Chi sarà stata lei?
L’aspetto affascinante di una canzone è legato al dato inequivocabilmente personale che ciascuno di noi possa avanzare liberamente le proprie ipotesi, concezioni del tutto intime e sicuramente uniche , edificate sulla base di vissuti squisitamente irripetibili , laddove un passato più o me meno recente ebbe la capacità di forgiare ciò che fummo e ciò che saremmo stati per il resto dell’eternità.
Se pur ci si dovesse innamorare mille volte, nella vita, di persone diverse e con un’intensita’ differente, il modo di sentire “dentro il sentimento” subirebbe per sempre l’influenza della prima volta che abbiamo avvertito che “proprio quello” era amore vero.
E l’amore lo si riconosce persino ad occhi bendati, lo si assapora con tenerezza e da lontano con lo sguardo, lo si idolatra come fosse Dio, lo si brama follemente.
“Mi sono innamorato di te”, di Luigi Tenco, ha la grande capacità di far comprendere il modo in cui, improvvisamente e senza fronzoli di sorta, esordisca un sentimento d’amore.
L’amore succede e lo fa nostro malgrado, indipendentemente da un bisogno impellente o da un desiderio più o meno possente ed impetuoso.
L’amore gode di un forza indicibile.
Crea legami indissolubili tra le anime, edifica grattacieli antisismici, offre opportunità di serenità mai sperimentate in precedenza, restituisce il bene smarrito tempo addietro e chissà dove, salva la vita ed imprigiona con le inferriate spalancate.
“Mi sono innamorato di te” fu composta nel 1962, anche se ricevette ampi consensi parecchi anni più tardi.
Il motivo è probabilmente attribuibile alla particolare concezione che gli anni sessanta affibbiavano al sentimento d’amore.
A quei tempi l’amore rappresentava l’apoteosi del puro idillio, una situazione di affinità che due anime che avessero goduto di caratteristiche compatibili, avrebbero potuto raggiungere.
L’apparente irriverenza dell’espressione “perché non avevo niente da fare”, associa a prima vista il sentimento ad una sensazione di grande apatia e ciò fu percepito dalla critica come un messaggio di sgradevole “anti amore”, un qualcosa che si contrappone con scarsa sensibilità alla nobiltà del dono reciproco.
Tuttavia, attraverso l’estrema forza di un testo poetico assolutamente sublime, Tenco comincia a raccontare di un impellente bisogno d’amare, d’amare visceralmente, d’amare in maniera totalizzante.
Lo fa, nonostante tutto , ricorrendo ad un’impressionante dose di malinconia, la quale sottende una perenne inquietudine che sfocia in irrequietezza.
Non solo:
si avverte una latente sensazione di timore, timore di scoprire cosa sia e che volto detenga il vero amore, una paura così sottile e scarna da essere colta stentatamente, quasi impercettibilmente.
“ Mi sono innamorato di te perché non avevo niente da fare”, canta Tenco.
Volendoci riallacciare all’assunto precedente, credo che quest’uomo avesse addirittura milioni di cose da fare e che l’amore goda della capacità di edificare priorità imprescindibili sul cuore.
La necessità di discorrere d’amore con la persona destinata a divenire il fulcro del proprio universo materiale ed emotivo, il bisogno di confidare sogni e desideri, la carezzevole presenza a fianco che ti fa vivere in compagnia.
Già, la compagnia:
un aspetto quasi banale, a tratti effimero, se facciamo esclusivo riferimento a concetti di un certo spessore emozionale.
Eppure, cosa ne sarebbe della nostra esistenza se non si potesse fare pieno affidamento su una fedele e costante compagnia?
Ma Tenco, era veramente nelle condizioni di gestire appieno un sentimento d’amore duraturo e saldo?
Lo stato confusionale che subentra nella seconda parte del brano lascia presagire una sorta di incapacità di mantenere fermamente un impegno costante.
Tutto ciò lo si riscontra a grandi linee, nonostante una rinnovata e perentoria manifestazione dell’esigenza che lui ha di lei.
È come se non riuscisse a gestire in maniera razionale e cauta una situazione che rientra, a tutti gli effetti, all’interno della dimensione della normalità delle cose.
“Di giorno mi pento d’averti incontrata, di notte ti vengo a cercare”.
Orbene, di cosa aveva dunque bisogno Luigi Tenco?
Di evasione e di poco amore o di un’ingente quantità d’affetto che non consente più di mantenere i giusti equilibri?
Emergono, così, parecchie contraddizioni dettate di certo da un animo tutt’altro che sereno e bisognoso di grandi certezze.
Ma fondamentalmente , ad un uomo che nonostante non avesse niente da fare, che si pente di giorno di avere incontrato proprio lei e che alla fine impiega le sue notti alla ricerca di una donna della quale non può più fare a meno, che tipo di definizione si potrebbe cucire addosso?
Innamorato allo stremo, null’altro.
Tenco è come un bambino( in verità, data la giovanissima età, in un certo senso lo fu veramente), un bambino che da un lato va alla ricerca dell’adeguata protezione per poter progredire all’interno dei meandri vorticosi dell’amore vero.
Dall’altra parte canta come un uomo navigato e ben forgiato dall’esperienza matura, come se la vita gli abbia già insegnato i segreti del voler bene con tutta l’anima.
Il resto non fu altro che tragica evanescenza, incapacità irrazionale di gestione degli eventi ostici, fragilità, delusione patologica nei confronti del dissenso.
“Mi sono innamorato di te perché non potevo più stare solo”.
Eppure l’avevi trovata, Luigi!
L’avevi trovata!
Maria Cristina Adragna
Luigi una grande perdita !
Sì, per giovinezza e spessore artistico