice che chiunque possa decapitarlo in qualsiasi momento: sull’isola egli teme per la sua vita.

Abbandona la Sicilia e ritorna a Napoli, ospitato dalla Marchesa Costanza Colonna.

L’ultimo periodo della vita di Caravaggio è alquanto rocambolesco, in linea, del resto, con tutta la sua vita.

Caravaggio infatti viene a sapere della possibilità che la sua condanna a morte venga revocata dal Papa Paolo V, suo grande estimatore.

Si imbarca segretamente su un traghetto diretto a Porto Ercole, in Toscana: vuole arrivare a Palo, in territorio papale. Ma, per errore, viene arrestato.

Rilasciato, torna a Porto Ercole nel tentativo di recuperare i suoi beni, compresa la tela che gli è necessaria come merce di scambio per la sua libertà.

Ma purtroppo la sua nave è già ripartita.

In preda alla febbre e alla disperazione per veder svanire le sue speranze di salvezza, Caravaggio vaga delirante sulla spiaggia di Porto Ercole dove muore, a soli 39 anni il 18 luglio del 1610.

“CANESTRA DI FRUTTA”

L’opera è stata commissionata dal cardinale Francesco Maria del Monte al fine di donarla al cardinale Federico Borromeo arcivescovo di Milano.

A prima vista la sensazione che abbiamo è la bellezza straordinaria dell’opera.

Il dipinto rappresenta una canestra di vimini da cui traboccano frutti e foglie che sembrano uscire dalla composizione venendo incontro a noi spettatori.

È appoggiata su un piano che non possiamo stabilire se sia una mensola, un tavolo o quant’altro.

Lo sfondo è interamente neutro e quindi la natura morta diventa la principale protagonista della rappresentazione.

Caravaggio intelligentemente, opera una sintesi per concentrare tutta l’attenzione sul primo piano.

Tutto è descritto perfettamente, la mela mangiata dal bruco, la foglia secca del fico e la polvere sugli acini d’uva, meritano, secondo Caravaggio, di essere ritratti sulla tela.

Continuando nell’analisi dell’opera si coglie la grande naturalezza. Sembra che tutto sia messo con casualità, ma così “vera” da farcene sentire il profumo.

Il dipinto ha molte interpretazioni, anche di carattere religioso: indubbiamente il realismo con cui sono accostati i frutti freschi e quelli ormai bacati, le foglie che progressivamente seccano accartocciandosi, rendono percepibile lo scorrere inesorabile del tempo.

Non si tratta di una scelta casuale, Caravaggio in questa circostanza, vuole porre l’attenzione sulla gracilita’ e la provvisorietà della vita.

CONCLUDENDO:

In questo capolavoro, come dicevo poc’anzi, è molto forte il senso della vita e della morte.

La giovinezza, ma in fondo tutta la nostra esistenza, finisce troppo velocemente, così come la frutta e i fiori non durano che un attimo.

Quell’attimo eterno, ma allo stesso tempo fuggevole, che Caravaggio, in “Canestra di frutta”, ha voluto fermare per sempre sulla sua tela.

Bruno Vergani

Leggi qui la seconda parte:

Michelangelo Merisi detto il Caravaggio (parte seconda)

1 COMMENT

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here