Me le ricordo ancora quelle vigilie dell’Epifania di tanti, ma tanti anni fa.
Il menù era fisso: spaghetti con acciuga e mollica.
Mio nonno e mia nonna non consideravano neppure lontanamente l’idea che potessero esserci variazioni nel menù nel rispetto della tradizione. La scelta delle portate era indiscutibile.
Io avevo paura delle lische e mangiavo con il timore che ne potessi incontrare qualcuna.
Ma era difficile poiché mia nonna, che preparava le acciughe, stava molto attenta. Infatti, metteva pure gli occhiali per essere certa di pulirle bene.
La cucina profumava già dalle quattro del pomeriggio.
La seconda portata prevedeva baccalà fritto con le olive nere e io ne andava matta.
Si allestiva la cena nella cucina rustica con il camino acceso mentre la salsiccia si consumava sul fuoco.
Non era una cena luculliana perché il tutto si realizzava con poche migliaia di lire.
Mi piaceva stare davanti al camino perché quel tepore mi conciliava il sonno.
Ogni tanto buttavo sulle braci ardenti pezzetti di mandarino ed una speciale fragranza si diffondeva per tutta la stanza.
Poi si passava alla frutta con “pastilli” e arachidi, mandarini e le arance del nostro orto, le “crucette”, “i turduni” e si giocava a carte o a tombola.
Le “cullure di turduni”, erano delle collane di castagne che, quando venivano afferrate, spesso il filo si spezzava e le castagne si spargevano un po’ dappertutto sulla tavola. Così io mi precipitavo nel tentativo di raccoglierle.
Una “cullura” aveva sempre i minuti contati.
Vivere al Sud , considerato da Veneziani, a ragione, una categoria dello spirito che si incarna nel paesaggio, significa anche che, la sera della vigilia della Befana potesse capitare di accogliere in casa gli zampognari per essere allietati dal suono della loro cornamusa. Venivano da lontano a visitare le abitazioni, regalando un soffio di quella magia natalizia che faceva sognare tutti noi bambini.
Gli zampognari, che venivano accolti per offrire loro un bicchiere di vino e pochi spiccioli, erano infreddoliti e la bevanda di Bacco in qualche modo li rifocillava.
La serata si concludeva a notte fonda con il panettone, gli ultimi bicchieri di spumante in compagnia della musica che non mancava mai. Mio padre con la sua chitarra coinvolgeva tutti nella classica “strina” calabrese.
Le feste natalizie hanno per me da sempre il profumo della famiglia, delle tradizioni, dei ricordi, della semplicità e genuinità dei sentimenti.
È proprio vero che ci si può sentire ricchi anche quando si vive di piccole cose.
E il mattino dopo non era importante trovare appesa al camino la calza della Befana, perchè la notte della Befana appena trascorsa era l’attesa della Epifania del Signore.
I re Magi hanno seguito una sola Stella, la più luminosa.
Il loro traguardo è adorare Gesù. È questo ” il senso della marcia della vita cristiana: un cammino verso il Signore, non verso di noi”. Perché il cristiano che non adora Dio, fa come Erode che “ha adorato il suo io”.
Vivere in Cristo significa spogliarsi del proprio ego e tenere gli occhi fissi verso quella Cometa, verso quella Luce che dà valore e senso alla nostra vita di cristiani.
“Adorare – afferma il Pontefice – è andare all’essenziale: è la via per disintossicarsi da tante cose inutili”.
Buona festa a tutti!
Piera Messinese
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