La sera del 25 febbraio 1930, la “Comedie Francaise” apre il sipario con un nuovo spettacolo, un monologo di Jean Cocteau.
La Voce umana, che è diventato negli anni un testo da manuale di recitazione, un banco di prova, quella per antonomasia dove le attrici dovevano dimostrare la loro bravura. Prova dove la protagonista si spoglia dalle corazze che indossiamo per riuscire a sopravvivere, la prova di mettersi a nudo e di far cogliere tutte le sfumature del dolore.
La scena si svolge in una camera con un letto sfatto, la camera ha le finestre e la porta chiusa.
È presente solamente una donna al telefono, la protagonista. Il telefono squilla e in quella camera avvolta dal silenzio e dal dolore, il segnale si perde, la conversazione procede a tratti.
La protagonista, una donna molto elegante, scomposta in camicia da notte e vestaglia di seta, fa di tutto, si affanna per cercare di rimanere attaccata all’ultima telefonata con l’uomo che ama.
L’ultima e drammatica, conversazione che, con la scusa di mettersi d’accordo su dove recapitare le cose, che confermano il passaggio dell’altro in quella casa, c’è una valigia con dei vestiti e ci sono le lettere scambiate negli anni che dovrà bruciare, il suo cane, anche lui inconsolabile, tutto questo le permette di sentire ancora la sua voce, per l’ultima volta.
Cocteau scrive un monologo così perfetto che tutti diventiamo come la protagonista, siamo noi donne a soffrire con lei.
Nella telefonata troviamo tenerezza che la donna non nasconde di provare, e la preoccupazione che la protagonista nutre per la salute dell’altro.
C’è la disperazione della nostalgia degli anni vissuti insieme in quella stanza, e troviamo il tentativo goffo della donna che mostra il sentimento usando la parola «amore mio» dietro ogni frase di risposta.
Si soffre con le protagoniste che nel corso degli anni hanno usato il monologo per dimostrare la loro bravura.
La prima nel 1948 fu Anna Magnani diretta da Roberto Rossellini.
La lunga telefonata rivela i dettagli e i risvolti sempre più amari che mostrano come la donna, ormai abbandonata, si riscopra sola, priva degli altri, al punto da disperarsi e voler tentare il suicidio perché stroncata dall’impotenza nei confronti dell’epilogo imminente della storia d’amore, con l’uomo che è all’altro capo del filo.
Abbassare la cornetta in questo monologo è un atto che distruggerà la donna, atto che impone il silenzio e quindi la morte.
La voce umana è un testo indiscutibilmente complesso, doppiamente difficoltoso da interpretare. Cocteau infatti intravide già allora, l’importanza delle comunicazioni telefoniche.
Si poteva già comunicare virtualmente senza limiti ma constatò che la distanza fisica ed emotiva viene così amplificata.
Il telefono diventa un’arma nelle mani dei protagonisti.
Cosa che capita ancora oggi, si ama e ci si lascia per telefono, si muore chiudendo la comunicazione.
In scena a teatro o al cinema, solo la voce femminile che ci accompagna per un’ora, in una camera da letto quasi al buio.
Ispirato quindi al celebre monologo di Jean Cocteau, il film che propone Rai Play, La Voce umana di Edoardo Ponti è, non solo una voce, ma il corpo e il volto di Sophia Loren. Sofia è qui una donna ormai avanti negli anni, chiusa nel suo bell’appartamento d’epoca, che assiste alla fine del suo amore.
Non rimane spazio se non per una lunga telefonata d’addio all’uomo, Sofia mette a nudo se stessa, il proprio bisogno d’amare e al contempo la dignità della propria sofferenza.
Sullo sfondo, la Napoli dell’immediato dopoguerra.
Erri De Luca, ha collaborato alla stesura dei dialoghi in dialetto napoletano.
Nei titoli di coda compare la dedica “per mamma”.
La Voce umana è un addio commosso a un mondo e a un modo di fare cinema, che non esiste più.
E poi c’è Sofia: il corpo, il viso, la voce appunto. Unica, meravigliosa e inimitabile. SOLO SOFIA.
Angela Amendola
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